Cascare nei tuoi occhi

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30/08/18

C'è stata una volta nella quale ho avuto paura. Ma non quella paura che si prova mentre guardi un film horror, non quella paura che hai al tuo esame di maturità, era una paura che pensavo di non poter provare mai. E' una paura che ti chiude lo stomaco, che ti fa venire il mal di testa. Mi tremavano le mani, gli occhi si chiudevano dalla stanchezza delle troppe lacime versate. Ed è stato orribile sai? Per un attimo ho avuto paura di perdere una normalità che, nonostante non fosse mai stata vera, mi faceva stare bene e in pace. Ho provato anche molta vergogna. Volevo solo nascondermi tra le coperte di un letto con un cuscino che non aveva sentito le lacrime e i singhiozzi. Ma non potevo e sai perché? L'orgoglio. L'orgoglio è sempre stata una bestia e forse il mio difetto fatale. Ogni volta che voglio metterlo da parte chiede aiuto, chiede aiuto al rancore represso, ai ricordi e ai sentimenti di rabbia passati. E viene fuori più forte di quanto dovrebbe essere. Posso sembrare arrabbiato, anche se sono semplicemente infastidito. Faccio fatica a fare un passo indietro e ammettere di aver sbagliato e quando lo faccio, lo faccio senza farlo davvero, solo perché ne necessita il momento. E non mi stupirei se quelle poche persone che mi sono sempre accanto nel bene e nel male, decidessero anche loro di abbandonarmi. Per il primo periodo penso che ci starei semplicemente male, passerei le mie giornate monotone ad accordare un basso già accordato, perché se mi mettessi a suonarlo, note tristi e senza vita ne uscirebbero. Poi cercherei di mettermi nei loro panni e solo allora capirei quanto sono stato egoista. E comunque, anche se prometto a me stesso di non fare nuovamente lo stesso errore, le persone che entrano nella mia vita in modi differenti, ne escono nella stessa identica maniera. E con il tempo capisco che il problema sono io. Sono sempre stato solo io. Non riesco però a rimediare ai miei errori, quando capisco che ho sbagliato, è ormai troppo tardi. Penso di aver iniziato a sbagliare davvero, quando ero in quarta elementare. Forse era la mancanza di quell'angelo, o non lo so, ma è stato allora che mi sono sentito diverso. Non riuscire a trovare un gruppo fisso con cui giocare a nascondino era frustrante. Non riuscire a stare davvero bene, a divertirsi, con i tuoi compagni di classe era fastidioso. E allora ho iniziato a nascondermi in un angolo del giardino, dietro la palestra, a leggere libri. Mi ricordo che i libri trattavano sempre di eroi che salvavano il mondo. E mi ricordo anche che avrei voluto essere come loro. Forte, bello, apprezzato e soprattutto felice. E invece ero tutto il contrario. La prima delusione, quella che mi buttò giù ancora prima di capire davvero quali fossero le cose che ti distruggono, la ricevetti all'età di sette-otto anni circa. Ma per racontartela dovrei partire dal principio. Quando ero piccolo sentivo sempre nei film che guardavo la sera con la mia famiglia, due parole che sembravano belle e spensierate, felici e pure, "Ti amo". Non sapevo cosa volesse dire, avevo sempre sentito solo "Ti voglio bene" e avevo pure dei dubbi su cose signifiassero quelle tre parole semplici semplici. Così lo chiesi a mia madre cosa voleva significare. Lei mi disse che era una forma leggermente diversa dal "Ti voglio bene" che si diceva ai propri amici, ma voleva significare la stessa cosa. Non la biasimo però, non puoi spiegare ad un bambino di cinque anni cosa sia l'Amore con la A maiuscola. Nemmeno ora riesco a capire cosa sia l'Amore in realtà. Quando andai alle elementari, iniziai a dire ai miei compagni di classe, che allora consideravo tutti amici, che li amavo. Alcuni mi guardavano male, altri semplicemente mi ignoravano e altri ancora mi ridevano in faccia per secondi infiniti. Tutti mi dicevano che non potevo dire "Ti amo" a caso e soprattutto ad un bambino. Ma io non gli credevo, perché me lo aveva detto la mia mamma che voleva dire voler bene ad una persona. Ma loro continuavano a ridere. Tornavo a casa distrutto. Non tanto perché loro sapevano un qualcosa in più di me, ma perché mi prendevano in giro. Avevo sempre visto nei cartoni che guardavo, che chi veniva preso in giro era un buono a nulla, che era una persona debole. E io non volevo essere una persona debole. Con il tempo, iniziai a comprendere la differenza tra "Ti voglio bene" e "Ti amo". E non puoi capire quanto mi sia sentito stupido. Ero arrabbiato con mia mamma, che nei miei ragionamenti, fondamentalmente mi aveva detto una bugia, anche se ora mi rendo conto che non era davvero così. Quando credetti di aver capito cosa voleva dire amare una persona, mi confessai al bambino che mi piaceva. Era biondo e con gli occhi azzurri. Era palesemente straniero e mi piaceva prorpio per quello. Non ricordo niente altro in realtà. Forse non era una persona tanto indimenticabile. Un giorno, mi feci coraggio, lo prelevai con la mia solita timidezza, dal suo gruppo di amici, mentre giocavano ad acchiapparella nel cortile. Appena mi videro iniziarono a ridere. Ho sempre trovato sorprendente come delle piccole checche possano essere così cattive, pur non sapendo assolutamente nulla del mondo attorno a loro. Lui però mi aveva sorriso in modo dolce. Mi ricordo perfettamente, che lui era l'unico bambino che non mi prendeva in giro per il mio modo di essere così innocente, rispetto a loro, che magari sapevano contare solo fino a cinque e ne andavno fieri, quando io sapevo contare fino dieci! Ok, mi sento leggermente patetico a scrivere questo. Mi seguì sempre sorrideno, mentre stringevo la sua piccola manina nella mia ancora più piccola. Non mi ricordo se glielo dissi subito, se quelle parole uscirono senza difficoltà dalla mia bocca, ma conoscendomi forse avevo fatto un enorme sforzo. "Ti amo" gli dissi, nel modo più dolce e innocente che un bambino di terza elementare può fare. Lui non smetteva di sorridere. Mi ha guardato per un po' e mi ricordo di aver sentito la vergogna e l'imbarazzo che mi arrivavano alle orecchie e alle guance. Che il mio piccolo cuoricino batteva forte forte, come se ci fosse un torrente in piena al posto del sangue. Il dentino da latte che mi dondolava aveva iniziato a darmi fastidio, perché continuavo a stuzzicarlo per il nervosismo. "Anche io ti voglio bene". Me lo disse con una tale leggerezza, che quasi pensai di aver trovato un altro angelo che aspettava solo il momento giusto per aprire le sue ali. Mi aveva abbracciato e poi se n'era tornato dai suoi amici per giocare.

Fa#

Ed io che invece vorrei solo averti più vicino
Cascare nei tuoi occhi e poi vedere se cammino
Che sono grandi come i dubbi che mi fanno male
Ma sono belli come il sole dopo un temporale
E poi ti penserò (X2)

Cascare nei tuoi occhi, Ultimo

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