Introduzione dell'autore:
Non pagare il biglietto è illegale.Avrà avuto sui 35 anni.
Raggiungeva una media statura, niente di speciale; ma era sciupato, malandato, secco come una foglia secca, e talmente magro che avrebbe potuto sparire sotto i vestiti. Anche quelli, come lui, erano logori, ma tradivano intenzione: come se fossero stati scelti proprio per questa loro qualità.
Il suo torace era scarno, ma aperto e fiero. Il suo volto era vestito di una barba incolta e rarefatta, e i capelli erano neri, folti, corti, lisci, scombinati.
Ma era il suo sorriso a colpire: un ghigno aleatorio, divertito e padrone delle circostanze, a dispetto della costituzione dell'uomo che lo portava. E con il suo sorriso, i suoi occhi. Ardenti, vivi, funamboli tra la saggezza e la follia.
Questa fu l'impressione che mi fece Heimer, quando lo incontrai la prima volta.
Eravamo sulla banchina. Come al solito, seduto su una panca, guardavo i treni, e le persone, e le loro vite. Ogni tanto, lanciavo due dadi. Era un gioco stupido, ne ero consapevole. Ma mi intratteneva.
Pensavo ad un numero, e lanciavo i dadi. Se il risultato non era quello atteso, aspettavo, e pensavo. Poi ritiravo. Se invece usciva il numero che avevo deciso, mi alzavo in piedi, e prendevo il primo treno in arrivo, scendendo dopo il numero di fermate indicato dai dadi. E poi continuavo.
Fu su una di quelle banchine, dopo molti, molti lanci, che incontrai Heimer.
L'avevo notato da un po', che mi osservava tirare, divertito. Si sedette di fronte a me, guardandomi con quella sua smorfia sopra le righe.
- Come si gioca?
Gli spiegai il gioco.
- Facciamo così - ridacchiò Heimer - io tiro un dado e tu ne tiri un altro. Quando esce lo stesso numero saliamo su un treno.
Sorrisi debolmente, lanciando un dado.
Tre.
La mano di Heimer si levò nell'aria, liberando il cubetto di legno intagliato.
Uno.
Riproviamo.
Cinque.
Due.
Riproviamo.
Riproviamo.
Riproviamo.
Ma il doppio non viene. Non può venire. Perché sono sempre io, su una banchina come tante, a tirare il mio dado.
Solo.
Heimer, lui è salito su un treno molto tempo fa. Era uno come tanti, su quella banchina, ma il suo aspetto mi aveva lasciato qualcosa.
Chissà, se si chiamava davvero Heimer.
In fondo non ha importanza.
Tiro il mio dado, ancora una volta.
Sei. Era il numero che avevo pensato.
Mi alzo in piedi, ed entro nell'alveare di voci della folla che si aggira per il binario 11.
Chissà dove mi porterà il treno, oggi.
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Poetree
PuisiPiccola collezione di pensieri, sfoghi, estratti, storielle e sentimenti. Uno scorcio di vita, una raccolta di visioni (di cui molte, densamente allegoriche), in attesa del prossimo grande progetto. Che, fidatevi, ci sarà. P.S. Aria Liquida al momen...