14. GLI SCHIFOSI (3/5)

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Di nuovo quella faccia, quelle che anche agli altri era comparsa sentendo quel nome, con quell'aura funerea che si manifestava tutt'intorno.

"Non so quanto potrà esserti utile, ma se vorrai risponderò alle tue perplessità, se potrò farlo."

"Ti ringrazio ... com'è mor- ..." – ma Giulio mi prese per un braccio, zittendomi, ed in fretta bisbigliò: "Facciamo due passi cara."

Dunque era un argomento che, a vista del suo comportamento, turbava persino la figlia e la moglie, evidentemente.

I miei pensieri forse erano più concreti di quanto credessi, Michele c'entrava qualcosa con quella triste faccenda.

Giulio aveva un insolito passo veloce, riconoscevo i suoi movimenti tra la selva, gli stessi che avevano Ale e Michele che riuscivano a confondersi con il resto degli alberi, diventando un tutt'uno con la terra.

Quando fummo almeno lontani trecento metri dalla sua dimora iniziò a parlarmi: "Sai piccola ... sapevo che un giorno saresti apparsa, eppure speravo che questo microcosmo di flora potesse tenerci distanti per almeno altri dieci anni.
Tuo nonno fece sapere a tutto il paese che tu, Sofia, eri nata. Era il Febbraio di sedici anni fa, per me è come fosse ieri. Un giorno saprai sicuramente renderti conto meglio di quello che intendo."

Non capivo le parole di Giulio, stava forse cercando di sviare il discorso? Ma stetti al gioco: "Perché hai finto di non conoscermi?"

"Non lo so, mi sembrava il modo più facile per parlarti. Hai un'ottima memoria comunque. Non saprei dirti se è una fortuna."

Non era il primo che me lo diceva, eppure mi pareva di dimenticare già così tante cose, importanti dettagli, immagini che mi sarebbero servite anche da vecchia.

"Ciò che è accurato sia una sfortuna, e ti prego di non travisare le mie parole, è che sei nata donna" – avrei voluto ribattere ma continuò senza lasciarmi interromperlo, alzando la voce – "Ed io ho avuto un figlio maschio. Questa è la sfortuna mia cara.
Però io da credente quale sono, so che Dio ha un disegno per tutti noi, ed è giusto così. Ho accettato il fatto ancora quando sei nata, sapendo che saresti venuta qui tutte le estati e prima o poi, acquistando la curiosità di tua madre, avresti percorso questo bosco, incontrando mio figlio.
Dio però a volte fa dei disegni davvero strani, che nemmeno il più religioso meridionale di tutta Spezzano, che sono io, riesce a comprendere.
Egli mi ha donato un secondo bambino, non voluto, non cercato, ma trovato e amato, e che Dio mi perdoni per queste parole, forse lo amo più del mio stesso figlio."

Giulio iniziò a strofinarsi gli occhi, voltandosi lasciando in mostra solo le sue enormi spalle, continuando imperterrito a camminare.

"Ad un certo punto però il Signore ha voluto risollevarmi, la pena di amare di più il figlio di altri era stata una dura sconfitta per il mio animo umano, e come premio per la mia devozione e sconfinato perdono che provavo ormai anche per me stesso, Dio mi ha mostrato una luce: il tuo chiaro disinteresse per Alessandro, fu un vero sollievo Sofia, non me ne volere per questo."

Ciò che riuscivo a capire dalle parole di Giulio, era il suo senso di disgusto o odio nei miei confronti, eppure detti con la sua voce serena e tranquillante, ché proprio mi era impossibile odiarlo.

Continuò, mentre io ormai abbattuta mi sentivo sprofondare nella terra umida: "Ma era solo un'illusione di quiete mia dolce e piccola bambina. Perché fui messo dinanzi una nuova prova, la più difficile di tutte: mio figlio mi ripudiava, sputando sulla mia religione, e l'altro, il figlio di chissà chi, che io amavo come fosse mio, che si innamorava. Si innamorava di te, allontanandosi dai miei insegnamenti, ed abbracciando quel mondo moderno che tu gli hai gentilmente offerto."

Mi bloccai di colpo e dopo un passo si fermò anche lui; solo dopo qualche secondo mi resi conto dov'eravamo: alla casa nella selva, il rifugio dei Mangiaterra.

"Oh Sofia, non odiarmi ti prego, non ti sto incolpando di nulla, il vostro è un sentimento umano ... però vedi, Michele è un ragazzo difficile, viene da una famiglia disastrata e rimetterlo in ordine è stato un compito difficile, ma che Dio me ne voglia, è stata la soddisfazione più grande della mia vita.
Temevo che l'amore potesse distrarlo da ciò che era giusto imparasse ora, ora che è così giovane."

Basta, non volevo più udire una sola parola, per un secondo avrei desiderato urlargli contro e se il cartello 'vendesi' fosse stato rimesso in piedi negli anni, lo avrei volentieri colpito ancora.

Ma la ragione mi venne in aiuto, rielaborai quanto Giulio stava dicendo e mi trovai disorientata, il suo era un discorso senza capo e coda e con tutta la prepotenza che avevo in corpo gli risposi: "E perché non potevo innamorarmi di Ale? Cosa ti fa pensare che io non lo sia mai stata?"

Giulio non disse nulla, ci pensò alla risposta quello è certo, e mentre lo faceva si accarezzava il mento e il collo con le mani, le sue grandi mani da gran lavoratore.

Mi tornarono alla mente le parole che aveva detto poco prima, che per me non corrispondevano al vero: 'Hai un'ottima memoria comunque.'

Eccolo, quel pezzo di puzzle mancante, quel dettaglio che con difficoltà ricordavo, quelle mani grandi che qualche ora prima sostavano dietro la porta di casa mia, con mia madre che le nascondeva da me con tutta l'ansia e lo spavento che le avevo creato.

Le mani che tenevano la nuca di mia madre, in un bacio, erano quelle di Giulio.

'Schifosi' – dissi nella mia testa – 'schifosi tutti e due. Schifoso tu, che predichi e poi razzoli male. Schifosa lei, che ora il sorriso di papà lo vedo poco perché aveva una storia con te.'

La mia classica scena stava per ripetersi, correre in lacrime a casa, sbraitare contro mia madre e giunta a quel punto, ad un passo dall'esaurimento, cercare un modo per tornare a casa – di mio padre – il prima possibile, salutando per sempre questo paese maledetto.

Giulio però mi trattenne, infierendo ancora di più – di quanto non sapesse di aver fatto – facendo scoppiare quel poco del mio cervello, e del mio cuore, che ancora riuscivo a tenere saldo; smise di riflettere su che dire, e cambiò discorso, colpendomi ancora più in profondità: "Non è scappato da Spezzano Albanese perché Tiziana era incinta ... aveva delle cose da risolvere ed era in casa quando lei è morta. Sei più tranquilla ora?"

Colpita e affondata, una ferita invisibile che però non si rimarginava nemmeno per qualche secondo, quei pochi istanti che mi sarebbero serviti per fuggire a gambe levate e urlare di nascosto, piangendo sola e sfogandomi. No, non avevo più le forze, avevo perso tutto, ogni verità era stata ribaltata nel giro di una passeggiata, e tutta la mia vita mi sembrò una amara bugia, una punizione Divina – come dice Giulio –  o forse una prova del Signore stesso, ma questo Dio evidentemente doveva odiarmi molto.

 No, non avevo più le forze, avevo perso tutto, ogni verità era stata ribaltata nel giro di una passeggiata, e tutta la mia vita mi sembrò una amara bugia, una punizione Divina – come dice Giulio –  o forse una prova del Signore stesso, ma questo ...

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