3 - Purple Haze

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Purple haze, all in my brain
Lately things they don't seem the same
Actin' funny, but I don't know why
Excuse me while I kiss the sky.


Sedevano in una piccola caffetteria di quartiere a bere un frappè al cioccolato, dove l'imbarazzo e la tensione facevano da protagonisti a quella bizzarra situazione che Harry sfruttò per contemplare nuovamente la bellezza dell'angelo davanti a lui.

Helen lanciava di tanto in tanto qualche occhiata al suo accompagnatore, ma nulla avrebbe intimorito Harry che era ormai già giunto alla conclusione di farla sua.

La trovava incredibilmente irresistibile, meglio di una pistola d'ultimo modello e di un fucile a canna doppia messi insieme.

Le ragazze di Holmes Chapel non erano brutte, superavano di gran lunga le aspettative di qualsiasi uomo, ma lei aveva qualcosa in più. Si poteva vedere dagli innocenti abiti color crema e dal viso acqua e sapone che avesse un quoziente intellettivo maggiore rispetto alle oche che giravano da lì fino a un raggio di dieci chilometri. Lei scatenava in lui la voglia di uccidere chiunque la volesse.

Harry non poté fare a meno di mordere la cannuccia intrisa di frappè, la squadrò dal busto in su soffermandosi sulle sue labbra color fragola lesionate dai denti che ferivano la pelle sensibile ogni qualvolta Helen osava morderle.

«Parlami di te.» La richiesta uscì in un sospiro stanco, voleva avere l'onore di ascoltare la sua melodica voce, in quanto trattenere quel silenzio attorno a loro stava diventando frustrante e quasi fastidioso.

«Non c'è molto da sapere.» Helen fece spallucce, l'argomento non la sfiorava minimamente dato che la sua era una vita monotona e ripetitiva. Ma a lei andava giù, era tranquilla e quello le bastava. O quasi.

«Dimmi qualunque cosa.» Digrignò i denti per l'irritazione, mascherando il tutto con un banale sorriso e stringendo le mani in due pugni ferrei per cercare di calmarsi.

La fissò intensamente, quasi credendo di poterle leggere nel pensiero e scoprire che intimo indossasse in quel momento, magari portava una lingerie di pizzo nero.
Andava matto per il nero. Specialmente se abbinato ad una pelle bianca come il gesso.

Poté quasi specchiarsi nei suoi occhi per il modo in cui stava scavando in essi; lo attraeva, eccome se lo attraeva.

La sua mente non faceva altro che far scorrere immagini di loro due insieme: lei, una bellissima creatura sdraiata sul letto, con il corpo coperto da un leggero lenzuolo di lino bianco. Il paradiso terrestre che voleva diventasse suo in tutto e per tutto.

Helen si mise composta facendo arieggiare i suoi polmoni prima di inumidirsi le labbra e parlare sottovoce. «Mh, vediamo Sono nata in Texas, ma i miei genitori mi hanno costretto il trasferimento a circa venti chilometri da qui. Studio alla scuola comunale della mia città e, beh...», fece una piccola pausa. «Non mi viene in mente altro.» Terminò mormorando con voce bassa, talmente tanto che dovette sforzarsi lei stessa per riuscire a capire le sue parole.

Preferì non continuare il breve discorso, quella non era una vita da ammirare o invidiare, era semplicemente la sua esistenza. Penosa ed eccessivamente calma.

«Il nome della tua città?» Il suo battito aumentò all'idea di poterla incontrare in giro per le strade del suo luogo di residenza; le avrebbe rifilato qualche scusa banale come: «Mia zia abita qui» oppure «Ho un centro di studi proprio in questa cittadina».

Classiche ma regolari, anche se avrebbe voluto sputarle in faccia il vero motivo per cui si trovasse lì, gironzolandole attorno con lo sguardo di chi aveva dimenticato la sanità mentale a casa.

Magari avrebbe risolto la questione con un bel mazzo di rose rosse, una scatola di cioccolatini e una bella rivelazione sulla sua vera natura da assassino.

Malvagia la vita, era attratto da una ragazza che, oltre all'aspetto da angelo, lo era pure di carattere.

Bastarda.

Harry si agitò sulla sedia, prese a muovere freneticamente la gamba, sbattendo qualche volta contro la superficie sottostante del tavolo e facendo sobbalzare appena il contenitore di tovaglioli su cui poteva specchiare il suo viso sotto un riflesso deformato.

Helen non rispose, si limitò ad unire le fini sopracciglia verso il basso, particolari che le donavano un volto perfetto e ben curato.

«Il nome, Helen. Ti ho chiesto solo un nome.» Dilatò le narici in un'espressione di totale fastidio ed irritazione, in quanto, generalmente, la ragazzina non sembrava avere intenzione di spiccicare un numero di parole che superasse la decina.

«Harry, ti senti bene?» Domandò in uno stato confusionale vedendolo quasi più interessato al fatto di ricevere una risposta che non rientrava in un qualche campo preciso di conversazione, piuttosto che alla loro conoscenza.

L'uomo dai folti capelli ricci prese ad osservare l'oscillamento del liquido contenuto nel bicchiere di plastica ai piccoli movimenti del tavolo. Era così ingenua, non riusciva a capire che Harry stava da Dio sotto la convinzione di poter avere una possibile chance con lei, al pensiero di aver finalmente riaperto una breccia nella carneficina che sognava di mettere in atto.

«Sto benissimo. Adesso scusami, ma vado a mettere una vera canzone.» Si alzò facendo stridere la sedia al pavimento e dirigendosi verso il jukebox posizionato accanto alla cassa in fondo.

Rimuginò nei meandri del suo cervello, volle scegliere una canzone in grado di far riemergere alcune sensazioni di cui aveva bisogno per ritrovare la giusta ispirazione per uccidere come una volta.

Voleva tornare ai vecchi tempi e con lui anche l'emozione sfrenata di desiderare con tutto sé stesso una persona al di fuori di egli.

E poi, come illuminazione, gli tornò in mente la canzone in cui si rispecchiò completamente giorni addietro; ne aveva compreso il significato in un batter d'occhio, succedeva spesso con canzoni in grado di accompagnare armonicamente il suo stato d'animo.

Purple Haze, letteralmente Foschia Viola. Impetuose, fitte goccioline d'acqua che rendevano il paesaggio meno visibile, una tempesta di emozioni che procurava cecità davanti alle scelte proposte dall'esistenza.

Inutili, insignificanti goccioline che singolarmente nessun occhio umano era in grado di vedere, ma che unito al resto della sua specie, formava un velo quasi trasparente ma abbastanza compatto da ridurne la visibilità. La lucidità.

Esattamente l'emblema del disastro che era lui: pioggia pungente, fitta, dolorosa.

Hooded | h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora