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Ogni giorno, Dazira veniva svegliata all'alba e, una volta assicurati che il demone si fosse saziato, la ragazza veniva portata nella cella più grande, dove colpiva il sacco di juta incurante del fatto che nocche, gomiti e ginocchia le facessero costantemente male.

Inizialmente la ragazza vedeva solo l'inutilità di quegli addestramenti, ai quali non sempre Therar assisteva. Talvolta veniva incaricata qualche guardia di turno ad assicurarsi che lei facesse quanto Therar aveva disposto.

Dopo qualche giorno, scoprì che quelle ore passate a colpire il sacco mentre Therar la criticava per la postura e la sua debolezza, avevano avuto un effetto distensivo sui suoi nervi che, da quando era iniziato il suo incubo, erano costantemente a fior di pelle.

Therar giunse nelle prigioni poco dopo l'ora di pranzo. Quella mattina, Dazira si era allenata alla presenza di una guardia fuori servizio che aveva passato le ore a commentare su quanto fosse riprovevole addestrare un'assassina a combattere a corpo libero.

Il ragazzo si stravaccò, apparentemente stanco, sulla sedia che era stata posta davanti alla cella per tutti coloro che si trovavano costretti ad assistere a quei noiosi allenamenti.

Dazira era seduta per terra, accanto al sacco di juta sporco del sangue delle ginocchiate di quella mattina. In alcuni punti, il sacco era strappato e la ragazza finiva per graffiarsi la pelle con la paglia compatta, benché, negli ultimi tempi, la ragazza avesse notato che le ferite superficiali si rimarginavano piuttosto velocemente.

Therar sospirò ed indicò con un cenno del capo la ciotola che Mefosto le aveva posato appena oltre le sbarre. Probabilmente ci aveva sputato dentro.

«Stai facendo lo sciopero della fame?» le domandò il ragazzo in tono neutro.

«No».

«Sei pelle e ossa... non che m'importi, Dazira» disse ponendo l'accento ancora una volta sul suo nome, mentre si sedeva più composto «ma, tutta questa fatica, servirà a ben poco se ti ammali perché ti rifiuti di mangiare. Francamente, non so come tu faccia a reggerti in piedi».

In quel momento, si udirono dei passi incerti avvicinarsi a loro. Qualche istante dopo, dal corridoio, comparve l'ultima persona che Dazira si sarebbe aspettata di vedere in quel luogo tetro e umido: in piedi, al centro di un'ingombrante gonna celeste, c'era la principessa Pheanielle.

La principessa si guardò intorno, palesemente a disagio. «Non ero mai venuta quaggiù» confessò lisciandosi la gonna ampia e zeppa di merletti.

Therar si alzò dalla sedia per farle posto, ma lei rifiutò con cortesia. «Non sono qui per disturbare... a dire il vero ero soltanto curiosa» dichiarò con un certo imbarazzo mentre le guance le si imporporavano, nel tentativo di distogliere lo sguardo da un paio di occhi scuri un po' troppo intensi.

Pheanie si voltò verso Dazira, ma la ragazza abbassò lo sguardo. Eppure, la principessa riuscì a scorgere gli occhi segnati della ragazzina che, in quel corpo ossuto, davano l'aria d'essere spiritati.

«Mio dio» commentò la principessa portandosi una mano alla bocca «È... è... è inumano. La state mettendo alla fame?»

Therar scosse la testa facendo una smorfia. «La ragazza si rifiuta di mangiare».

Pheanie guardò di nuovo sconcertata quel corpo scheletrico e scosse la testa per poi puntare gli occhi sulla ciotola che stava a terra, a pochi passi da lei.

Un paggio arrivò di corsa e, salutata con grande sorpresa la principessa, si rivolse a Therar avvisandolo che il comandante della guarnigione appena rientrata in città era nel castello e lo stava cercando urgentemente.

In tutta fretta, il ragazzo si congedò dalla presenza di Pheanie e seguì il garzone sopra le scale.

Pheanie sospirò e si sedette composta sulla sedia mentre Dazira fissava imperterrita il pavimento in quei suoi abiti logori di almeno tre taglie più grandi.

«Così era questo il motivo per cui eri così assente i giorni prima che ti rinchiudessero qui dentro...» considerò la principessa in tono condiscendente mentre guardava quel piccolo mostro dagli occhi assenti con espressione comprensiva. «A quanto pare ti rifiuti di mangiare... non mi sembra una grande idea, sai?» Dazira, quasi sicuramente, si stava chiedendo cosa potesse importare a lei, principessa di un regno prospero, con tutto il lusso che la circondava, di una cortigiana che aveva preso la strada sbagliata.

La verità è che nemmeno Pheanie aveva idea di cosa l'avesse spinta a scendere tutte quelle rampe di scale per vedere ciò che restava della sua domestica personale.

Forse lo stava facendo per noia. Eppure era lì, a tapparsi il naso nella zona più buia del castello.

«Non posso sapere cosa provi, ma ci posso provare... e dubito che una ragazzina come te venga colpita da una sorta di maledizione che la costringe ad uccidere un uomo al giorno e non ne resti mentalmente scalfita. Sarebbe insopportabile per chiunque, Dazira. E il tuo aspetto lo conferma...»

La prigioniera alzò il capo da terra e guardò negli occhi la sua dama, piena di riconoscenza. «Io... non capisco...» sussurrò disorientata. «Voi siete gentile con me ed io non ne ho il diritto. Dovreste odiarmi, a dire il vero!»

Lo sguardo di Pheanie era dolce mentre cercava di capire cosa potesse provare quella giovane cortigiana. «Non vedo cattiveria in te» affermò con semplicità.

«Ma io ho... ucciso il vostro sposo!»

A Pheanie scappò un sorriso: era per questo che la ragazza non voleva ricambiare il suo sguardo? «Che resti tra noi» Certo, a chi avrebbe potuto raccontarlo? «credo di essere in debito con te per ceerti versi!»

Poi la principessa se ne andò, lasciando Dazira intontita nel suo sbigottimento.

Fu risalendo le scale che Pheanie lo incrociò di nuovo e, i due, si scambiarono un'occhiata. Therar la salutò velocemente e scomparve dalla sua vista nel giro di qualche secondo.

Pheanie si chiese se, in fin dei conti, si fosse interessata al caso a tal punto per qualche altro motivo, oltre alla compassione. 

LA QUINTA LAMA (I) - L'assassinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora