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La mattina seguente, Tyler si preparò con un'estrema cura, pettinando i capelli per bene, mettendosi il suo vestito più elegante e utilizzando il suo profumo preferito. E dire che doveva andare solo a colazione.
Era circa un mese che saltava quel pasto importante, ma da quel giorno voleva fare il possibile per non evitare Josh, anche se il suo cuore continuava a giocargli brutti scherzi. Tyler aveva paura del suo cuore. Spesso quest'ultimo era in contrasto con la mente, più razionale, più attenta a non cadere nelle trappole della vita. Ma il cuore invece decideva per sé e Tyler avrebbe voluto strapparselo pur di non provare emozioni che gli facevano paura, come quella che provava quando era chiuso nel labirinto degli occhi di Josh.
Tyler aveva paura del suo cuore, ma quella mattina lo accontentò e scese nella sala della colazione.
Nonostante fosse presto, la sala era già piena come ogni mattina. Il pianista non era abituato a tutta quella confusione, aveva dimenticato quanto fosse fastidiosa la gente appena alzata. Il suo sguardo si perdeva tra la folla, in cerca di una divisa verde militare e di capelli ricci che continuava a sognare ogni notte.
"Buongiorno Tyler.". Sentì la sua presenza alle spalle e balzò per lo spavento, senza voltarsi. "Buongiorno Josh." sussurrò piano, cercando di calmarsi con respiri profondi. Si girò lentamente verso di lui e il suo sorriso lo colpì come un mare in tempesta, come una lama tagliente dentro al petto. Faceva male da morire quel sorriso, però Tyler sapeva già dentro di sé che non poteva farne a meno.
Le labbra carnose di Josh si schiusero ancora di più, rendendo il sorriso ancora più luminoso. cercò di ricambiare, ma la sua anima era troppo scombussolata per mostrarsi in un gesto così semplice, così dovette limitarsi ad un mezzo sorriso che probabilmente sembrava più una smorfia.
"Tutto bene?" chiese il soldato, spegnendo quel sorriso e corrugando la fronte.
"Sì." mormorò Tyler, ritentando un sorriso decente.
Josh si rilassò e ricambiò, con gli occhi che brillavano più del solito. "Ho troppa fame! Hai già mangiato?" domandò all'altro, stiracchiando le braccia e sbadigliando apertamente.
Tyler lo guardò quasi intenerito, scuotendo la testa in risposta.
"Allora andiamo a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, dai."
Il soldato afferrò la manica della giacca di Tyler, trascinandolo attraverso quella folla, tentando di avvicinarsi ai tavoli sovraffollati.
"Aspettami qui." sussurrò all'orecchio del pianista, prima di scomparire tra la gente.
Tyler ebbe un tremito per la posizione ravvicinata in cui Josh aveva pronunciato quelle due parole, ma anche perché quella mattina, il soldato era maledettamente bello. Mentre lo aspettava si ritrovò a pensare a quanto gli stesse bene quell'uniforme verde che faceva risaltare i suoi occhi. Si ritrovò a pensare ai suoi capelli disordinati che lo attiravano così tanto. Si ritrovò a pensare alle sue labbra, rosse come una mela da mordere, succhiare, assaporare.
In fine, si ritrovò a pensare al fatto che tutte quelle cose, le pensava ogni santa notte.
Lo vide rispuntare con un piatto e due bicchieri dall'ammasso di servi e soldati che lottavano per avvicinarsi al tavolo. "Andiamocene." pronunciò svelto, sorridendo a Tyler che faticò ad obbedire immediatamente. "Forza andiamo!" lo incitò ancora Josh, muovendo il capo in direzione della porta d'uscita.
E Tyler lo seguì, anche se dopo tutto, non aveva per nulla fame.
Il Palazzo d'Inverno era enorme, infinito. C'erano 1057 stanze, 1786 porte e 1945 finestre, un labirinto di mosaici, oro e quadri spettacolari.
Josh sembrava essersi ambientato bene ormai in quell'edificio, tanto da conoscere quasi tutti i corridoi. Tyler  invece, che non usciva mai dalla sua camera se non per le lezioni ad Anastasija e a Marija, non aveva mai visto quei settori del palazzo in cui il soldato lo stava trascinando.
Camminarono per svariati minuti, Josh davanti a fischiettare qualcosa e Tyler pochi passi dietro in assoluto silenzio. Ad un tratto il soldato si fermò di botto e per poco Tyler non andò a sbattere contro la sua schiena.
"Eccoci qui." sussurrò, aprendo la porta davanti alla quale si era fermato. Entrarono in una stanza piccola, quasi al buio eccetto per una finestrella alquanto malandata. Tutti i mobili erano coperti da lenzuoli bianchissimi, il pavimento di marmo era ricoperto da almeno due strati di polvere, se non di più.
Tyler storse la bocca, in segno di disapprovazione e Josh rise di gusto guardando il volto dell'altro contorcersi.
"Scusa, lo so che non è una stanza lussuosa, però è una delle poche che non viene utilizzata da nessuno." spiegò il soldato, porgendo a Tyler il piatto i bicchieri. "Tieni un attimo."
Si allontanò dal pianista per spalancare la finestra, facendo entrare così un po' di aria pulita e fresca, anche se si gelava. Tyler rabbrividì ma cercò di non pensare al freddo, "Mi porterò qualcosa di più pesante la prossima volta." pensò tra sé e sé, come se una 'prossima volta' fosse scontata.
Josh prese uno di quei lenzuoli bianchi che coprivano uno dei mobili e lo tirò via, facendo alzare un sacco di polvere. Sotto quel manto, vi era un divano bianco con dei ricami in verde, che richiamava i colori del Palazzo. Il soldato si avvicinò nuovamente a Tyler, riprendendolo per una manica della giacca. "Vieni, sediamoci." sussurrò.
Il pianista lo seguì, sedendosi accanto a lui, col piatto sulle ginocchia e i due bicchieri in mano, ma incapace di muovere un muscolo. Josh gliene sfilò dalle dita uno dei due, iniziando a sorseggiare il contenuto.
"Ho preso il tè nero, perché non conosco nemmeno una persona a cui non piace, quindi suppongo piaccia anche a te."
Tyler annuì, stringendo fra le mani il bicchiere con il tè caldo come, ormai di routine, le sue guance. Guardò il piatto sulle sue gambe contenente, adesso che ci faceva attenzione, due fette di pane bianco, due di pane nero, un vasetto piccolo di marmellata e un coltello. Era completamente paralizzato, lo stomaco si contorceva e Tyler era sicuro che nessuna forma di nutrimento sarebbe passata da lì.
Josh finì il suo tè nero, rattristandosi e preoccupandosi un po' per il pianista. Lo vedeva in tensione, completamente spiazzato da quella situazione, sicuramente nuova per lui. Gli tolse il piatto grande d'acciaio dalle gambe, poggiandolo sul divano e si alzò. Tyler lo guardò stranito, mentre l'altro si avvicinava ad un altro mobile coperto da un altro velo bianco. Sfilò proprio quest'ultimo, rivelando un vecchio pianoforte a coda, non troppo piccolo che occupava praticamente metà stanza.
Gli occhi di Tyler si illuminarono improvvisamente e un sorriso sincero comparve sul suo volto, facendo perdere qualche battito ad Josh. Il pianista si alzò di scatto, come attirato da quel piano antico pieno di polvere.
"Ho scelto questa stanza perché sapevo che c'era questo aggeggio qua che poteva interessarti." spiegò il riccio, poggiando la mano sul pianoforte.
"E' bellissimo, è di una marca pregiata tedesca costosissima. Non ne avevo mai visto uno di presenza." mormorò Tyler, sfiorando i tasti ormai logori del piano.
Provò a premere uno di essi, ma il suono che ne uscì era orripilante, segno che il pianoforte era scordato.
"E' la prima frase completa che ti sento dire." sussurrò Josh con un tono angosciato.
Tyler staccò le dita dal piano lentamente, stringendole in un pugno. Teneva gli occhi bassi, fissi sul piano intarsiato da splendide decorazioni. "Mi dispiace. Non è colpa tua."
A Tyler non piaceva giustificarsi, ma in quel momento sentì il bisogno si far sapere a Josh che non era colpa di quest'ultimo. Era soltanto colpa sua se non riusciva a pronunciare parola con gli sconosciuti, se aveva paura di sbagliare a parlare, di dire cose errate che potessero offendere la gente. Era solamente colpa sua se lo stomaco era in subbuglio ogni volta che vedeva Josh, se non riusciva a comunicare con lui perché troppo bloccato dalla mente. Era colpa sua se il cuore voleva ribellarsi ma non glielo permetteva.
"Perché dici così?" chiese Josh, sorpreso dalla risposta del pianista. Si avvicinò a lui col desiderio di sfiorargli per la terza volta la guancia, ma si limitò a carezzargli invece il dorso della mano chiusa in un pugno.
"Perché sono un disastro con le altre persone."
Tyler sorrise amaramente, mentre regalava a Josh questa confessione. Il soldato restò spiazzato da essa e fece scivolare le sue dita sul polso dell'altro stringendolo dolcemente. Aveva notato il leggero tremolio di Tyler, aveva notato la voce leggermente spezzata e in quel momento più che mai avrebbe voluto abbracciare quel ragazzo di cui conosceva solo il nome e la professione.
"Sono un soldato, so affrontare i disastri." gli disse, tenendolo stretto tra le sue dita.
Gli occhi di Tyler si riempirono di lacrime, ma con un groppo in gola, cercò di non farle scivolare giù sulle guance. "Mangiamo?" propose per cambiare discorso, sorridendo al soldato come non aveva mai fatto.
"Mangiamo." rispose Josh, con le labbra distese e gli occhi luminosi come prima.
Il cuore di Tyler batteva in 'allegretto moderato'.

"Che palle questa storia, Ed."
"Taci Harry, tanto lo so che quando parlo di Josh e Tyler pensi a te con Louis."
"Ok, sto zitto, ma non dire più queste cazzate."
"E allora perché sei diventato rosso?"


Dicembre 1916, San Pietroburgo.

Tyler e Josh avevano fatto colazione insieme poche volte in quel mese, poiché i turni di guardia del soldato permettevano solo poche occasioni.
La routine era sempre la stessa: il soldato lottava contro la folla accalcata ai tavoli, prendeva del cibo per entrambi e fuggivano via il prima possibile.
La loro stanza segreta era testimone di infinite chiacchiere: Tyler ormai si era sciolto, o quasi, e aveva iniziato a raccontare a Josh un po' di sé stesso. Gli aveva raccontato che aveva ventidue anni, che era nato a Mosca dove aveva vissuto per circa sedici anni, prima di diventare discretamente famoso come pianista. Gli aveva raccontato ancora che la sua era una famiglia nobile e ciò gli aveva permesso di evitare la leva militare. Aveva una sorella e due fratelli che amava più di sé stesso ai quali portava ogni compleanno tanti regali per farsi perdonare dell'assenza durante l'anno, ma comunque si sentiva in colpa. Gli aveva anche confessato che odiava i gatti e che la granduchessa Anastasija lo metteva in soggezione.
Di Josh invece aveva scoperto che aveva ventitre anni, che a sedici era stato costretto ad arruolarsi e che era stato mandato in guerra a diciotto. "La guerra non finirà mai, esiste da sempre e continuerà ad esserci." aveva detto amaramente, con lo sguardo perso nel vuoto. Tyler aveva scoperto ancora che il soldato odiava le minestre, che avrebbe voluto provare il cibo occidentale e che quando si rattristava i suoi occhi diventavano neri.
Tyler aveva sempre conosciuto soltanto due colori: il bianco e il nero. Il bianco, come i tasti del pianoforte ovviamente, ma anche della neve che cadeva giù in continuazione, ricoprendo tutto ciò che incontrava, dagli alberi del giardino del Palazzo alle case dei contadini. Il bianco degli argini del fiume Neva, il bianco dei muri che caratterizzavano l'edificio, il bianco dei vestiti delle granduchesse che erano sue allieve.
E poi c'era il nero. Josh il nero non lo aveva mai capito: sul piano musicale, era costretto ad usare i tasti neri. E fin lì tutto semplice, era il suo campo, sapeva in che dose somministrare quel nero alla gente.
Ma quando si trattava del nero dentro di sé, Tyler proprio non si raccapezzava. La sua anima era un puzzle fatto di paure, continue preoccupazioni che si incastravano fra di loro formando un unico manto di angoscia nero. Il giovane avrebbe voluto tanto sfilarsi quel velo che lo copriva, che lo rendeva così fragile, ma non ci riusciva perché il freddo intorno a lui era troppo forte.
Non aveva nessuno con cui potersi confidare, da cui cercare riparo e calore. In fondo, Tyler sotto quel manto nero, si sentiva protetto. Forse sbagliato, sì, ma comunque al sicuro in quell'involucro di silenzi e fobie.
Ma da quando aveva conosciuto Josh, qualcosa stava cambiando. Non esistevano più solo il bianco e nero, ma tanti altri colori, belli e brutti, che prima d'allora non aveva mai notato.
C'era il marrone chiaro, ad esempio. Un marrone splendente, bellissimo che si illuminava ancora di più con i riflessi del colore della neve. Tyler iniziava ad amare quel colore, un po' perché gli dava pace e serenità, un po' perché era comunque il colore degli occhi del soldato.
C'era il marrone scuro, un po' più triste del suo omonimo chiaro, poiché a Tyler ricordava gli ornamenti della divisa militare e quindi di conseguenza la guerra. La guerra era marrone scuro, come l'ammasso di soldati dai cuori spaventati e i fucili puntati. marrone scuro, come il ramo delle foglie macchiate del sangue di uomini che perdevano la vita per un'ideale che non apparteneva a loro. Marrone  scuro, come le pianure delle cartine che aveva visto una volta nella stanza dello zar che rappresentavano i luoghi dell'Europa divenuti nemici.
C'era il rosa chiaro della pelle di Josh. Pallido, delicato, morbido che Tyler avrebbe voluto toccare senza mai fermarsi, facendo scorrere le sue dita su qualsiasi lembo rosa dell'altro ragazzo. Sfiorandolo leggermente o magari anche facendo pressione, per imprimere su di essa il suo marchio invisibile. Avrebbe voluto assaggiarla, un pensiero che teneva nascosto negli antri sperduti della sua mente. Con le sue labbra, avrebbe voluto assaporarla e gustarne ogni minimo particolare, come si fa con i piatti più prelibati.
Tyler, grazie a Josh, aveva conosciuto un sacco di colori.
Eppure ce n'era uno che gli faceva particolarmente paura.
Il rosso.
Rosso come il sangue di millenni di storia russa, di guerre e battaglie inutili che avevano sconvolto milioni di vite. Rosso come le esplosioni delle bombe a mano, delle urla dei soldati e delle madri a casa alla notizia dei loro figli morti.
Rosso come quell'entità che, a detta dello zar, stava intaccando l'impero: il comunismo.
Rosso come le labbra carnose di Josh, da mordere e succhiare fino allo sfinimento, e ancora dormire su quelle labbra, sognarci e magari svegliarsi col sapore del riccio dentro la bocca e dentro le ossa, come il migliore dei veleni.
E Tyler non era sicuro di voler permettere a quelle labbra di strappare a morsi il velo nero che lo avvolgeva.

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