5. LA PISCINA (Parte 5 di 5)

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Non ci nascondemmo più, ci mostrammo sicuri, come loro avevano il coraggio di nuotare nudi nella piscina di mia nonna.
Cercarono di allontanarsi sbracciando verso il lato opposto a noi, senza dire nulla però.

"Fate piano o mio padre si sveglia."
Sapevo che così si sarebbero fermati, evidentemente anche io al buio dovevo apparire più grande e spaventosa di quanto non fossi.
"Vai via ragazzina!" – non seppi distinguere ancora da chi provenisse l'ordine detto con cadenza Calabrese, ma fu ovviamente ignorato.
"E' casa mia. Posso stare quanto voglio."
"Che fate qui?" – mi scavalcò Paolo con la sua domanda.
Nessuna risposta, solo il suono dell'acqua che rimbalzava di parte in parte della piscina.
Stretti la maglietta di Paolo, tirandola verso di me, improvvisamente mi sembrò giusto tornare in casa. Quella situazione assurda non ci riguardava. Parevano animali, selvaggi, pronti ad afferrarci portandoci con loro nel fondo della piscina o nella selva.
Paolo non si mosse, rimase fermo ad osservarli sorridendo con gli occhi spalancati, mi faceva più paura lui in quel momento che i due sconosciuti.

"Avete un nome?" – chiesi, nascondendomi sempre più dietro alle spalle del mio amico.
"No, non lo abbiamo" – questa volta la voce era più bassa, ancora più riconoscibile l'accento del Sud.
Doveva essere stato il più grande dei due a rispondere.
"Volete unirvi o ci guardate e basta?" Tornò la voce più giovane a parlare, nuotando piano verso di noi.
Finalmente lo vedevo meglio, non era poi così distante dalla mia età, avrà avuto si e no quattordici, quindici anni.
Gli occhi chiari e verdi brillavano più di tutto il resto, mi pervasero ed io mi addolcii senza rendermene conto.

Dissi: "A breve andiamo a dormire, volevamo solo sapere chi eravate."
"Peccato, noi ci stavamo annoiando da soli" – mi sentii io l'intrusa, arrossendo alle sue parole che dentro di me sentivo più come un ' resta per sempre'.
Mi staccai da Paolo, e in quel gesto lui iniziò come incantato a denudarsi, come aveva iniziato a fare qualche pomeriggio prima.
"Che fai? Non hai il costume." Fu la mia risposta, detta così pacatamente e con la voce bassa da non riuscire nemmeno io a sentirmi.
Inutile dire che Paolo non si fermò questa volta, sfilandosi tutti i vestiti di dosso, ritrovandomelo nudo di fianco.
Si sentì in imbarazzo, lo capii immediatamente vedendolo buttarsi in acqua subito dopo aver levato le mutande, in modo maldestro, inciampando su se stesso più volte.
Gli schizzi di acqua mi colpirono ed io tornai lucida, nervosa e aggressiva, sia con l'espressione che con le parole.
"Dovete andarvene. E tu torna a vestirti subito. Se papà lo scopre sono guai!"
Guardavo Paolo, che spariva e ricompariva nell'acqua, immergendosi come un pesce.

Mi sentii lo sguardo di occhi verdi addosso per tutto il tempo, lui non si era mosso dal bordo piscina, continuando a fissarmi, così io mi inalberavo ancora di più sentendomi in soggezione.
"Sofia l'acqua è fredda solo all'inizio. Tuo padre è un bugiardo, dopo un po' ci si abitua subito. Vieni ti prego!"
Mi pregava perfino, ma era un illuso se credeva che gli avrei dato ascolto. Inoltre avevo paura di quella piscina di giorno, quando ancora riuscivo a vedere il fondo; figurarsi quando era tutto nero.
Mi voltai, pronta ad abbandonarli dietro le mie spalle, correndo a casa, svegliando i miei genitori che li avrebbero cacciati.
Quando occhi verdi disse: "Ti prego Sofia."

Mi salì un brivido su tutto il corpo: come si permetteva di chiamarmi per nome? Chi era lui per farlo? Perché avevo la pelle d'oca nel sentirgli pronunciare il mio nome?
Non erano altro che dei bambini sperduti, venuti per appropriarsi di ciò che non era loro.
Mi avevano bloccata quelle parole, restavo ferma tra due mezzi: mio padre, la mia famiglia, la mia stanza oppure quel duo, anzi trio, di sventurati senza coscienza.
Non sapevo cosa fare, dove andare, per un attimo pensai al Dio che Paolo tanto invocava, che mi desse la soluzione lui perché io ero confusa. Maledettamente confusa.

Così chiusi gli occhi.

Una volta fatto non so cosa mi prese, ma feci cadere la maglietta di mio padre, rimanendo solo con le mutande, ed il mio seno ormai abbondante che si lasciava sfiorare dal vento.
Solamente se tenevo gli occhi serrati riuscivo a vivere quel momento, sentendomi improvvisamente libera di tutto. Quando li aprii mi venne un colpo al cuore, tornai a richiuderli per cercare riparo ma sciolsi comunque i capelli, per poter nascondere appena il mio corpo.
Sentii gli occhi di Paolo in quel momento di silenzio, aveva smesso di giocare in acqua, si era fermato ed ora sicuramente mi stava guardando. Come tutti gli altri.
Vederci nudi avrebbe rovinato la nostra amicizia?

"Le mutande non le tolgo!" – dissi con voce prepotente, sentendomi ancora più cretina di prima.
Nessuno aggiunse altro, mi voltai tenendo un solo occhio aperto. Mi fissavano tutti e tre, Paolo come sempre con la sua faccia ebete, ma in quel momento mi parve come un segno di approvazione.
Il ragazzo che nuotava più in fondo non riuscivo a vederlo, mentre occhi verdi che stava con il mento a pochi centimetri dai miei piedi, mi guardava con la bocca aperta e le spalle rigide.
Lo avevo paralizzato, come poco prima c'era riuscito lui. Possibile?

Ricordai la mia paura dell'acqua, ma volevo sembrare forte, anche se tutti penso avessero visto le mie gambe tremare quella notte.
Mi sedetti a bordo piscina, con le gambe dentro che sguazzavano. Non capivo quell'insieme di sensazioni, appariva tutto distante e vicino allo stesso tempo.
Volevo chiedere i nomi, stressarli finché non me li avessero detti, ma seppero anticiparmi – anche perché ero divenuta muta col passare dei minuti.
"Lui è Alessandro. Chiamatelo Ale" – disse occhi verdi, indicando il ragazzo che era rimasto nell'ombra da quando eravamo arrivati. Paolo, che gli era stato più vicino, seppe descrivermelo solo dopo, quando rimanemmo soli.
"Io invece mi chiamo Michele."
Occhi verdi aveva un nome finalmente, sorrisi quando lo pronunciò.

Poi, non lasciandomi godere di quella conoscenza, mi afferrò le gambe e mi portò giù, nelle viscere di tutti i miei peggiori inferni, il fondo della piscina.

Sentii subito l'acqua che mi entrava in gola, le gambe pesanti e le braccia deboli per staccarsi da quella morsa.
Ma per uno o due secondi stetti bene, sentendo non solo quell'angosciante ravvicinamento con la spaventosa acqua, ma anche l'abbraccio di Michele, il contatto con i nostri corpi, la nostra nudità che si intrecciava in una danza strana.
Sentii i suoi capelli sul collo, le sue mani sulle mie gambe raggomitolate, il suo petto sulla mia schiena.
Pareva mangiarsi la mia capigliatura folta, che scivolava su di lui come tentacoli, scoprendo totalmente il mio seno bianco, senza un minimo di abbronzatura, che rifletteva anche in quell'oscurità tormentosa.
Poi, vedendo i miei soffocamenti seguiti da bracciate scoordinate, mi mollò spingendomi in alto.

Feci un grande respiro, il cuore mi batteva come non mai, ma nessuno seppe il vero motivo dell'esplosione che stava avvenendo dentro di me.
Michele mi riapparve con la faccia davanti alla mia, eravamo vicinissimi. Non so nemmeno io perché ma mi arrabbiai: "Sei un idiota! Potevo morire soffocata Cristo!!"
Urlai così forte che Paolo schizzò fuori dall'acqua per controllare che le luci in casa non si accendessero. Per il momento sembravamo sani e salvi; mi urlò contro in risposta: "Potevi svegliare il dottore!"
Uscii dalla piscina, nuotando come un cane, poi indossai la maglietta di mio padre e strizzai i capelli.
Per una volta Paolo capì cosa intendevo fare e quanto importante fosse. Si rivestì anche lui.

"Siamo permalosi eh" – fu l'ultima frase che sentii pronunciare da Ale quella sera. Era stato zitto tutto il tempo, poteva farlo anche allora.
Una volta che il mio compagno di stanza finì di rivestirsi, notammo una specie di confusione collettiva. Successe tutto così in fretta da non saper distinguere gli eventi: prima vidi Michele e Ale allontanarsi nel lato più distante della piscina, poi emergere raccogliendo i vestiti, tutto in una corsa strana e meccanica.
Poi apparve mio padre da dietro le mie spalle, che li inseguiva.
Infine sparirono, tutti e tre nella boscaglia. Sperai che mio padre per quella sera ci lasciasse in pace, nascondendoci in camera nostra prima che potesse tornare indietro.

Ma niente da fare, ci ritrovammo a dormire noi due nella camera dei miei genitori e loro nella nostra, così che ogni nostro movimento d'ora in poi creasse scricchiolii per tutta la casa, sentito soprattutto dall'orecchio vigile di mio padre.
Le chiavi pensai di non riaverle indietro per parecchi giorni.

Non riuscii a dormire quella notte, in un secondo mio padre mi aveva riportata ad essere una bambina che viene sculacciata quando combina guai. Anche Paolo l'aveva vissuta così, arrossendo per l'imbarazzo del venir smascherati, eppure lui s'addormentò subito.
Io non potevo, non potevo dimenticare quello che era accaduto.

Quei ragazzi, quegli occhi, la piscina, la notte, la mia nudità, la nostra nudità ... quell'abbraccio sottacqua.
Non dimenticai nulla, mai.












Spazio Autore:
Chiedo scusa per la lunghezza del capitolo e la suddivisione in più parti, ma come avrete capito con le parti lunghe è sicuramente meglio tagliare e creare stacchi, in modo da rendere a voi lettori il tutto più scorrevole!
Grazie mille :)

SE CHIUDO GLI OCCHI È TUTTO BUIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora