Harway e il Deserto

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Introduzione dell'autore:
È consigliato accompagnare la lettura con musica a basso volume.
"Little Red Riding Hood Hits the Road", di Robert Wyatt, potrebbe non fare al caso vostro. Fa al caso mio.


Harway sedeva sulla panchina, rilassato. Solo.
Sopra di lui, le nuvole spumeggianti si rincorrevano con una certa agitazione. Dietro di lui, il sole si adagiava placido e solenne sull'orizzonte. Intorno a lui, solo dune. Sabbia a non finire. Qua e là, in lontananza, alti pinnacoli di roccia. Tra le sue dita, una sigaretta spenta a metà.
Davanti a lui, i binari. Interminabili, sempre uguali a sé stessi in entrambe le direzioni, fino a perdersi nello sfumato dei vapori di calore.
Harway resipirò lentamente il deserto. L'astro, sempre più basso, proiettava nel cielo e sui monoliti rocciosi un acquerello di ambra, fiamme e porpora. Le nuvole nuotavano tra i colori, scambiandosi occhiate di giocosa intesa.
Sorrise, con il volto rivolto verso l'alto, tentando di intrappolare la splendida visione nella memoria.
E attese.
Pian piano, il sole terminò il suo lento naufragio, e il dipinto sopra di lui si sciolse in un omogeneo blu ceruleo, via via più scuro. Harway si stiracchiò e si alzò in piedi; insieme alla luce era calata anche la temperatura, e incamminarsi sulle rotaie non era più intollerabile. Così, riacceso il mozzicone, proseguì il suo cammino, sotto la piacevole brezza della sera.
Era passato tanto tempo dall'ultima volta che aveva incrociato un altro viaggiatore; quanto a diramazioni dei binari, non gliene capitava una da anni. E riguardo il Treno, Harway non sapeva nemmeno dove finisse la speranza e iniziasse la leggenda.
Nei giorni in cui il cammino era particolarmente faticoso, immaginava il suo arrivo. Avrebbe annunciato la propria comparsa con un fischio squillante e intonato. Si sarebbe avvicinato con andatura baldanzosa, quasi danzante, le fiancate verde trifoglio in netto contrasto con il giallo e l'arancio della sabbia circostante. La locomotiva, dagli angoli smussati, il volto allegro e l 'ampia pipa sbuffante appoggiata allo sfiatatoio, lo avrebbe invitato con entusiasmo ad entrare. Harway avrebbe contemplato i vagoni, i tantissimi vagoni, indeciso, per poi scegliere quello dalla forma più morbida e accogliente. Si sarebbe seduto su uno dei panchetti di legno, aspettando lo sbuffo che segnalava la partenza; e si sarebbe quindi alzato, per esplorare gli altri vagoni.
Non era necessario che il Treno fosse veloce, no, e nemmeno comodo. L'importante era viaggiare con qualcuno, all'interno.
Era ormai notte fonda. Una spolverata di stelle punteggiava la volta celeste, e le dune di sabbia riflettevano timidamente la loro luce azzurrina. Iniziava a fare decisamente freddo, e Harway si sedette sulla ferrovia, estraendo dallo zaino una pesante coperta e avvolgendosi nel suo abbraccio.
Dopo un attimo di esitazione, si sdraiò, poggiando la testa su una traversina, per guardare meglio il cielo. E rimase fermo, a immaginare astratte forme geometriche tra i puntolini luminosi là in alto, perso nei suoi pensieri.
Chissà quanti altri. Chissà quanti altri, come lui, erano sdraiati su qualche binario, da qualche parte in quella infinita distesa di sabbia, a guardare le stelle. Tanti, di sicuro. Magari uno già dietro quella duna. Così vicini, invisibili uno all'altro. Certo, avrebbe potuto salirci sopra e controllare, salire sulla duna più alta di tutte, o addirittura su uno di quei torrioni che vedeva all'orizzonte, e scrutare tutto intorno a sé; ma la notte era troppo buia per vedere qualcuno, e se ci fosse andato di giorno, i miraggi del caldo avrebbero potuto fargli perdere di vista il suo, di binario. Era un rischio troppo grande.
Così tante persone, e ancora più sabbia.
Harway si girò sul fianco, aspettando il sonno.
Il giorno dopo si alzerà, e riprenderà il suo cammino. Il deserto è così grande, e c'è ancora così tanta strada da fare.
Forse, domani. Forse, domani.

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