Capitolo 13

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Al risveglio mi ritrovai al buio,quindi ci misi un po' per accorgermi di essere sveglio. Ero legato aduna sedia e i polsi mi facevano male a causa della corda stretta finoallo sfinimento, e forse anche perché ormai mi trovavo lì da tempo.Forse ore dato che in fondo ero svenuto. Iniziai ad urlare. -C'ènessuno?-. Nessuno però rispose. Provai a divincolarmi dalla corda oper lo meno ad alzarmi dalla sedia ma mi sentivo troppo debole inquel momento, e la ferita alla tempia non aiutava per niente. -Zoe!-Provai di nuovo, ma neanche questa volta ci fu risposta. Come potevaZoe avermi fatto questo? Non poteva essere veramente lei, ma anchefosse, probabilmente la controllavano. Lei non mi avrebbe mai fattoquesto.
Una luce davanti a me, mi fulminò di colpo gli occhi atal punto che mi girai di lato non so se per lo spavento o per laluminosità. Passarono i secondi e non accadde nulla quindi rimisi losguardo puntato in avanti e vidi una TV. Una TV senza segnale agiudicare dalle interferenze. -Chi è stato?- dissi. Forse dovevosmetterla di cercare qualcuno; in fondo anche se ci fosse stato mezzomondo intorno a me, perché avrebbero dovuto rispondere?
Sulla TValla fine iniziò qualcosa. Un filmato. Il video era girato in unparco, vedendo tutta quell'erba, ma non c'era nessuno. Si sentivanodelle urla. Urla da bambino, fino a quando non ne apparve uno davantialla telecamera, che teneva..chissà chi. Non sapevo cosa stessesuccedendo e cosa significasse il video ma lo guardai con moltaattenzione.
-Papà! Papà! Mi ha fatto di nuovo male!- disse ilbambino, e il papà replicò dicendo -La seconda volta nella stessagiornata? Guarda che se qualcuno ti ruba il naso non succede nulla. Èsolo un modo di giocare-. Allora il bambino, a vista impaurito, silamentò dicendo che così non avrebbe più respirato e corse viapiangendo mentre il padre tentava di non ridere per non farloarrabbiare ancora di più. Il video continuò lo stesso, e perqualche istante ci fu solo del silenzio mentre questo genitoreriprendeva il panorama. Nel mezzo dello schermo, a molta distanza siintravedeva il bambino di prima giocare con una bambina, quindicercai di sporgermi il più vicino possibile alla TV con scarsirisultati.
-BUU!-. "Volai" indietro dallo spavento restandoper un attimo agghiacciato. Quell'urlo proveniva dal filmato. Unapersona si era messa una maschera in faccia apparendo di colpodavanti. Anche il tizio che teneva la telecamera si spaventò ma inmodo meno mascolino del mio.

-Dio santo Ellie- esclamò ilcameraman. Quel nome mi fece sobbalzare perché era un nome moltofamiliare. La tizia in maschera se la tolse in modo che potessiconfermare il mio dubbio nato pochi istanti prima. Era mia madre.-Che ci fai con quella maschera?- disse lui. -Sto catalogando insiemea Sarah quello che abbiamo trovato nel nostro ultimo viaggio inordine di importanza.. e magari anche valore-. disse lei, e con unsorriso nato sul momento aggiunse -in fondo la casa al mare è unnostro desiderio da ormai 10 anni. In qualche modo dovremo pur far-.

La situazione stava diventando chiara.Ero molto sconvolto da quel video, anche se realmente non dovevoesserlo dato che già sapevo che i miei genitori e quelli di Zoe siconoscessero. Questo voleva dire che quello che teneva la telecameraera mio padre e...
-Nic! Zoe! Venite che ci facciamo una fototutti insieme- disse mio padre. Già, quelli eravamo noi e il videofinì. Le interferenze ritornarono e un attimo dopo la TV si spense.

Non avevo paura in quel momento. Sefosse arrivato qualcuno per spaventarmi, probabilmente non mi sareispaventato. Se fossi rimasto al buio per sempre non mi sarei neanchefatto problemi. Ormai mi ero.. arreso. Ormai avevo ceduto,soprattutto a causa di quel video e del suo significato che ancoranon riuscivo a percepire. La luce si accese di colpo illuminandotutta la stanza ma non senza prima farmi chiudere gli occhi a causadell'eccessiva luminosità. Riaperti gli occhi continuai a guardaredavanti a me la TV, vecchio stile oserei dire. Ancora con il tubocatodico. Era la seconda volta che mi arrendevo ma in quel momento miricordai di Selena e di Simona. Non potevo abbandonarle, quindidovevo riprendere forza e andare avanti. Iniziai a fare forza suipolsi in modo da sfilare la corda ma stava diventando una cosaimpossibile perché sempre troppo strette. La sedia non era nulla diche; era fatta di legno quindi dovevo trovare qualche modo perromperla. I piedi, sempre legati, li misi nella parte posterioredelle due gambe della sedia in modo da poter far più forza sullaschiena senza sbilanciarmi e non farmi male. A quel punto allontanaila schiena dall'appoggio il più possibile, ma sempre poco, e andaidi forza sullo schienale in modo da romperlo ma senza riuscirci.Riprovai una seconda volta con la stessa forza ma senza ottenerealcun risultato. Forse troppo impegnato a pensare come liberarmi, nonmi accorsi che realmente la sedia non era attaccata al pavimentoquindi potevo, con difficoltà, alzarmi e romperla contro il muro. Mialzai in piedi con molta difficoltà anche perché continuavo asentirmi un po' indebolito e senza pensarci due volte mi fiondaicontro il muro cadendo poi a terra, ma comunque felice di aver rottoalmeno una gamba della sedia. I polsi e le caviglie mi fecero un maleassurdo perché con la caduta provarono ad allontanarsi dalla sedia,come è giusto che sia, ma essendo legate si tirarono soltanto. Mirialzai di nuovo e andai contro il muro per la seconda voltariuscendo a rompere la sedia. Ovviamente la corda era ancora legataai miei polsi e alle mie caviglie quindi cercai di togliere gli"arti" della sedia" ancora legati a me, in modo che dopo lacorda diventasse più larga e la potessi togliere.
Ero libero edebbi il tempo di notare che dietro di me ci fosse una porta. Unaporta.. blindata.. chiusa. Provai a tirare dei calci anche serealmente sapevo non si sarebbe aperta, però dopo la fatica dellasedia mi sembrava la cosa più coerente.

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