2 - Angolo d'Inferno

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Nell'aria si alzò un odore acre di polvere da sparo; il sangue proveniente dal foro di Mary faceva ghignare Harry che, con movenze veloci, preparava la valigia per lasciare quella casa in balia d'un corpo senza vita, forato sulla fronte.

Afferrò il rovinato manico in pelle e permise al suo fisico di lasciare quell'ambiente diventato troppo caldo e di un aroma ferroso, simile a quello di un penny.

Diede un'ultima occhiata alla sua Mary che tanto adorava, l'unica in grado di distrarlo dai brutti pensieri e dal caso di cronaca nera che, con idiozia, gli agenti di polizia si ostinavano a portare avanti.

Ma in fondo la vita di nessuno era destinata a durare per sempre, nemmeno la sua.

Sapeva bene come uccidere, come muoversi senza lasciare traccia se non quella del suo respiro nell'aria fredda ed invernale dell'Inghilterra.

Oh, quanto gli piaceva uccidere. Il piacere non si conquistava con una donna, con il naturale ciclo riproduttivo, ma con la morte.

Elemento in grado di cambiare radicalmente la propria esistenza, di spezzare quelle radici che tengono la persona fissa sul pianeta.

L'inferno non era astratto, non era solo una parola o uno spazio creato da folli fantasie, ne si concepiva il significato una volta inflitto del dolore.

Raggiunse in pochi attimi la sua auto, vi salì al lato del guidatore scaricando la piccola valigia nei sedili posteriori e, puntando lo sguardo nello specchietto retrovisore, salutò l'innocente ma sporca anima della donna che perse la vita senza nemmeno rendersene conto.

Si mise in strada, fece aderire per bene le gomme delle ruote all'asfalto duro e ruvido occupato da appena una piccola fila di macchine, mentre il cielo prese ad annuvolarsi e a donare un'atmosfera talmente grigia da far sembrare la città un piccolo granello di sabbia avvolto dal fumo di un sigaro.

Sfiorò le labbra con un movimento lento delle dita, le quali, appena poco prima, tenevano stretto un proiettile d'argento che in quel momento si trovava ficcato nel cervello di un cadavere.

Sapeva bene che l'attesa di uccidere lo aveva stuzzicato troppo; era tempo di riprendere a comandare quell'angolo d'inferno rimasto per troppo tempo sotto la supervisione del nulla.

-

Il campanello della sartoria venne urtato e costretto a produrre un suono non appena la superficie della porta d'entrata ne venne a contatto.

Harry usufruì di un piccolo passaggio per permettersi di entrare e rifugiarsi in quel luogo che aveva conservato del calore all'interno, abbastanza da farlo sospirare di sollievo.

«Harold, mio caro!» Un uomo sulla settantina fece la sua comparsa dietro il bancone occupato da fili, stoffa e altri attrezzi per il cucito, mostrando sul volto un piccolo sorriso che rivolse calorosamente al cliente in piedi con le mani unite dietro la schiena.

«Sei qui per il completo, non è così?» Squadrò il fisico asciutto di Harry, distorse la bocca in una forma dispregiativa alla vista dei pantaloni strappati e una semplicissima maglia bianca infilata all'interno dei jeans. Uno stile che era suo solito attribuire ai teppistelli che di quei giorni erano sempre più popolari e conosciuti.

«Attendevo con ansia.» Si costrinse a ridacchiare un minimo; non voleva, e soprattutto non doveva, dare l'impressione di chi avesse appena cacciato un piccolo pezzo di metallo nella testa di qualcuno.

Harry prese a guardarsi intorno nell'istante in cui il vecchio si allontanò per recuperare la merce; osservò ogni particolare delle pile di stoffa poste con ordine l'una sopra all'altra in una cesta in vimini, un regalo che egli fece alla moglie deceduta.

Lo sguardo percorse l'intera stanza e si soffermò su un paio d'iridi che mai avevano lasciato la sua silhouette da quando fece il suo ingresso, fino a quel momento.

La proprietaria di quel paio d'occhi, che Harry attribuì simile ad un cerbiatto, li fece abbassare velocemente, sperando che l'uomo in questione non avesse capito che la sua attenzione era stata portata già da molto tempo su di lui.

Quest'ultimo ridacchiò un poco, si leccò appena il labbro inferiore per donare più espressività al viso contorto in una smorfia di concentrazione, mentre si prese del tempo per assimilare i tratti della ragazza che aveva preso a torturarsi le dita dall'imbarazzo. Venne analizzata curiosamente, come fosse un topo da laboratorio.

Dio, gli sembrò un angelo.

«Ed ecco a te, un completo degno di un vero signore.» Harry venne distratto dal rientro di Jack insieme ad una stampella che sorreggeva l'abito contenuto in del cellofan.

«Grazie, Jack.» Ringraziò con una pacca sulla spalla. Rivolse un piccolo sguardo alla ragazza che ora guardava i due con timidità, seduta compostamente sulla sedia con la schiena poco ricurva.

«Oh, lei è mia nipote Helen. Aveva il giorno libero dalla scuola e ho pensato di portarla qui in città.» Sorrise l'anziano indicandola e incitandola a fare un cenno di saluto con la mano e un sorrisetto maldestro.

Harry rise internamente alla sciocca idea che era stata portarla in una città come quella. Era molto più a rischio lì piuttosto che a casa da sola, accompagnata da qualche soap opera che davano in televisione. Ma d'altronde, non avevano la benché minima idea del fatto che il presunto amico di famiglia, egli stesso, fosse a capo di una fitta rete omicida. Quale diavoleria, accidenti.

«Di certo, è meglio non rischiare lasciandola sola in casa. Questi sono tempi bui.» Commentò con voce roca e sensuale spostando l'attenzione dal nonno alla creatura terza.

Dannatamente bella. Mai aveva provato una così forte sensazione di possedere qualcuno: in solo una manciata di minuti, quella ragazza gli stava fottendo il cervello che aveva preso ad urlare "Deve essere mia! Deve essere mia!" Queste erano le parole che risuonavano nella sua testa come fossero un loop.

«Mi dispiace non abbia qualcuno che possa accompagnarla a visitare la città. Nonostante la criminalità e l'alto tasso di gentaglia, è pur sempre una bella cittadina.» L'uomo dai capelli bianchi sospirò guardando con compassione la nipote.

Harry si sentì pervaso da un fuoco sinistro, prese a sorridere con malignità al piano che, su due piedi, stava prendendo sempre più forma nella sua testa, uno di quelli che considerava un capolavoro degno di nota, di meritata invidia e contemplazione.

«Posso accompagnarla io.» Un'affermazione che segnò l'antipodo perfetto del piano perfetto.

Doveva essere sua.

{Scusate eventuali errori e fatemi sapere cosa ne pensate❤}

Hooded | h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora