Svolte?

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Pov. David

Erano le 3:20 quando finalmente Helena si decise a collaborare.
Era già difficile avere una conversazione civile con lei da sobria, immaginatevi dover combattere contro i suoi insulti e improvvisi attacchi violenti da ubriaca.
Era pazza. – Ti prego Dio o chiunque mi stia ascoltando, sedatela.– pensai esasperato.
Questa ragazza mi faceva ammattire e la colpa era anche mia che nonostante mi impuntassi di starle lontano, riuscivo sempre a trovare una scusa convincente per avvicinarmici.
Stranamente si era placata, la sentivo respirare lentamente, segno che si era addormentata.
Finalmente. – sospirai esusto.
Non che mi desse fastidio, assolutamente, ma avrei preferito quella sua violenza e voglia di toccarmi in un altra circostanza ed in un altro luogo.
Mi riproverai mentalmente poco dopo per quei pensieri del tutto sbagliati.
In circostanze come quelle, dimenticavo di essere un professore e che lei fosse la mia alunna e questo non andava bene, per niente bene.
Non riuscivo a fare a meno, volente o nolente di volgere il mio pensiero a lei.
Era una ragazzina davvero testarda e acida, eppure sapevo in qualche modo che quella sua strafottenza era dovuta a qualcos'altro, a molto di più.
E tutto ciò non faceva che incuriosirmi e accrescere quell'interesse che mano a mano stavo iniziando a nutrire verso di lei.
Che fosse solo questo?
Sperai di sì. Lo sperai davvero.

I miei pensieri vennero interrotti da una sbadiglio abbastanza rumoroso seguito da un mugolio assonnato.
«Mmmh..»
«Ben svegliata Miss Williams.»
«Prof? Perché è qui? È sua la macchina?» mi chiese con la voce ancora impastata dal sonno.
«Me lo chiedo anch'io Miss Williams. Ora per favore, mi dica la via di casa sua così finalmente posso tornare a casa a riposarmi. Sta pure piovendo, non vorrei che si prendesse un malanno»
«Oh si, mi scusi..Via delle Orchidee 14»
«Perfetto, allacciati la cintura»

C'era un silenzio tombale, non so se per l'imbarazzo o per altro, ma era davvero pesante. L'unico rumore di soffondo che si sentiva appena udibile era quello della pioggia che incurante batteva contro i finestrini. Quel silenzio però mi rendeva ansioso, esattamente non so per cosa, ma era così.
Non riuscivo a fare ameno di osservarla di sottecchi. –Anche con quell'aria sconvolta dall'alcol e i capelli scompigliati, era dannatamente bella– sorrisi.
Quella ragazza mi stava facendo uscire pazzo ed io, stupido, glielo stavo permettendo.
Ma come potevo non farlo?
Diamine. Era di Helena che si parlava.
«Prof, può fermarsi qui» mi disse lei imbarazzata.
«Hai bisogno di aiuto per entrare?» le chiesi. Quasi sperassi mi dicesse di sì.
«Non si preoccupi, non sono così ubriaca da non riuscire ad aprire una porta» mi rispose lei con sguardo di sfida.
Non replicai.
Solo quando sentì il rumore della portiera aprirsi, la fermai trattenendola delicatamente per un polso.
La senti sussultare. Non se lo aspettava.
«Aspetta»
«Prof Taylor?» si voltò lei chiudendo la portiera che poco prima aveva aperto.
«Mi dica» continuò imperterrita lei guardandomi con quei profondi occhi color dello spazio.
Eh si, erano talmente profondi da ricordarti lo spazio, o magari un buco nero.
Nah, troppo scuro.
Eppure, l'unica descrizione che in quel momento riusciva ad azzeccare il suo sguardo, era quella.
Un buco nero.
I suoi occhi erano in grado di trascinarti e sbalzarti via in un lasso di tempo minimo.
Mi chiesi se solo a me facessero quell'effetto e sperai vivamente fosse così. Il pensiero che qualcun altro potesse perdersi nelle sue iridi, non mi piaceva affatto.
I suoi occhi erano così profondi da non riuscirci a vedere una fine. Sembravano risucchiarti al suo interno.
Non so perché lo feci, non so neanche perché il mio cuore battesse così forte, sapevo solo che in quell'esatto momento, l'unica cosa a cui aspiravo più di tutto, erano le sue labbra.
Così senza pensare al dopo, o alle conseguenze, la baciai.
Baciai finalmente quelle labbra che oramai costituivano parte dei miei sogni più intimi.
La desideravo e fu in quel momento che mi accorsi del grosso guaio in cui mi ero cacciato.
Avevo baciato una mia alunna.

E lei ricambiava.
Cazzo.
Smisi di pensare, accecato dall'irrefrenabile voglia di sentire ancora e ancora la sua bocca a contatto con la mia.
Continuai a baciarla dolcemente approfondendo il bacio.
Sentivo la sua lingua vagare insicura nella mia bocca, come a chiedere il permesso.
Permesso che non rifiutai.
Così ebbe inizio una lenta danza.
La sua lingua e la mia che si scontravano in un ballo senza fine.
Sentivo la testa pulsare, quel bacio mi stava mandando in tilt il cervello.
Non seppi dire quanto tempo passò, avevo perso la cognizione di tutto.
Solo quando si staccò per mancanza d'aria, mi resi conto che io di quel bacio, non ero per niente pentito.
Io lo volevo. Io volevo farlo.
Io desideravo baciarla.
Eppure..
La consapevolezza del dopo, mi rese inquieto.
Non potevo assolutamente farle questo.
Ero un suo prof, e se avessi continuato, l'avrei rovinata.
Così, contro la mia volontà, mi allontanai.
Non avrei mai voluto farlo, ma essere egoista in quel momento non mi sembrava la scelta più idonea.
Senza davvero volerlo, in tono freddo e distaccato le sussurai: «Dimentica. Non avrei mai voluto baciarti.» le dissi volutamente.
Doveva odiarmi, e sapevo che dopo quelle parole lo avrebbe fatto, forse così sarebbe stato più facile. O almeno speravo lo fosse.
«Vaffanculo» mi disse con le lacrime agli occhi.
Sapevo di averla ferita e vederla in questo stato mi stava distruggendo psicologicamente. Sapevo anche che se avesse continuato a guardarmi con quegli occhi velati dalle lacrime, avrei ceduto.
«Vattene» sospirai affranto.
Non volevo tutto questo, ma era necessario.
Sentì un tonfo, era lo sportello che veniva sbattuto con forza. La vidi correre verso la porta di casa sua. Non si voltò.
Fu allora che capii che quel dolore all'altezza del petto, era dovuto a molto di più. Molto più di quanto ero disposto ad ammettere.

Quello stronzo del mio profDove le storie prendono vita. Scoprilo ora