VIII

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Lena fissava con i due occhioni scuri l'amica Sole, che era imperscrutabile, come al solito. A volte, durante una conversazione, smetteva di parlare e guardava fuori dalla finestra, oppure fissava la gente senza proferire parola, semplicemente così, con i suoi occhi diversi come due fiocchi di neve. Uno grigio chiaro, l'altro talmente scuro che ci si chiedeva se qualcuno avesse spento la luce della stanza quando lo si guardava. 

Avrebbe voluto riuscire a rompere quella corazza di iamante che Sole si portava sempre appresso, con la quale era sempre calma e imperturbabile. Forse era il fatto che dopo quel giorno, le parole le erano uscite dalla bocca più raramente che a un muto, o che la malattia le riempisse la mente talmente tanto da non lasciarla aprire bocca.

Questo stato psichico avrebbe potuto presupporre una confusione, una tristezza perenne, un bipolarismo, ma niente, lei era fredda, calmissima, sempre. La depressione le sciupava qualsiasi emozione, qualsiasi sentimento, non dimostrava affetto se non verso Lena e Menta, il suo cane, che aveva vissuto tanto quanto lei.

Era riconoscente verso la sua famiglia adottiva, ma niente di più. Aiutava in casa, andava bene a scuola, ma Lena vantava il privilegio di essere stata l'unica ad averla vista ridere.

Ormai Lena ci aveva fatto l'abitudine, non le chiedeva più nemmeno come stesse, o se andasse tutto bene: non lo sapeva nemmeno lei stessa come si sentisse, era un contrasto tra un mare in sobbuglio, in una tempesta vorticosa, e un cielo grigio, in bianco e nero, con una pioggerellina fine fine, insipida.

Erano sedute su dei gradoni di un palazzetto sportivo, con centinaia di ginnaste che giravano intorno, allegre, colorate, mentre si preparavano per lo spettacolo della serata, ma intorno a loro due regnava il silenzio e il grigio, che batteva qualsiasi colore. Sole era bravissima, era una promessa, e la società se la teneva stretta come se fosse un tesoro d'oro. Gareggiava in serie A da due anni, e quell'anno si stava allenando per gli europei giovanili, anche se mancava un solo anno perchè potesse andare a quelli ufficiali.

A 16 anni aveva vissuto più esperienze di tanti quarantenni, ma non se ne era mai fatta un vanto.

-Lena, esco un attimo.- Impassibile, scendette i gradoni per andare verso il cortiletto esterno. Pure i bambini, che a volte si fiondavano sulle agoniste come se fossero le loro baby sitter, la evitavano, avevano capito che non aveva tanto affetto da devolvere in carità.

Pioggerellava gocce belle tonde ma non troppo pesanti: il giusto per sentirle sulla pelle, ma non abbastanza da penetrarle nella pelle: poche cose riuscivano ad entrare dentro di lei.

Andò in un angolino in cui spesso si rifugiava per scappare per soli cinque minuti a quell'estenuante ritmo che la annoiava a morte. Fu lievemente sorpresa nel vedere Gabriele, un ragazzo, anche lui di serie A, di cui aveva sempre notato il naso ridicolmente all'insù.

Teneva fra l'indice e il medio una sigaretta accesa e quando sentì Sole avvicinarsi sussultò lievemente.

Lei tenne gli occhi nei suoi e si sedette sul gradino di fianco al suo:-Hai una sigaretta?-

-Non dovresti fumare.-

-Non ti ho chiesto cosa devo o non devo fare. Ti ho chiesto una sigaretta.-

Lui gliela porse.

-Grazie.-

-Hai l'accendino?-

-No.-

-Cosa aspettavi a chiedermelo?-

-Avevo paura di sembrare una che chiede troppo.-

-Ti fai un sacco di pippe mentali.- Gabriele le porse l'accendino, lei lo guardò dritto negli occhi, leggermente scossa da quel ragazzo che si prendeva così tante confidenze.

LovestoriesWhere stories live. Discover now