Sul tetto del mondo

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" Che diavolo sto facendo!?" Si continua a chiedere Rebecca per tutto il tragitto che la porterà all'ospedale. In fondo si tratta solo di prendere un bus per un altro e cambia tutto. Invece che a casa, dalla sua famiglia di scalmanati, si ritrova a dover cercare un ragazzo di cui sa poco e niente se non che la mattina era in caserma e ora a fare una simpatica chiacchierata con qualche medico.

Ah anche il nome sa; Dylan, o almeno così si fa chiamare.

Il bus è semideserto a quell'ora così Rebecca si mette a disegnare sul suo quadernino, non lo ammetterebbe neanche a Giulia ma è un poco agitata per l'incontro che sta per fare. Quel ragazzo le mette una specie di soggezione, sarà per averlo visto fermare un bus solo per scusarsi, o sulle poche tralci di avventure che sa di lui, fatto che si è buttata a capo chino nei suoi disegni.

-Ehy signorina siamo arrivati al capolinea, Ospedale- La voce roca dell'autista la ridesta dalle sue immagini.

-Grazie mille- Dice mentre si fionda giù dal mezzo. Come spesso le succedeva quando disegnava si era estraniata completamente dal mondo che la circonda, era solo lei, la calma e le figure che iniziavano a danzare sotto la punta della sua matita.

Appena scesa si ritrova davanti il grandissimo edificio pieno di specchi e vetri, al suo interno chiede informazioni ad una signorina molto gentile e disponibile.

-Salve sto cercando Dylan. Sa in che stanza posso trovarlo- Le esce quell'assurda vocina da bambina innocente che viene fuori quando deve parlare con sconosciuti.

La ragazza all'accoglienza da dietro il bancone la guarda fissa ammutolita, sembra quasi stia per dirle qualcosa, ma non apre bocca.

-C'è qualcosa che non va? -. Chiede allora Rebecca.

Diventa rossa paonazza –No, no tutto bene- Balbetta come riesce –Solo mi chiedevo perché cerca quel ragazzo? È forse la sua fidanzatina? -. Chiede visibilmente imbarazzata.

Questa volta è proprio Rebecca ad avvampare, tingendosi del colore dei suoi capelli. –No, no. Certo che no... Sono qui solo per sapere come sta-. Dice con la vocina stridula.

-Allora vada alla camera 174 di traumatologia. Ma non credo lo troverà- Risponde la giovane guardandosi la punta dei piedi.

-Grazie- Non fa in tempo a finire la parola che si lancia verso la scalinata, non vede l'ora di togliersi dall'imbarazzo di quella situazione.

-Ah un'ultima cosa- Le dice alle sue spalle la voce della ragazza all'accoglienza.

Rebecca non si volta e finge di non sentire le ultime parole dette in sua direzione –Sta attenta a quel tipo, non perdere la testa per lui-.

"Figuriamoci se può succedere una cosa del genere" Pensa tra sé e sé conoscendo perfettamente l'abissale differenza di gusti tra lei e Giulia in fatto di ragazzi.

Sorride ancora pensando all'ex della sua migliore amica, quel tale Michael, tutto muscoli, palestra e integratori. Giulia lo aveva mandato al diavolo dopo che assistendo ad una sua sclerata si era messo a piangere...

Questi dolci pensieri durano poco comunque, ecco che in fondo al corridoio appare la porta con il numero che stava cercando 173. Si avvicina di soppiatto, ora è davvero nel panico, si sente una stupida e non sa cosa dire. Non ha proprio la minima idea di come iniziare il discorso.

-Ciao sono la migliore amica della ragazza con cui ti senti, dato che sua madre è matta e la mia di più sono venuta a dirti di chiamarla! – Bisbiglia le prove del discorso che sta per fare. "No diamine, così fa schifo".

A quel punto prende un respiro e ripete il mantra di tutte le volte che deve fare qualcosa di o tremendamente difficile o tremendamente stupido. O come in questo caso un poco di entrambi.

"Cosa farebbe Giulia al mio posto?". Ecco che raccoglie tutto il suo coraggio e bussa. Tre colpi decisi alla porta che si spalanca verso l'interno.

-Permesso? - Fa lei stupita che la porta fosse solo appena accostata.

Nessuna risposta.

-Posso entrare? Sono Rebecca una amica di Giulia-. Dice ancora lei stringendo nelle mani il suo quadernino.

Ancora niente.

A quel punto si sporge un poco a controllare che non sia proprio come aveva detto la ragazza all'accoglienza, e cioè che Dylan non fosse in camera sua.

Sull'unico lettino singolo della stanza c'è un camice ben piegato e macchiato di sangue, in terra uno zaino nero aperto e sull'unica poltroncina una giubbetta beige. Non c'è altro, se non una finestra spalancata da cui entra una leggera brezza primaverile.

Rebecca a quel punto entra nella camera e si avvicina di istinto a quella finestra. Affacciandosi nota che lì fuori, solo allungando un braccio ci sono delle scale di evacuazione in ferro che da in cima al tetto portano fino al piano terra.

Non sa spiegarsi bene neanche lei il perché ma "sente" che Dylan è lì sopra, cosi con la sua scarsa agilità spicca un balzo sul cornicione e poi fino alle scale.

"Giulia sarebbe fiera di me" Pensa mentre le sale, ad ogni passo un tintinnio metallico sembra metterla in guardia.

Arriva in cima col fiatone e appena vede quella figura a pochi passi davanti a lei rimane di sasso.

A poco più di una manciata di passi un ragazzo e seduto sulle mattonelle del pavimento, con la schiena appoggiata al muretto del parapetto dietro di sé. Ha gli occhi chiusi e il viso rivolto verso l'alto, delle grandi cuffie gli calzano le orecchie stringendoli un poco quei capelli mossi del colore della notte. Ora accarezzati dal vento. Ha il volto tumefatto, è da un angolo delle labbra carnose un rivolo di sangue gli cola sul collo teso, scivola lungo il petto tonico e si perde su quegli addominali che anche da seduto sembrano scolpiti nel granito.

Il suo busto scoperto sferzato di sangue e vento.

Quel rosso cupo in contrasto con la sua carnagione pallida va a finire proprio sul pavimento e a macchiare la cintura dei jeans strappati in più punti, una gocciolina alla volta.

Sembra sia perso ad ascoltare la musica "Sembra me quando disegno" Pensa solo Rebecca, non riuscendo a staccare gli occhi dal quel ragazzo di rara bellezza. E dal suo volto tumefatto.

Rebecca non saprebbe dire quanto tempo passa, forse una manciata di secondi, forse una decina di minuti, ma tutto rimane immobile. Solo il vento rompe quella perfezione con frusciate improvvise che smuovono ancora quei capelli corvini, e quei ricciolini rossastri.

Ad un certo punto, così dal niente, lui apre gli occhi e la nota. Due universi azzurri come due schegge di ghiaccio la inchiodano all'improvviso. Il cuore nel petto le perde un battito tanto da farle cadere di mano il suo inseparabile quadernino.

-Chi sei? - Chiede senza tradire un briciolo di emozione.

Rebecca non riesce ad aprire bocca, sente qualcosa che le ribolle nel ventre, nelle viscere. Nel punto più profondo di ciò che è.

A quel punto, non ottenendo nessuna risposta Dylan rialza il viso e torna a chiudere gli occhi. Non curante di tutti i rumori del mondo, e del vento che glieli porta.

-Sono un'amica di Giulia, chiamala a casa, è molto preoccupata- Riesce a dire a stento Rebecca prima di girarsi e iniziare una corsa a rotta di collo giù per le scale di ferro da cui era salita prima.

Il volto di Dylan si increspa appena di stupore prima di notare qualcosa di nero, smosso dalle folate di vento, che quella strana ragazza aveva lasciato cadere e si era dimenticata di raccogliere.

Dolorante si alza in piedi e si avvia verso quel quadernino.

Ciò che vede gli strappa uno dei suoi primi veri sorrisi, dopo molto tempo. 

Non sei più solaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora