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Era un sabato sera e stavo tornando a casa.

Pioveva, finalmente, dopo mesi di secca, tempo nuvoloso ma che riversava le lacrime altrove, finalmente si era deciso a lavare anche la nostra città.

Ciò che provavo non era tristezza, ma melanconia.

Si sbaglia spesso a confondere la melanconia con la nostalgia, la nostalgia è la tristezza dovuta dal ricordo di qualcosa che è passato di corsa e di cui sentiamo l'assenza, la melanconia è uno stato d'animo in cui ciò che ti manca è la spensieratezza e la forza di fare il passo successivo, si ha semplicemente voglia di sedersi, fermarsi e dire basta, a qualsiasi cosa. A me spesso attaccava insieme al mal di pancia e al sentimento di non avere speranze, il cui si traduceva in qualcosa di terribilmente apatico che mi mutava in un morto vivente, senza interessi per la vita reale, ma solamente per quella nella mia fantasia, in cui andava tutto secondo i piani, ma che mi colpiva con un pugno quando mi riportava alla concretezza e alla brutalità della vita quotidiana, priva di ciò che mi avrebbe fatto stare bene: la felicità.

Non si ha bisogno d'altro per essere felici, basta la felicità, e dite poco. Avere la felicità è come avere l'acqua, ti scappa dalle mani e non riesci mai a tenerla ferma, almeno per me. C'è gente che ha le mani impermeabili e non si rende conto della fortuna che si ritrova, gente che, come me, ha mani troppo piccole, troppo inutili per un mestiere del genere, e il rendersi conto che la felicità scappa via ti pone in una posizione d'attenti che ti rovina la vita. Quando senti una goccia sulle dita inizi a saltare di gioia, non ti fermi, sei in preda all'euforia come se fosse una crisi epilettica, non smetti di ridere, e prende il controllo di te come una malattia. Quando inizia a scivolare via, stai malissimo. Io, almeno, sto malissimo. Ma questo temo non vi importi.

Stavo tornando, e identificavo come portatore della felicità Franco, che insomma non avrei potuto sbagliare di più. Franco per carità bravissimo, ma nessuno può portarti la felicità. La pioggia te la raccogli da sola, non sarà sicuramente qualcun'altro a fartela passare nelle mani, è semplicemente impossibile.

Passai davanti al bar in cui l'avevo visto abbastanza volte per identificare tal loco con possibile avvistamente di felicità, perciò a volte capitava che mi appostassi nei paraggi per tenere la situazione sott'occhio, nonostante affermassi che non m'importasse più niente di Franco.

Tirai su il mento, pensai che mi avrebbe visto e si sarebbe mangiato le mani.

Una ragazza così si era lasciato scappare, una ragazza che incredibilmente il sabato sera mentre piove torna a casa da sola e avrebbe avuto voglia di venirmi incontro e portarmi a casa in macchina, e mi avrebbe fatto qualche battutina, ed era molto nervoso, e poi mi avrebbe baciato, ma cio era troppo utopistico pure per gli standard dei pensieri generati dalla mia fantasiosa mente di un terzo.

Non era al bar.

Passai nel corso, allora, e guardai dritto a me, di modo che, se fosse stato in uno di quei gruppetti di ragazzi che riuscivano ancora a divertirsi (Dio solo sa quanto li invidiassi), avrebbe pensato che ero davvero una ragazza orgogliosa, e che facevo così anche quando stavamo insieme, e gli sarebbero mancati quei tempi, e ci avrebbe pensato tutta la sera, e  si sarebbe detto fra sè e sè che doveva cogliere l'occasione, e mi avrebbe scritto il mattino dopo, appena sveglio da un sonno bucherellato, ancora spossato, ma contento di poter muovere un passo nella mia direzione, ma nella realtà lui era scomparso dalle mappe, completamente.

Non era nel corso.

Passai quindi davanti a dove posteggiava sempre la macchina, così avrebbe interrotto il bacio con la ragazza con cui si vedeva in quel momento (non so nemmeno se esistesse, mi auguro di no, ma aggiunge dettagli interessanti alle mie utopie), le avrebbe detto che non riusciva a baciare qualcuno mentre pensava sempre a me, una povera bambina indifesa che aveva avuto tra le sue braccia strette, e che aveva lasciato andare come un uccellino che esce dalla foresta incendiata per inoltrarsi in posti sconosciuti e tenebrosi, col pensiero costante di voler tornare alla foresta, ma la foresta brucia e brucia e non c'è più la foresta, e quindi l'uccellino cerca, plana sopra quegli alberi che una volta erano stati la sua casa, ma non trova più niente, raso al suolo il sentimento.

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⏰ Last updated: May 17, 2019 ⏰

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