12. DICIASSETTE ANNI (parte 1 di 7)Da quando avevo conosciuto Paolo arrivando ai giorni nostri erano passati diciassette anni. Ora restavamo solo noi due, a parlarci e ricordarci quei giorni felici, quelle estati stupende, spensierate e lunghe.
Non sapevo bene se eravamo amici, conoscenti o nemici, pronti a battersi per lo stesso amore, quello di Spezzano Albanese.
Tramontava il sole mentre io aprivo una birra con le chiavi, sdraiata su una pianura sabbiosa, ove un tempo c'era la piscina, con a fianco Paolo che finiva di girare l'ennesimo joint della giornata.
Ormai fumava erba anche otto volte al giorno, o almeno io sapevo così.
Non volevo sapere altro, non gli chiedevo, non ero affatto interessata ai suoi vizi, avevo già le mie cose a cui pensare, e il tempo in cui ci curavamo a vicenda era terminato parecchio tempo fa.
Eppure eccoci qui, diciassette anni e ancora noi, io trentenne, lui quasi, due adulti che non hanno saputo crescere, rifugiandosi in chissà quale malsano sogno che non si è mai avverato.
Una sola cosa ci teneva legati: la voglia di conoscere la verità.
Entrambi avevamo domande lasciate in sospeso, forse perché in fondo le regole dei Mangiaterra ci avevano profondamente colpito da piccoli, ficcandoci in testa che 'non si deve domandare' e che 'i segreti vanno mantenuti'; certo, un confidente è tenuto a tappare la bocca, ascoltare e professare qualche consiglio, ma ora sono dell'idea che i segreti siano maligni, tengono lontane le persone che ti circondano dalla realtà, formano un muro, e ci si ritrova anni dopo con pezzi di vita irrisolti.
Per questo io e Paolo dovevamo parlare, nonostante gli anni passati, di quelle lontani estati, porgendoci le domande che non ci eravamo fatti prima, svelando tutta la verità.
Per primo volevo che parlasse lui.
Guardava il vuoto davanti a sé, una landa deserta ove fuoriuscivano gli uliveti di mio nonno, Paolo teneva lo sguardo fisso, si mordeva la bocca, preparandosi a raccontarmi ciò che volevo conoscere.
Si strinse con la mano destra la maglietta, sul petto, e tirò una boccata dalla canna che aveva alla sinistra."Sei sicura di voler sapere la mia?"
Lo disse senza nemmeno guardarmi, forse lo avevo aggredito un po' troppo quel giorno, comportandomi freddamente e con la voce bassa.
Cercai di apparire più dolce con il tono: "Sicura.""E' un viaggio lungo ... di quasi vent'anni lo sai?"
"Lo so."
Dovetti aspettare che terminasse di fumare, poi ci aprimmo un'altra birra e lui spense la canna dentro la bottiglia precedente – vuota.
Schiarì la gola e iniziò a raccontarmi.
"Da piccolo sono sempre stato solo, ormai lo sai, ne abbiamo parlato ogni tanto. Ma tu non hai mai fatto domande ambigue Sofia, tu mi ascoltavi e basta, senza stressarmi.
Frequentavo le elementari in una scuola comune, nonostante dormissi in patronato, ma i bambini mi prendevano in giro o mi riempivano di domande sui miei genitori.
Persone a me sconosciute, cosa potevo mai rispondere quando mi si chiedeva chi fossero?
Per un po' li ho aspettati, seduto sui gradini del patronato immaginavo un giorno di vederli arrivare con una macchina, salutarmi affettuosamente, dicendomi qualcosa del tipo: ' scusa il ritardo amore.'
Non ero solo i primi anni con i preti, c'era qualche altro bambino 'strano' che era stato portato lì. Ma col tempo qualcuno se ne prendeva cura, mentre di me nessuno voleva sapere niente. Un parroco una sera mi disse che era per via dei miei occhi, che ricordano quelli del demonio.
Da lì inizia a ferirmi: sbattevo la testa contro il muro, premevo le forchette sul palmo della mano, mi frustavo con un rosario e se ero fortunato provavo con qualche pezzo di legno che trovavo in giardino.
Non voglio vittimizzarmi, perciò salterò qualche passaggio più estremo sulla mia infanzia. Parliamo invece delle rose di tua nonna.
Furono una vera scoperta, dei rami con le spine, chissà quanto potevo farmi del male con quelli.
Una notte sognai di colpirmi con un ramoscello delle rose sul viso, se fossi stato bravo mi sarei potuto bucare gli occhi, gli occhi del diavolo, e venir finalmente perdonato dall'Altissimo."Queste parole mi fecero tornare alla mente il mio primo pensiero su Paolo, anch'io avevo immaginato di spingere i rami delle piante contro i suoi occhi inquietanti.
Non volli interromperlo e non volevo nemmeno apparire nostalgica, lo lasciai proseguire."Ma poi sei arrivata tu Sofia, la bellissima ragazza della porta accanto."
Arrossii, forse per la birra, forse per le sue parole.
"Ormai studiavo privatamente, non frequentavo le scuole tue, e mi sentivo al sicuro dal mondo esterno.
Ma tu, tu Sofia mi hai salvato, portandomi in questi paesaggi, facendomi conoscere lui.""Lui?" – dissi spalancando gli occhi, osservandomi i piedi.
"Lui. Michele, il ragazzo più incredibile che io abbia mai conosciuto. Te la ricordi la prima volta che lo abbiamo visto? Eravamo proprio lì." Indicò con il dito il vuoto davanti a noi.
Annuii, e lui disse: "Era bellissimo vero? Me lo ricordo, stavamo entrambi con la bocca aperta a guardarlo, mentre si tuffava in acqua. Quel corpo, quell'immagine, non la dimenticherò mai."
Divenni nervosa: "Ero io quella con la bocca aperta! Michele era una calamita per me già all'ora."
"Sbagli" – disse rubandomi una sigaretta, raccogliendo il pacchetto che tenevo vicino a me, per terra – "Michele era un magnete per tutti noi."
Sorrisi, in fondo non l'avevo mai presa in considerazione questa realtà, ma era vera, la conoscevo bene senza mai pormela in testa: Michele ci univa tutti, lo aveva sempre fatto, ma non con la forza, con ostinazione, obbligandoci, ma semplicemente perché io, Paolo e Ale, eravamo incondizionatamente attratti a lui.
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SE CHIUDO GLI OCCHI È TUTTO BUIO
General Fiction'Mi rassicurò un pensiero. Se è nella notte blu che io trovo pace, se pur pensierosa ed angosciante, allora anche quando sarà giorno mi basterà chiudere gli occhi. Se chiudo gli occhi è tutto buio.' • Sofia è una ragazza di vent'anni all'inizio de...