Domenica

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L'amore in questo assomiglia a Dio: per raggiungerlo bisogna crederci

Ugo Ojietti

18/11/18

Era una domenica tranquilla, a tratti noiosa per la troppa monotonia che accompagnava il Sole nel suo corso nel cielo. L'aria era fredda e tirava un vento forte, che faceva muovere violentemente le foglie degli alberi. Jeno sbuffò. Dentro alla biblioteca non c'era segnale, così si era ritrovato a perdere tempo, mentre giocava con il dinosauro della schermata di non-ricezione di Google con il suo laptop. Era arrivato a 1280 score, quando non era riuscito a far saltare un cactus all'animale preistorico, solo perché si era fatto distrarre da una risata, una risata dolcissima a parer suo, così pura e chiara e carina, da far venire il diabete. Purtroppo era stato un attimo, perché quel suono non si era più sentito e nella biblioteca era ritornato ad alleggiare un silenzio tranquillo. Jeno cercò di tendere l'orecchio più di una volta, per cercare di captare di nuovo quel canto, ma nulla, a parte il silenzio. Si passò le mani sul viso, stropicciandosi gli occhi, e sentendo quanto la sua pelle fosse secca, avrebbe dovuto curarsi di più, si disse. Rimase per un po' ad osservare il soffitto bianco, dalla quale si staccava un po' di intonaco, poi aprì il suo zaino e prese il cellullare e gli auricolari, inserì il cavo di questi nel jack dello smartphone, e poi fece partire la riproduzione casuale. Chiuse lo zaino, mentre delle dolci note invadevano le sue orecchie. Non prestò realmente attenzione al brano, si era perso nei suoi pensieri, di cui la stragrande maggioranza era rivolta a Jaemin. Si bloccò, quando il suo sguardo si posò delicatamente su un libro, sobrio e ridotto male, rispetto agli altri nel reparto saggistica. Aveva una copertina color frumento, con una semplice scritta carminio con una calligrafia elegante. Quando lesse il titolo, Jeno era tentato di mettersi a saltellare dalla gioia. Il titolo riportava "Sessanta-Ugo Ojetti". Ugo Ojetti fu uno scrittore, critico d'arte, giornalista e aforista italiano, nato nel 1871 a Roma e morto a Fiesole nel 1946. Era uno degli scrittori preferiti di Jeno, aveva letto un suo aforismo, molto tempo prima, in una pagina trovata su internet che parlava della letteratura italiana di fine ottocento primi novecento, e da allora aveva iniziato ad informarsi e a voler leggere qualcosa, solo che non aveva mai trovato nulla di suo, scritto in coreano, e non sapeva assolutamente l'inglese e men che meno l'italiano. Così si era rassegnato a chiudere quel suo piccolo sogno in un cassetto. Quindi trovarsi davanti agli occhi un suo libro, scritto nella lingua madre del ragazzo, fece emozionare Jeno. Lo afferrò in tutta fretta, sempre delicatamente però e se lo portò vicino al viso, per annusare le pagine che sprigionavano un odore tanto buono quanto quello delle piccole panetterie agli angoli delle strade. Si era talmente abituato al suono dolce delle canzoni che passavano lente e indisturbate, che non si accorse quando un auricolare gli venne sfilato. Poi ad un certo punto, il silenzio della biblioteca si riempì dolcemente di un canticchiare forse un po' stonato, ma estremamente lene, al fianco di Jeno, che lo fece voltare piacevolmente stupito. Al suo fianco si trovava un ragazzo con i capelli rosa che cadevano morbidi e soffici sulla fronte, con le guance leggermente imporporate per l'imbarazzo che gli recava quello sguardo così attento a catturare ogni minimo dettaglio, con le mani congiunte davanti allo stomaco, mentre si angustiava le dita. Jeno lo riconobbe subito. Era Jaemin, e questa consapevolezza, gli fece battere il cuore all'impazzata.

"Ajiko neoye geu ireumeul tteoollimyeon"
ma ancora oggi quando penso al tuo nome
"nunmuri maechigo jamshiman nuneul gameumyeon"
la lacrime salgono e chiudo gli occhi "ni moseubi boigo modeun ge byeonhaegado"
ti vedo e anche se è cambiato tutto "neonmaneun hangsang gateun jarieseo"
tu sei sempre nel solito luogo, sembri sempre uguale
"ttokgaetun moseubeuro gyesok nal ullyeo"
facendomi piangere

Jeno continuò ad ascoltare, rapito, da quanto, nonostante la voce non avesse un'impostazione perfetta, questa sembrasse un canto d'usignolo, una brezza calda in quel giorno freddo.

"Hajiman ijeuryeo hamyeon geurreol ttaemyeon"
ma quando provo a scordare "maechyeonjin geu nunmul wiro  sopra quelle lacrime
"dashi niga heureugo shiganeun meomchwojigo"
tu scorri giù e il tempo si ferma aesseo "sumgyeowatdeon naye maeumi"
i sentimenti che ho provato a nascondere
"joyonghi gogael deulgo"
alzano silenziosamente la testa "haetaneum moksoriro dashi neol bulleo"
ti chiamano con voce bramosa
"geurae sarangiran ge da geureon geoji mwo"
sì, è così che è l'amore

Jaemin alla fine sorrise, con le guance ancora più rosse di prima. Si era sempre vergognato della sua voce, perché non aveva un bel timbro, una voce limpida e chiara, a differenza del suo ragazzo, Huang Renjun, che adorava sentire cantare. Jeno, sorrise inconsciamente a quella vista celestiale del ragazzo imbarazzato. "Ed-dai smettila di fissarmi" disse per poi ridere nervosamente Jaemin, e in quel momento ricollegò la risata di prima al ragazzo davanti a lui. Jeno si scusò a bassa voce per poi abbassare lo sguardo a sua volta. Cercò di concentrarsi su qualcos'altro, come per esempio la canzone che il suo telefono stava riproducendo, ma venne fermato da Jaemin che parlò nuovamente "Tu sei il fioraio che mi ha consigliato quei fiori?". Jeno annuì piano sorridendo "Sì, sono io, anche se non mi ritengo un vero e proprio un fioraio, sono alle prime armi, davvero." Si grattò la testa imbarazzato Jeno. "Eppure sembrava ne sapessi molto!" esclamò Jaemin. Jeno scosse impercettibilmente la testa "E' solo un argomento che mi interessa, ecco.". Jaemin gli sorrise, si sentiva a suo agio. "Puoi ripetermi il tuo nome?" chiese il rosa "Jeno, sono Lee Jeno." Rispose il biondo. Jaemin annuì e gli porse la mano "Io sono Na Jaemin." E gli rivolse un caldo sorriso. Rimasero fermi un istante a fissarsi, entrambi con forti emozioni nel cuore, ma chi più consapevole dell'altro, poi Jaemin parlò nuovamente, e Jeno per la prima volta desiderò di non aver sentito la sua voce "Volevo ringraziarti, i fiori hanno aiutato, ora io e lui siamo fidanzati.". Aveva un sorriso così felice che Jeno si sentì morire e felice contemporaneamente. Jaemin si avvicinò, donando un abbraccio pieno di gratitudine a Jeno. Quell'abbraccio fece male, molto male a Jeno, che sentì il cuore rompersi per l'ennesima volta e le lacrime rischiare di scendere "Prego, non c'è di che..." sussurrò fragile all'orecchio di Jaemin, che da quell'abbraccio aveva sentito nascere un leggero tepore all'altezza del cuore che aveva sciolto strati e strati di ghiaccio. Si staccarono, poi Jaemin corse via sorridente ed imbarazzato, mentre Jeno crollò in ginocchio con le lacrime che rigavano la pelle del suo volto secco e le occhiaie create dalla stanchezza, andando ad aprire ferite esterne sulle dita ed interne sul cuore, che aveva ricucito con tanta fatica.

"Deo gipi saranghan maeumenl chajawa ullyeco"
un amore più profondo arriva e ti fa piangere
"guerae ibyeonriran ge gyesok nal ullyeo"
sì, questa rottura continua a farmi piangere.

Tu continui a dire che sei felice
Ed io che in imbarazzo sposto il piede

Domenica, Ultimo.

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Se capite di che canzone si tratta vi amo.

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