5. LA PISCINA 2.0

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Camminai veloce, sentendo il suo fiato corto dietro i miei passi. Bussai nella porta sul retro della casetta di mia nonna, mi aprì ed io mi chiusi in bagno.
Le mestruazioni erano passate da giorni, ma il nervoso era tornato a tormentare la mia anima. Bagnai il viso al  lavandino, puzzava tremendamente di acqua stagnante.
Mi allontanai subito da quell'odore sgradevole, passando il viso sull'asciugamano, che per fortuna, profumava di nonna. Mi calmò e potei tornare alla mia estate dei sogni, con Paolo, dimenticando subito l'accaduto.

Lo feci davvero, scordai tutto per qualche ora, finché non arrivò la sera.

Io e Paolo dividevamo la mia stanza, al primo piano, la più bella stanza di tutta la casa. Perché seppur non munita di balcone, aveva in compenso uno splendido terrazzo – nonché il tetto della casetta di mia nonna.
I miei genitori quando ero piccola preferivano mettermi lì a dormire, in quella enorme stanza, troppo grande per una sola bambina. Ma fu proprio per la mancanza dei balconi.
Quelle grate di ferraglia antica avevano il difetto di cadere se colpite troppo forte, ed io all'età di sei anni avevo una orrenda fissa per gli autoscontri.
Se non avevo macchinine in mano allora l'auto divenivo io stessa, scontrandomi contro qualsiasi cosa.
Mia madre stava cucinando, tenendo la portafinestra spalancata. Aveva chiesto più volte a mio padre di guardarmi.
Io continuavo ad andare addosso i muri, le gambe delle persone, i mobili, le porte e le sbarre del balcone.
Mi salvò lei, per un pelo. Fu la prima notte in cui dormii con mia madre nella mia cameretta, la prima volta che li sentii, i miei genitori, litigare ferocemente.

Lo spiegai a Paolo mentre mi cambiavo per dormire, coperta da un'anta dell'armadio.
Seppe rovinare tutto, di nuovo, riportando alla mente quel disagio del pomeriggio stesso: "Indossi le mutande che avevi in giardino?"

Questa situazione non sarebbe scomparsa da sola, andava fermata da me.
Affrontai per la prima volta un discorso importante con Paolo, comportandomi da ragazza, ponendo i giochi da parte.

"Ti devo parlare" – dissi con tono basso e serioso. Lui si mise nel suo letto, parallelo al mio, mentre io mi appoggiai davanti a lui, sulla finestra che portava al terrazzo esterno.
"Non devi più farlo!"
"Fare cosa?"
"Vorrai scherzare spero. Parlare delle mie mutande. Non sei qui per questo."
"Perché sono qui Sofia? Per giocare e basta?" Mi salì il sangue al cervello.
"Per passare il tempo insieme per l'amor del cielo! Siamo amici."
"Io non lo so cosa siamo, non hai mai specificato niente!"
La sua arroganza, il suo continuo sorriso, furono come una spina sul fianco quella sera.
"Io e te non abbiamo una relazione, né mai ne avremo una. Siamo amici, sei più piccolo di me, non pensare mai che ci possa essere altro!"
Lo dissi con la voce arrabbiata, svelavo tutto il fastidio che mi aveva dato.
"Io non ho amici Sofia. Sicura che lo siamo? Cosa ricorderai di me quando non ci sarò più?"
Cercava di farmi pena, ma il suo intento falliva di secondo in secondo: "Basta con queste cavolate Paolo! Siamo amici, non lo voglio ripetere ancora. Non ora che siamo qui. Se un giorno mi dovessi dimenticare di te allora cercami Cristo! Saprò ammettere i miei sbagli."
Non avevo mai affrontato una conversazione simile, mi sentii improvvisamente adulta.
"Sicura che non ti piaccio? In quel senso dico."
"Sicurissima! Sei un mio amico, rovinerei tutto se mi ponessi anche solo la domanda!"
Ci riflettei su quelle parole, poi aggiunsi: "Tu ci hai pensato?"
"No. Te lo giuro!"
Lo aveva detto subito, senza pensarci. Supposi che fosse sincero, ma volli una conferma ulteriore.
"Su cosa lo giuri?"
"Sulla nostra amicizia." Non era abbastanza, non sapevo ancora quanto fosse importante per lui.
"Non basta."
"Allora dimmelo tu!" Rispose con tono scettico ed annoiato, alzando gli occhi al cielo.
"Non so a cosa tu tenga ..." Ero sincera, non lo conoscevo per niente.

"Giuro su Dio."

Volevo ridergli in faccia, ma il buon senso mi venne incontro, perché in fondo Paolo non aveva altro che Dio nella sua vita.
Accettai quel giuramento, ci stringemmo nuovamente le mani, fu l'ultimo patto con Paolo per tanti anni.

Ero tornata serena, lo capimmo subito, lo invitai a stare con me sul terrazzo.
Probabilmente fu per quelle parole pronunciate, che ci legavano finalmente in una amicizia sincera, che egli trovò le forze per aprirsi e confidarsi con me, molto più di quanto avesse mai fatto prima.
"Nella vita ho sempre e solo avuto la religione Sofia." Mi parlò tenendo gli occhi alti, verso il cielo stellato della Calabria, che pareva vicinissimo a noi.
"L'ho capito sai. Tu non ci credi, sei una di quelle persone che in parrocchia vengono definite pecorelle smarrite.
Però sai Sofia. Dio c'è. Magari non è quello che conosco io, forse non lo sa nessuno davvero bene chi è o cos'è, ma lui è presente."
Mi sedetti come lui, sul pavimento, con le gambe incrociate ed il naso all'in su.
"Cosa te lo fa credere?" – chiesi, sbuffando un po'.

"Benedetto sia Iddio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre delle misericordie e l'Iddio d'ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché, mediante la consolazione onde noi stessi siam da Dio consolati, possiam consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione. Perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.
Talché se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; e se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi patiamo. E la nostra speranza di voi è ferma, sapendo che come siete partecipi delle sofferenze siete anche partecipi della consolazione."
Prese fiato, poi continuò, ed io mi sentii stupida solo perché lo ascoltavo: "Dai Corinzi. Ti è piaciuta?"
"Non ho molto capito."

Invece era tutto molto chiaro, per quanto distante dal mio mondo. In quello di Paolo, in cui io non riuscivo totalmente ad immergermi, come nelle acque della piscina, Dio era consolazione, una guida per un mondo oscuro.
"Perché ti affliggi tanto Paolo?" – chiesi con voce titubante.
"Te l'ho detto. Nessuno mi ha mai voluto in questo mondo, ma Dio in qualche modo si. Io riesco a sentirlo, quando mi confesso, quando prego, quando chiedo perdono, riesco a percepirne la presenza! Sto meglio, questa è una risposta per me."
Ebbi per un po' di tempo il timore che Paolo volesse farsi prete, ma lui negò più volte questa mia supposizione.

Quella sera aveva anche parlato di mia nonna, del suo credere alla presenza di mio nonno vicino a lei, ma scordai presto quel discorso, ero stanca, con il cervello affaticato. Quel mattino mi ero svegliata presto, avevo affrontato un viaggio lungo, ma Paolo tra alti e bassi mi aveva sfinita più di qualsiasi altra cosa.
Volevo solo che tacesse, abbandonandomi alla brezza estiva e dall'abbraccio delle stelle.
A parte la luce della nostra camera, filtrata dalla zanzariera, c'era solo il buio della notte e le sue stelle.

Quando finalmente Paolo si sdraiò, come me, a fissare il cielo, ebbi la certezza di stare bene. Non mi sentivo così leggera da anni. Nel mio profondo pensai: 'forse è stata la sua preghiera.'
Possibile. Una preghiera dedicata al conforto, che mi aveva portato ad una serenità estrema.
Per un attimo sognai da sveglia, vedevo me e Paolo da grandi su quel terrazzo, ancora insieme, amici come sempre, a raccontarci le nostre storie. Io che gli parlavo del mondo moderno e lui che mi curava lo spirito con le sue preghiere che io non avrei mai pronunciato.
Era un'immagine di pace, di equilibrio e di speranza la mia. Quelle emozioni e quei sentimenti, che solamente nella gioventù erano una verità assoluta.

Benedetta pubertà. Benedette le emozioni contrastanti, le contraddizioni, le sensazioni forti e vere; grazie della tua benevolenza, della tua leggerezza assoluta nel caos stesso. Questa era la mia preghiera quella
notte stellata.
La prima notte che riconobbi essere blu e non nera come molti pensano. Scura sì, la notte è scura e per questo profonda, così intensamente da farmi dimenticare tutti i mali, nel suo buio la pace stessa.

Ci fu un suono però che mi richiamò all'attenzione, riportandomi con i piedi su questo mondo aprendo gli occhi. Era leggero, un eco sinistro. Proveniva dalla piscina.





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SE CHIUDO GLI OCCHI È TUTTO BUIODove le storie prendono vita. Scoprilo ora