10. Quindi posso?

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Pensai che fosse tutto un sogno, che presto mi sarei svegliata e che avrei aspettato il ritorno di Luke previsto per uno dei quattro giorni successivi. Invece mia madre aveva insistito, minacciandomi che mi avrebbe lanciata sull'aereo senza valigia se non mi fossi sbrigata.

«Mamma, ragioniamo: io non ho un biglietto e non ho nemmeno una stanza d'hotel.» Le dissi calma, sedendomi con le gambe incrociate sul letto.

«In realtà c'è tutto, Kimberly.» Ribattè con un mezzo sorriso ed io la guardai storto. «Oh, andiamo Kim! Sapevano entrambe che ci saresti andata in Italia con Liz!» esclamò scuotendo la testa.

«Ma davvero?»

«Liz ha il tuo biglietto e per l'hotel non devi preoccuparti, ha pensato a tutto Ashton.» Mi informò sedendosi sul mio letto.

«Ashton? Quindi Luke lo sapeva e non mi ha detto niente?» aggrottai la fronte pensando che gliene avrei dette quattro più tardi a quel biondo.

«Assolutamente no! Non devi dire niente a Luke, lui non lo sa. È una sorpresa.»

«Uh, okay. E papà?» le domandai mordendomi il labbro.

«Papà se ne farà una ragione.» Sospirò con un'alzata di spalle. «Ora prepara la valigia, lavati e vai a dormire.» Mi puntò il dito contro prima di alzarsi e uscire dalla mia stanza.

***

Uscii dal bagno dopo aver finito di asciugarmi i capelli e incrociai mio padre in corridoio. Una strana ansia si impossessò del mio corpo per paura che mi dicesse qualcosa di cattivo o che iniziasse ad urlarmi contro. Mi guardava un po' contrariato, ma poi sospirò e scosse la testa.

«Alla fine hai vinto tu, eh?» disse sarcasticamente con un mezzo sorrisetto.

«Mi dispiace papà se pensi davvero tutte quelle cose che hai detto, ma non rinuncerò ad andare in Italia. Luke...» tirai su con il naso e mi coprii gli occhi.

Non riuscii a trattenere l'emozione per l'indomani e la tristezza che mi aveva accompagnata per tutti quei mesi. Sembrava un sogno che diventava realtà e avrei voluto partire tranquilla, senza litigi con mio padre.

«Dispiace a me, piccola. Avrei dovuto capirlo prima che stavi così male...» mormorò abbracciandomi ed io mi strinsi a lui, più tranquilla. «Non ti farò la ramanzina che ti avevo fatto quando sei dovuta andare in Inghilterra con la scuola, è tardi e siamo tutti stanchi. Ma... mi raccomando fai attenzione, e chiamami se c'è qualche problema. Anzi, chiamami ogni giorno anche se non succede nulla così sono più tranquillo, okay?» mi fece promettere ed io annuii con la testa, dicendogli che poteva stare tranquillo.

«Grazie papà, sono così felice adesso.» Gli confessai con un sorriso vero.

«Io sarò sempre preoccupato per te, invece. Ma se sei felice tu, allora devo esserlo anche io.» Mi fece l'occhiolino.
«Adesso fila a letto però, domani sarà una lunga giornata.» Mi lasciò un bacio sulla fronte prima di sorpassarmi per andare in bagno.

***

Dopo un volo di quasi quindici ore da Sydney ad Abu Dhabi, due ore e mezza in aeroporto e altre sette ore di aereo, arrivammo all'aeroporto di Milano Malpensa con il cuore pieno di felicità. Scendemmo dall'aereo e sentii il chiacchiericcio della gente attorno a me in una lingua completamente diversa dalla mia.

«Siamo davvero in Italia?» sussurrai a me stessa guardando il via vai delle persone all'interno dell'aeroporto.

«Siamo in Italia, sì.» Mi confermò Liz, mettendomi una mano sulla spalla.

Per quanto ci tenesse a mantenere un immagine dura di sè, aveva già gli occhi lucidi. In fin dei conti Luke era suo figlio. Non potei fare a meno di sentire un formicolio lungo tutto il mio corpo, seguito da brividi di piacere al pensiero che Luke era qui in questa città, magari a pochi passi da me. Ma la cosa più importante era che qui a Milano non c'era solamente lui: c'ero anch'io questa volta.

Liz ed io aspettammo di scorgere le nostre valigie sul nastro che continuava a ruotare su sè stesso, mentre lei rispondeva a una chiamata. Mimò con le labbra il nome di Ashton prima di intraprendere una brevissima conversazione fatta in gran parte da monosillabi.

Afferrai entrambe le nostre valigie e le posai a terra, aspettando pazientemente che Liz finisse di parlare al telefono.

«Ha mangiato?»

La sentii dire e trattenni una risata.

Non sarebbe mai cambiata!

«Okay, arriviamo allora. E vedi di non farci scoprire, Ashton.»

Lo minacciò scherzosamente prima di chiudere la chiamata e voltarsi verso di me.

«Abbiamo una macchina che ci aspetta qui fuori. Ashton mi ha detto che è nera e lunga.» Mi disse semplicemente.

«Luke?»

«Luke e Michael sono andati a visitare... qualcosa di cui non mi ricordo il nome. Quindi la sorpresa riuscirà bene.» Battè le mani come una bambina ma poi si ricompose subito. La sua allegria contagiò anche me.

Quando uscimmo dall'aeroporto l'afa italiana ci colpì in pieno ed io non avevo fatto i calcoli con questa cosa prima di uscire da lì dentro. Avevo un paio di leggins neri e una maglia bianca a maniche lunghe, decisamente non ero adatta a questo tipo di clima. Ringraziai mentalmente mia madre per avermi avvisata delle temperature italiane e per avermi fatto mettere in valigia solamente roba estiva.

«Se non fosse che ho una voglia matta di vedere mio figlio sarei già tornata dentro con l'aria condizionata.» Si lamentò Liz, portandosi sugli occhi i suoi immancabili occhiali da sole. Si guardava intorno con le braccia incrociate e quando avvistò l'auto che gli avevano descritto mi fece un cenno. Afferrammo nuovamente le nostre valigie e ci dirigemmo verso una macchina lunga e nera dai vetri oscurati.

«Liz e Kimberly, giusto?» ci chiese conferma l'autista in inglese con un accento italiano inconfondibile.

«.» Rispose Liz in italiano seguita da un sorriso cordiale. L'autista iniziò a caricare le nostre valigie nel bagagliaio e ci aprì la portiera per farci entrare in auto. L'aria condizionata fu una gioia per i nostri corpi!

«Non sapevo che parlassi in italiano...» sussurrai.

«Oh, cara Kim, è da mesi che mi informo sull'Italia! Mi sono studiata qualche parola...» mi fece l'occhiolino e nel frattempo l'autista stava già sfrecciando per le vie di Milano.

Youngblood | Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora