22 ARIA DI LIBERTÀ

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Bianco. Per un lungo istante, non vide altro che bianco.

Poi i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco mentre i suoi polmoni si riempivano di aria pura, profumata. Non era l'odore metallico del sangue, ma un profumo intenso di pino selvatico.

Therar le teneva il braccio guidandola verso il cortile, per poi allentare la presa e lasciarla libera di guardarsi intorno. Libera di muoversi. Libera, o quasi.

Dazira osservava estasiata quel luogo che tante volte, negli anni precedenti, aveva dato per scontato.

D'un tratto sentì l'impellente bisogno di camminare scalza sull'erba e, senza attendere oltre, si sfilò gli stivali logori e affondò i piedi malconci tra i verdi fili che le trasmisero immediatamente un fresco sollievo.

Iniziò a correre lungo il parco a perdifiato, con il vento che le trasmetteva quei profumi che tanto le erano mancati. Quanto le era mancato tutto questo!

Corse fino a che le gambe glielo permisero, poi le ginocchia cedettero e lei si accasciò affondando completamente le mani nell'erba.

Iniziò a ridere mentre le lacrime scendevano copiose. Probabilmente, chiunque la stesse osservando, la vedeva come una pazza. E forse lo era.

In fondo, non le importava... d'altronde, era già il mostro del palazzo!

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I primi allenamenti all'aperto, furono, per Dazira, puro divertimento.

Therar la attaccava e lei rispondeva con nuovo slancio, più motivata. Anche usare le ali era diventato più semplice, dato che lo spazio era maggiore e avere un pubblico era meno fastidioso di quando si allenava dietro alle sbarre. Ora tutti la potevano osservare come allieva in procinto per affrontare delle battaglie e non come una prigioniera mangia-uomini.

Certo, la cella era ancora la sua casa, ma, a parte per dormire e nutrire il demone, Dazira non entrava mai nelle prigioni.

Quel pomeriggio il sole era alto e la temperatura mite la faceva sudare più del solito.

Therar la salutò congedandosi e lasciandola sola con i manichini contro cui la ragazza si stava esercitando a lanciare i coltelli.

Appena fuori da quell'arena improvvisata, una guardia assonnata la stava sorvegliando.

Dazira non si accorse nemmeno da dove arrivò, né cosa l'aveva colpita. Sentì solo freddo e un dolore lancinante al fianco che la fece cadere destando la sentinella.

La ragazza emise un gemito di dolore e si portò immediatamente la mano al fianco, percependo qualcosa di caldo e vischioso che le scivolava tra le dita.

D'istinto, sollevò la mano e la guardò. Sangue. Qualcuno l'aveva colpita.

Guardò il fianco e notò che una freccia l'aveva trapassata da parte a parte all'altezza dell'ombelico, sul fianco destro.

Si voltò verso la direzione dalla quale poteva essere stata scagliata e vide un soldato. Un uomo del re che imbracciava l'arco in direzione della sentinella, che stava facendo la stessa cosa con una lancia.

Le punte di metallo partirono ed andarono a segno entrambe, lasciando Dazira sconcertata e dolorante vicino ad un manichino.

Poi si accorse che stava succedendo qualcosa di strano: non sgorgava più sangue e la ferita si stava calcificando. Come era possibile?

Doveva estrarre la freccia. Ora.

Fece un sospiro e prese coraggio, poi spezzò la freccia urlando per il dolore che il suo spostamento le provocava. Si prese una manica della camicia e la strappò per infilarsela in bocca e stringerla con i denti mentre estraeva la freccia dal suo fianco in preda al dolore. Sapeva che avrebbe dovuto attendere Silterio, ma qualcosa di strano stava accadendo.

LA QUINTA LAMA (I) - L'assassinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora