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Jungkook stava iniziando ad avere grandissimi dubbi esistenziali, grandi quanto il brufolo che Yuri aveva sulla fronte.
La sera, dopo una doccia calda per allentare i nervi, si trovava steso sul proprio letto con indosso la sua amata tuta Nike che gli avvolgeva il corpo con il morbido tessuto nero, dandogli carezze e facendolo sentire in paradiso.

Se fosse stato per lui, Jungkook avrebbe perennemente indossato tute larghe e dotate di ogni comfort a scuola, ma purtroppo il modo con cui ci si vestiva diceva tanto sulla posizione nella piramide sociale di ogni studente, e al solo pensiero di venire paragonato agli sfigati dell'istituto, il moro storceva il naso.

Dopo le sue lunghe docce, il giovane si sdraiava scompostamente nel letto, facendo invidia ai migliori contorsionisti, e venerava il soffitto, nell'attesa di qualche apparizione.
Gli occhi del giovane analizzavano le piccole macchie d'umidità che costellavano l'intonaco avorio, mentre nella sua testa vi era il vuoto più totale.

Questo, ovviamente, sarebbe accaduto in condizioni normali, ma in quei giorni Jungkook si poteva definire con qualunque aggettivo fuorché normale.
Ogni sera, mentre ammirava il vuoto, veniva puntualmente disturbato dal medesimo soggetto che lo tormentava: Park Jimin.
Nella sua testa si ripeteva il momento di quel bacio mancato, come un loop, che poi sfociava in fantasie scaturite dalla solita domanda: « E se non fosse arrivata Yuri? »

Jungkook aveva continuato a frequentare il campetto di basket con il capitano, impegnandosi duramente negli allenamenti e seguendo tutte le indicazioni di Jimin che, stranamente, aveva smesso di corteggiarlo sfacciatamente, com'era solito fare.
Il moro non ne era rimasto deluso, anzi, tutto ciò era un sollievo, perché non avrebbe sopportato l'idea di cadere preda del castano, ferendo i sentimenti della gemella, ancora follemente innamorata di lui.

Allo stesso tempo, il poveretto si infliggeva del male da solo, trovandosi sempre più spesso ad ammirare il corpo di Jimin e a pensare a lui. Inizialmente credeva fosse semplice invidia, dopotutto tutti i ragazzi e le ragazze si studiano a vicenda, invidiando e bramando silenziosamente i corpi perfetti degli altri.
Quando entrò a far parte ufficialmente della squadra e a seguire gli allenamenti con gli altri compagni, tutti dotati di fisici invidiabili, più invidiabili di quello di Jimin, nella sua testa c'era solo quello del capitano, come un tarlo fisso, e le sue convinzioni iniziarono a sgretolarsi lentamente, come un castello di sale, e lui divenne sempre meno sicuro di sé stesso, a tal punto che decise di confidarsi con il migliore amico.

——

Era sabato pomeriggio e nella casa dei Jeon c'erano solo Taehyung e Jungkook, seduti sul letto di quest'ultimo mentre giocavano a Overwatch.
Il moro, a dire il vero, non riusciva a giocare come suo solito perché cercava sempre il momento giusto per porre quella domanda all'amico e, ogni qual volta gli si presentava l'occasione adatta, la lasciava scappare per la troppa paura.

Dopo essersi rimproverato mentalmente, però, mise finalmente in pausa il videogioco e, automaticamente, sentì lo sguardo interrogativo di Taehyung bruciargli la pelle.
Aveva la gola secca e lo stomaco sottosopra, le parole che aveva in bocca parevano essersi tramutate in sabbia che ora lo stava soffocando.

« Come hai fatto a capire di essere gay? » Sputò tutto d'un fiato, torturandosi il labbro inferiore e guardandolo negli occhi con un'insicurezza che non lo caratterizzava, e Taehyung lo sapeva bene.
L'altro non riuscì a capacitarsi della domanda, Jungkook sapeva della sua omosessualità da molto tempo, ma non si era mai curato di sapere come fosse giunto all'affermare di essere gay.
Boccheggiò per un secondo, preso in contropiede da quella domanda così inaspettata.

« Beh... ero in vacanza in Giappone con i miei cugini di Daegu, eravamo in cerca di un bel locale in cui passare la serata ma, non sapendo leggere il giapponese, siamo finiti in uno strip club per gay, e l'esperienza mi ha lasciato con molti interrogativi, considerando che vedere i cubisti ballare mi aveva lasciato senza fiato. Ho fatto qualche altra esperienza, e sono giunto alla conclusione di essere interessato agli uomini. » Jungkook si limitò ad annuire, studiando le pellicine delle proprie dita, non sentendosi in grado di sostenere lo sguardo del migliore amico e nemmeno il silenzio tombale che era calato nella stanza.

« Perché me lo chiedi? Non l'hai mai fatto in due anni. »
Jungkook fece spallucce, fingendo disinteresse.
Taehyung, allora, gli fece sollevare il viso, scrutandolo attentamente per cogliere ogni minima emozione che traspariva su di esso; per lui Jungkook era un libro aperto e aveva capito che qualcosa non andava.
« Dimmi la verità. »

Il tono serio e fermo che utilizzò lo spinse a raccontare tutto quello che aveva nascosto dentro di sé, i suoi dubbi e i suoi perenni tormenti.
Raccontò all'amico di Jimin, dello stupido piano di Yuri che aveva avuto inizio con il farlo uscire con lui al suo posto, per poi proseguire con la malsana idea di farlo entrare nella squadra di basket.

Gli raccontò di quella tremenda serata al cinema, che aveva portato ad una notte infestata dall'immagine di Jimin, seguita da tante altre, spiegò come si ritrovò a farsi una sega nella propria doccia, pensando prima ad una puttanella trovata in discoteca, per poi venire sostituita dall'immagine di Jimin.
Gli parló del suo primo allenamento con il castano, di quel bacio mancato e di tutte le fantasie che erano seguite.

Più proseguiva e più la sua voce si faceva insicura, e lui più vicino ad un pianto liberatorio. Sentiva un nodo farsi sempre più grande nella sua gola, e gli occhi venire assaliti da un leggero pizzicore.

Taehyung ci era passato, e aveva capito che Jungkook stava provando gli stessi sentimenti che provò egli stesso e che lo investirono come una valanga il giorno in cui venne alla conclusione di essere omosessuale.
Fece ciò che il moro aveva fatto con lui il giorno del suo coming-out, e lo abbracciò.
Un abbraccio materno.

Premeva il corpo dell'amico contro il proprio petto, quel gesto urlava un silenzioso "hey, va tutto bene, io ci sono".
Tra loro, per dieci minuti interminabili, non ci fu bisogno di parole, e Jungkook si liberò in un pianto di cui aveva tremendamente bisogno, confortato dalle braccia del migliore amico.

Nella stanza si sentivano solo i singhiozzi di Jungkook soffocati contro il petto del migliore amico. La situazione era estremamente delicata, Taehyung lo sapeva.
I suoi genitori erano stati molto apprensivi, quando aveva finalmente trovato il coraggio di dare la notizia anche a loro, anzi, gli avevano persino detto che lo avevano capito, cosa che non si spiegava come.
I genitori di Taehyung erano i classici genitori della categoria "love is love", "vivi e lascia vivere", "nella vita devi fare ciò che ti rende felice", ma i signori Jeon erano tutt'altra cosa.

I genitori di Jungkook erano dolci e amorevoli, ma non tolleravano il minimo infrangimento delle loro regole e delle loro idee, politiche o morali che fossero.
I Jeon erano omofobi fino al midollo, Taehyung era terrorizzato da loro, faticava a passare più di mezz'ora nella stezza stanza senza sentirsi come una gazzella nella gabbia del leone.

In quel momento il ragazzo aveva capito che il pianto del migliore amico era dovuto principalmente alla tremenda paura di deludere i genitori e da chissà quali scenari che si erano proiettati nella sua mente all'idea di questi che venivano a conoscenza di una tale oscenità.

Jungkook aveva ovviamente scelto un momento in cui nessuno della famiglia si trovava in casa, sia per non far sentire a disagio Taehyung, sia per evitare di far trapelare qualcosa.

Quando lo sfogo del moro si placò, l'amico lo sollevò, asciugandogli amorevolmente le lacrime e sforzandosi di sorridergli per dargli un minimo di forza.
« Kookie, non è detto che lo sia veramente, devi ancora capirlo. Potresti venire con me in un gay clu- »

Jungkook lo troncò immediatamente, guardandolo con due occhi colmi di paura.
« Non se ne parla. »
« Allora potresti andare con Namjoon in discoteca per cercare di capire se le ragazze hanno ancora lo stesso effetto su di te. »

——

Erano passati dieci minuti e l'auto bianca di Namjoon, l'amico dell'ultimo anno, non aveva ancora fatto capolino nella via in cui abitava Jungkook. Il ragazzo era seduto sulle scalinate della propria abitazione, stretto nel giubbotto in pelle che indossava, intento ad osservare le nuvole di vapore che lasciavano le sue labbra a causa del freddo.

Le dita avevano iniziato ad intorpidirsi e Jungkook stava appena accarezzando l'idea di aspettare l'amico in casa, quando vide due fari illuminare la strada, e l'auto di Namjoon fermarsi a cinque metri da lui.
Il moro si alzò e sentì la testa girargli per un istante.

Forse quella sera avrebbe trovato le risposte che cercava.

LOVE MATCH - JIKOOK ✓✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora