Cap 3- Problemi e inganni

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Stavamo pensando ancora a strampalate congetture quando vedemmo del fumo uscire dal vulcano. Non poteva essere un'eruzione. Non era mai stato attivo e ci saremmo accorti se qualcosa fosse cambiato. Dovevamo controllare cosa stesse accadendo, i monaci avrebbero potuto essere in pericolo. La strada sarebbe stata molto lunga per arrivare al monastero e quella più breve passava per la roccia. Iniziammo a correre e più ci avvicinavamo, più notavamo cose strane. Rami spezzati e bruciacchiati, alberi abbattuti. Regnava il silenzio, non si sentiva nessun verso di animale, solo il sobillo del vento. Sembrava che un esercito fosse passato di lì e che avesse fatto scappare anche la creatura più impavida. Quando arrivammo alla cascata capimmo che il fumo non era per il vulcano, non era stata la lava a nuocere, ma il fuoco di una mano nemica. Ci precipitammo dentro incuranti del pericolo ignoto e trovammo davanti a noi l'intera montagnola ricoperta dalle fiamme che si allungavano verso le pareti interne del vulcano. Ad ogni piano del tempio si potevano vedere i cadaveri dei monaci ormai ridotti quasi a mucchi d'ossa. Non li potevamo più salvare.
I responsabili del massacro sorridevano compiaciuti al sicuro in un angolo.
"Voi!" Urlai iniziando a correre nella loro direzione, quando d'improvviso vidi Caso tra di loro. Lui non sorrideva, non guardava la scena, aveva il viso abbassato e non sembrava per niente compiaciuto. Piangeva.
"Caso, cosa ci fai lì? Cosa sta succedendo?" Ero sconvolta.
Lui rispose tra le lacrime "Io non volevo, non sapevo chi erano e cosa stessero. Te lo giuro Morte se avessi saputo anche solo minimamente che razza di bastardi sono, non mi sarei mai avvicinato a loro."
"Caso! Rispondimi!"
"Posso farlo io per lui." Disse una voce in mezzo al gruppo di assassini. Era una donna di mezza età, di quelle che sembrano adorabili zitelle sempre pronte a fare torte per i bambini.. fino a quando non le vedi ghignare maleficamente davanti a un rogo di innocenti che loro stese hanno appiccato.
"Chi diavolo sei tu?"
"Mi chiamo Lyp e se non vuoi che uccidiamo Caso e quel tuo amichetto che è sfuggito all'incendio devi venire con noi." Rispose mantenendo l'inquietante espressione.
"Non credo che farò neppure un passo se non per uccidervi tutti. Caso non può morire e prima che prendiate lui," dissi indicando Ranahsh "dovrete prima prendere me e non sarà affatto facile."
"Morte no ti prego! Non sai a cosa vai incontro, fai come dicono e tutto andrà bene. Loro possono ucciderci tutti." Mi rispose Caso pieno di terrore.
"Non possono. Non possono uccidere me." Dissi con rabbia.
"Signorina Morte, è vero, lei non possiamo ucciderla, ma abbiamo scoperto come far del male ai suoi amici." Lyp sembrava già esultante pregustando la vittoria che ancora non sapeva non avrebbe mai avuto.

Ero vita e Morte. Quando trascinavo le vite nel Kamo, ero vita perché davo loro una nuova speranza. Mi dipingevo di bianco, come un quadro fatto di luce e i raggi più spendenti mi davano la forza di slanciarmi in alto e poi di ritrovare la strada per tornare indietro, come fossero un paio d'ali che ricordavano sempre dove si trovasse casa. Ero Morte quando sentivo che non c'era più spazio per l'anima a questo mondo. Non intervenni mai e lasciai sempre che la natura facesse il suo dovere, senza mai allungare una pena e senza mai accorciare i tempi. Anche se avrei potuto farlo. Da poco si era creata una nuova razza. Uomini. Si chiamavano così. Loro non avevano un'anima perché non avevano magia nelle loro vene. Non avevano bisogno di me e io non potevo influenzare in nessuno modo la loro vita. Ognuno aveva una morte personale che si prendeva cura di loro. Per questo decisi di nascondermi tra loro.

Il ricordo fu fulmineo, ma sufficiente a farmi capire cosa dovevo fare.
"La Morte vi chiama a sé." Così dicendo una decina di corpi caddero a terra senza vita. Non ero sicura di quale sarebbe stato il risultato, ma la mia intuizione era esatta. Avevano un'anima piena di magia che potevo reclamare. Era arrivato il momento di separarsi dai corpi per molti di loro, alcuni, all'incirca un'altra quindicina, rimase illesa e si guardava intorno sbalordita e impaurita. Non capivano cosa stesse succedendo, ma Lyp invece sembrava aver capito. Aveva perso del colorito e non sorrideva più, assunse un espressione rabbiosa.
"Non è ancora arrivato il nostro momento. Non puoi ucciderci tutti."
"Forse hai ragione tu, o forse no. Dimmi cosa vuoi e deciderò se risparmiarvi o meno." Stavo bluffando. Non potevo ucciderli se la loro anima non era pronta a morire e non potevo contare su un Ranahsh sconvolto per bloccare quindici persone. Non potevo nuocere loro fisicamente. Avrei potuto difendermi in caso di attacco, ma non avevo forza o velocità tali da uccidere dei Magici. Non ero stata creata per questo scopo. Era complicata la questione delle violenza e dell'uccisione.
Ma fortunatamente la paura di morire era troppo grande per rischiare così Lyp cedette.
"Vogliamo la vita eterna." Disse più prudente guardandosi intorno guardinga. Sembrava accorgersi del pericolo che stavano correndo solo in quel momento.
"Siete noiosi, volete tutti la stessa cosa senza capire che morire non metterà fine alla vostra vita e che continuare a vivere sarebbe solo una tortura." Era incredibile! Dopo tutto quel tempo, cercavano ancora la stessa cosa!
"Mi dispiace ma non crediamo alla favola del Kamo. Sappiamo che non esiste. Le anime di milioni e milioni di Aniys e altri Magici vagano tormentati senza trovare la luce."
"Come fai a sapere del Kamo?" Chiesi incuriosita da quelle informazioni e nello stesso tempo sopraggiunse anche una domanda da Caso
"Chi sono i Magici?"
"Non sai chi sono? Loro sono tutte le creature la cui anima è intrisa di magia. Noi siamo dei Magici, apparteniamo alla seconda categoria e riusciamo ad entrare in contatto con le anime." Disse rivolta a lui, per poi proseguire parlando a me "Ci hanno raccontato la leggenda della tua creazione e di questo nostro paradiso e ci hanno detto che loro non ne hanno mai visto neppure l'ombra."
"È impossibile! Stai mentendo! Ne ho visto io stessa la luce." Ero assolutamente certa della sua esistenza.
"Forse ti sei sbagliata con qualcos'altro, non esiste nulla di tutto quello che dici o che credi che esista. Tutte le anime che ti sei presa soffrono senza fine. Sono morti credendoti, quando hai detto solo bugie."
"Non ti credo, non ha senso tutto questo."
"Infatti non ha senso che tu sia qui, mentre tutte le anime dei nostri cari sono perse."
"Smettila, non è vero!" Urlai.
"Credi che saremmo qui se tutto quello che ti ho detto non fosse vero? Credi che rischieremmo veramente una missione suicida per affrontare la Morte, se non stessi dicendo la verità? Siamo tutti condannati ad un'eternità di nulla, soltanto perché tu esisti. Sono pochissime le anime che siamo riusciti a sentire, tutte le altre sono disperse nell'Universo e non riescono a trovare un luogo dove ancorarsi." Non potevo crederle, ma non avevo nulla a cui aggrapparmi per poter pensare a qualcosa di diverso da quello che diceva Lyp.
La sua battaglia sembrava improvvisamente giusta. Ero sconvolta. Ero io il mostro. Prendevo le anime non per dargli la pace, ma per tormentarli senza tregua.
"Perché hai ucciso questi monaci?" Balbettai confusa.
"Hanno cercato di difenderti e nasconderti. Il campo magnetico che circonda questo luogo ha impedito agli spiriti di trovarti. Solo quando sei uscita siamo riusciti a vederti. Loro stessi sono stati la causa della loro morte."
Ranahsh si svegliò all'improvviso dal suo dolore sentendo quelle parole. "Siete dei mostri! Non avevano fatto nulla. Non si sono macchiati di nessun crimine. Li avete massacrati soltanto per vendicarvi!" scattò nella loro direzione prendendo dal nulla una lancia. Ma prima che potesse nuocere qualcuno, uno del gruppo sparò verso di lui con un fucile. Non mi ero neppure accorta che erano armati. Non mi ero accorta di molte cose, come dei coltelli che avevano agganciati ad una cintura intorno ai fianchi, degli zaini che sembravano fin troppo pesanti, delle corde che tenevano in spalla e le loro a maniche corte che mostravano un tatuaggio in bianco e nero uguale per tutti sul braccio sinistro, un Sole che oscurava la Luna.
Non feci in tempo a fare nulla perché Ranahsh era già a terra, ma non era morto stava perdendo conoscenza. Non sparavano pallottole, ma piccole siringhe piene di sonnifero. Si avvicinarono e si tolsero e corde dalla spalla.
"Fermi. Non fategli nulla." Dissi senza ben sapere cosa stava per accadere e come reagire.
"È un infedele, non lo possiamo lasciare libero, ma tranquilla non lo uccideremo per ora. Per oggi ci sono stati abbastanza morti."
"Non potete prenderlo, lasciatelo." Cercai di fermarli, ma non appena avanzai di un passo, mi immobilizzarono e mi iniettarono del tranquillante. L'ultima cosa che mi ricordo, è la sensazione di essere legata.

Una dolce MorteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora