0 - Prologo

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Osservò annoiato il boccale di birra davanti a sé, si stufava ad ascoltare quelle storie.

«Visto che siamo in vena di raccontare omicidi brutali, io ho assistito ad un accoltellamento.» Immerse l'indice nel liquido alcolico mescolando la schiuma con il polpastrello.

«Uno vero, uno di quelli che compiono gli uomini là fuori.» Il resto dei dodicenni ruotarono il capo verso Levoran, erano stupiti da quante esperienze avesse nel suo bagaglio di conoscenze. Era considerato un duro; fumava e beveva già dai tempi delle elementari e i suoi genitori gli permettevano di commettere piccoli furti in qualche negozio sotto casa.

«Ci sono stati sangue, sofferenza e dolore.» Corrugò le sopracciglia per donare un'espressione pensierosa al suo viso; tentava di ricordare la vicenda accaduta quella famosa sera che a stento rimaneva impressa sulla sua materia grigia.

«Per non parlare dell'investigatrice,
-riprese poi- una vera bomba.»

Gli occhi di tutti erano puntati sul movimento che le labbra di Levoran compivano per permettere alle parole di risultare chiare, ma un paio in particolare contenevano un luccichio di estraneità, quelle frasi gli suonavano come una presa in giro.

«Era un martedì di dicembre, ero appena uscito dal solito club dietro l'angolo.» Indicò con la testa un lato impreciso della stanza. «Avevo bevuto solo un paio di shot, non ero dell'umore adatto per ubriacarmi. D'altronde, si trattava del mio piccolo appuntamento col destino per assistere a quello scenario.» Emise un risolino e scosse di poco il capo. I ragazzini lo osservavano ancora attentamente, uno di loro fu impaziente di ascoltare il resto della storia.

«E poi che è successo?» Domandò McJay passandosi la lingua umida sul labbro per idratarlo.

«Ho pagato il liquore e sono uscito dalla porta sul retro. Una volta fuori, ho visto due uomini barbuti e con lo sguardo che solitamente hanno i cattivi dei fumetti, con le labbra arrotondate verso il basso.» Alzò gli occhi, scrutò ogni figura e sollevò gli angoli della bocca in un sorriso.

«Uno dei due aveva un coltello, si intravedeva il manico attraverso l'elastico delle mutande rosse,» ridacchiò portandosi per l'ennesima volta il boccale di vetro alle labbra; finì tutto d'un sorso il liquido giallognolo che bruciò a contatto con la sua gola.

«Arrivò il momento in cui non ne poté più delle lamentele dell'altro, così afferrò l'arma e la scaraventò contro di lui. Accadde in modo talmente veloce, che in un battito di ciglia il suo sangue schizzò contro la mia felpa.» Terminò tamburellando le dita contro il legno del tavolo.

Un'esclamazione di stupore generale si alzò nell'aria e Levoran si sentì quasi venerato.

«Stai mentendo.» Qualcuno si alzò dalla sedia facendola stridere contro il pavimento, puntò lo sguardo irritato verso il capo della banda e, prima di tornare alla precedente posizione, lo accusò di essere un bugiardo.

Bisbigli e borbottii si fecero spazio nella sala, tutti e undici i ragazzini sapevano di non doversi mettere contro il boss.

Tutti tranne uno.

«E chi saresti tu per accusarmi di mentire, Harold?» Domandò Levoran alzando le sopracciglia per la sorpresa che il ragazzino riccio gli aveva riservato.

«Sappiamo tutti che questo locale è l'unico che ci fa entrare per bere. Non esiste alcun club di città che possa fare lo stesso.» Si guardò le unghie parlando con convinzione, era sicuro della sua ipotesi.

«E tua madre, la suscettibile Lory, si sarebbe incazzata a morte se fossi davvero tornato a casa con la felpa macchiata di sangue.»

Levoran assottigliò gli occhi in un paio di fessure, guardando minaccioso colui che aveva osato dubitare della sua versione.

«Cosa ne può sapere un tale bambino come te? Sei il più giovane del gruppo, giovinezza significa ignoranza.» Penalizzò la sua teoria, strinse le mani in pugni ferrei per cercare di nascondere il nervosismo che aveva preso a scorrere nelle sue vene.

«Sai benissimo che ho ragione, Levoran!» Urlò di rimando alzandosi in piedi e sorreggendosi con le braccia al tavolo. Le sue iridi verdi avevano preso a fissare in cagnesco il boss, era sicuro di poterla avere vinta.

«Smettila Harry, sei solo invidioso. Te la saresti fatta sotto al posto suo, stai reagendo così per sbugiardare te stesso.» Commentò McJay per porre una spalla di supporto a Levoran.

«È falso! Se volessi potrei... Potrei addirittura uccidere qualcuno!» Ruggì sporgendosi oltre il tavolo per ritrovarsi faccia a faccia con le persone che si opponevano al suo ragionamento. Tentennò un poco, non era bello dire un'affermazione del genere.

«Perfetto, Harold. Dimostraci che sei un maschio di parola e uccidi qualcuno», lanciò la sfida e gli undici presenti sbarrarono gli occhi per la paura che la scommessa lasciava trapelare.

Ancora una volta, tutti tranne uno.

Harry rimase in silenzio, si guardò lentamente intorno e, dopo aver rimuginato abbastanza su quell'argomento, sospirò.

«Okay, ucciderò qualcuno.» Sussurrò incitando Levoran a sghignazzare divertito contro il mozzicone della sigaretta che aveva appena afferrato.

Strinse l'oggetto tra le dita per allontanarlo dalle sue labbra e portò nuovamente lo sguardo su Harry.

«Non sai contro cosa stai combattendo, mio caro.»

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