25 Ottobre 1917, San Pietroburgo. Ore 16:00.
"A che pensi Tyler?" chiese Josh seduto comodamente sul divanetto con l'altro, carezzandogli i capelli. Anastasija aveva appena finito la lezione di pianoforte ed era uscita per prendere un po' d'aria. Stare rinchiusa ventiquattro ore su ventiquattro non le faceva affatto bene, e anche se sostare in giardino era molto pericoloso, ne aveva bisogno.
Avevano deciso di continuare le lezioni, perché gradite o meno, erano gli unici momenti in cui Anastasija smetteva di pensare alla guerra. Aveva anche fatto progressi negli ultimi mesi, forse anche perché sperava che se avesse imparato in fretta tutte le nozioni, Tyler se ne sarebbe andato da Palazzo.
"Non so che pensare." rispose, facendo intrecciare le loro mani. "Là fuori c'è la fine del mondo e ho tanta, tantissima paura." confessò, chiudendo gli occhi, cercando di godersi le attenzioni del soldato.
"Andrà tutto bene." lo consolò Josh, rincuorandolo che parole che sapevano di bugia. Ma volevano crederci comunque, perché non era rimasto loro nient'altro.
"Sono preoccupato per la mia famiglia." aggiunse poi Tyler, dopo qualche attimo di silenzio. Josh lo strinse ancora più forte a sé, in un abbraccio quasi soffocante, ma che serviva a fargli capire che lui c'era e che ci sarebbe sempre stato.
"Loro sono lontani da tutto questo, sono al sicuro." gli disse il soldato riferendosi alla famiglia del giovane accanto.
"Siamo noi a non essere al sicuro."
"Farò di tutto per farti restare al sicuro. Te lo prometto."
Josh si sporse in avanti per poterlo baciare, ma l'altro si scostò immediatamente, con una leggera risata per smorzare quell'aria tesa che si era venuta a creare.
"Ci scopriranno, scemo." gli aveva detto, spingendolo via. Ma Josh rise con lui, riabbracciandolo di nuovo e prendendogli il mento tra le dita, iniziando a baciargli tutta la mandibola ricoperta da un po' di barbetta incolta. "Voglio solo suggellare questa promessa." insistette, premendo finalmente le sue labbra contro quelle del pianista, che non si oppose per nulla, ma anzi, gli diede libero accesso.
In quel bacio trovarono speranza, ma in quel bacio trovarono anche la loro rovina, perché dalla porta che Anastasija aveva lasciato socchiusa, c'era la cameriera Jenna che proprio quel giorno aveva deciso di compiere a dovere il suo lavoro e pulire tutte le stanze.
Rimase sconcertata da ciò che vide. Era immorale che due uomini si baciassero e ancora di più lo era se si trattava di una persona di un certo livello come Tyler e un semplice mercenario.
Non perse tempo, lasciò scopa e pezze proprio lì davanti la porta e andò dritto dalla zarina, a confessare qualcosa che mai il Palazzo d'Inverno aveva visto.
25 Ottobre 1917, San Pietroburgo. Ore 19:00.Due ore dopo, il pianista acclamato da moltissime persone in Russia, fu convocato alla presenza della zarina Aleksandra Fëdorovna Romanova, che pur di non pensare alla guerra, aveva deciso di preoccuparsi delle cose che riguardavano il suo adorato Palazzo, lasciato nelle sue mani dal marito Nikolaij II partito per la guerra.
"Vostra Maestà." si inchinò il giovane, sorpreso per quella chiamata improvvisa e curioso di sapere che cosa volesse da lui la donna più potente del mondo.
Quello che vide fu come un dejà vu: la zarina era seduta comodamente sul divanetto, sorseggiando tè nero d'alta qualità, esattamente come la prima volta che si erano incontrati.
La differenza stava nel fatto che gli occhi di Aleksandra erano di un marrone spento, quasi assente, e persino la sua maschera da donna austera non riusciva a coprire quella perdita improvvisa di colore. Tyler si morse un labbro: sapeva che anche lei in fondo, aveva un cuore d'oro e che la guerra la stava distruggendo, come stava distruggendo tutta la popolazione russa.
"Hai fatto un ottimo lavoro in questi mesi." aveva iniziato la donna, senza neanche guardarlo negli occhi. "Hai persino insegnato qualcosa a quelle teste dure delle mie bambine."
Tyler si sforzò di fare un sorriso, mentre sussurrava un debole "Grazie.".
"Sai, avresti potuto anche continuare a lavorare qui, magari insegnando il pianoforte alle mie figlie. Ma poi mi è giunta voce di una certa relazione che sai, caro Tyler, non ci fa fare di certo una bella figura di fronte agli altri."
Il cuore di Tyler mancò di un battito. O forse di due, tre.
Era certo che stesse parlando di lui e Josh, li avevano scoperti, se lo sentiva. Il suo labbro tremò, gli occhi si riempirono di lacrime ma da qualche parte dentro sé trovò la forza per chiedere "In che senso, vostra Maestà?"
"Devi andartene, Tyler, entro stasera. Non possiamo cacciare via il soldato perché in un momento come questo una guardia in più non può farci che comodo, ma un pianista al momento non è più richiesto."
Tyler inghiottì, incapace di rispondere. La sua mente era annebbiata, l'immagine della zarina era ormai sfocata. Immobile e cercando di non cedere al dolore davanti Aleksandra, si inchinò come aveva fatto appena era entrato e disse: "Sono stato onorato di lavorare al vostro servizio. E' stata l'occasione più grande della mia vita. E non mi pento di nulla."
La zarina rimase sorpresa per quella grande forza che aveva mostrato il pianista. Aveva colto la leggera frecciatina dell'ultima frase, ma non gli diede peso più di tanto, poiché aveva capito che Tyler ma era davvero un brav'uomo.
"Dasvidania, vostra Maestà. Le auguro il meglio." salutò Tyler in un veloce addio, prima di uscire dalla sua stanza in modo diplomatico e lasciarsi dilaniare dal dolore definitivamente.
Si accasciò dietro la porta della zarina, non pensando che se fosse uscita l'avrebbe visto in quello stato. Chiuse gli occhi, cercando di respirare regolarmente, ma gli mancava l'aria, la stretta al cuore era troppo forte e si sentiva morire. Appoggiò le mani a terra per trovare la forza di alzarsi, ma ci vollero diversi tentativi prima che ci riuscisse. Mentre camminava dovette aiutarsi a stare in piedi sostenendosi con una mano sul muro. Non sapeva dove stava andando, non gli importava. Avrebbe tanto voluto cercare Josh e dirgli la verità, ma con che faccia poteva dire all'uomo che amava che erano costretti a separarsi? Alcune lacrime sfuggirono al controllo, rigando le guance portatrici di tanti ricordi. Le asciugò in fretta, sperando che nessuno che passava accanto a lui le avesse notate.
I suoi piedi lo portarono nella loro camera, mentre la sua testa era in un'altra dimensione: stava rivivendo ogni singolo momento passato con il soldato, dal primo incontro, dalla prima colazione, al primo bacio, al primo pianto insieme.
Gli aveva regalato tutto ciò che aveva. L'anima, il corpo, la mente, era stato tutto donato a quel ragazzo che in realtà si era già preso tutto senza neanche chiederlo.
Lo amava, ormai ne era più sicuro. Lo amava con ogni singola fibra del corpo, ogni singola ossa e anche se ce n'erano milioni, anche con ogni singola cellula. Si sedette sullo sgabello davanti a quel pianoforte che con tanta gentilezza Josh aveva fatto riparare per lui. Si ricordò che non lo aveva mai ringraziato abbastanza per quel gesto, e che lo avrebbe fatto prima di dirgli addio.
Non riusciva neanche a pensarla quella parola. Non poteva neanche concepire di separarsi da lui, non dopo quell'anno meraviglioso che avevano passato insieme, seppur con qualche mese di stallo.
Senza di Josh, non gli sarebbe rimasto più nulla. O forse sì, una sola cosa: la musica. Per questo, iniziò a premere i tasti del pianoforte davanti a sé, rifugiandosi nell'unico mondo oltre le braccia di Josh in cui si sentiva protetto. Tasti neri e tasti bianchi, tasti bianchi e tasti neri e poi insieme e poi separati, in una danza guidata da quelle dita affusolate che in quel momento desideravano essere incastrati tra i ricci del soldato, o accoccolate nelle sue guance e nelle sue fossette.
Un sussulto ad una nota alta: Tyler iniziò a piangere seriamente, versando tutta l'anima in quei tasti che potevano capire il dolore che stava provando.
Non stava suonando una musica conosciuta, né di Strauss, né di Cajkovski. Era solo un'accozzaglia di note che insieme suonavano dolorosamente bene. Era la musica di Josh e Tyler, dei loro ricordi, delle loro speranze, delle loro sofferenze.
Quella sera, Tyler non fece altro che scrivere e suonare.
Scrivere su pentagrammi che erano diventati pentadrammi, scrivere sinfonie che erano diventate sinfobie.
Il cuore di Tyler non batteva più.
25 Ottobre 1917, San Pietroburgo. Ore 22:30.Josh era di turno quella sera. Lui e Anya avevano deciso di leggere un bel libro insieme, seduti insieme nel divanetto della stanza dove di solito si svolgevano le lezioni di piano.
"... Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare." leggeva il soldato, con la testa della piccola granduchessa appoggiata sulla sua spalla. Sorrise un po' Josh a quella frase appartenente al romanzo "Anna Karenina" , perché mentre la pronunciava a voce alta, gli veniva in mente solo una persona che per lui potesse essere definita "sole".
La lettura però purtroppo fu interrotta dalla zarina, che con la sua solita eleganza era entrata nella stanza, strascicando la gonna lunga del suo vestito bianco e meraviglioso. "Anastasija." chiamò severa, attirando la loro attenzione. "Tua sorella Marija vuole andare a letto, perché non la accompagni?" aveva chiesto, spostandosi una ciocca di quei capelli biondissimi.
Anya si alzò dal divanetto, scoccando un leggero bacio sulla guancia di Josh, pronta ad obbedire all'ordine di sua madre che era in procinto di uscire dalla porta.
"Ah, un'altra cosa." aggiunse, fermandosi con una mano sullo stipite della porta. "Da oggi in poi non seguirai più le lezioni di pianoforte. Ho licenziato Tyler." disse, facendo immobilizzare sia Josh che la piccola rossa. "Aveva una certa relazione con un certo soldato e questo faceva male all'immagine dei Romanov e del Palazzo." aveva aggiunto guardando proprio il ragazzo, in uno sguardo severo, prima di scomparire.
Anastasija era sconvolta da quella notizia. Con la bocca aperta rimuginò sulle parole di sua madre, e anche se avrebbe dovuto sentirsi felice, si sentiva uno strazio invece. E questo era perché sentiva il dolore di Josh anche senza voltarsi e guardarlo in faccia. Inghiottì, ma il groppo in gola rimase e con le lacrime agli occhi si girò verso il soldato.
Aveva gli occhi spalancati, fissi per terra, così vuoti che Anastasija si sentì gettata contro il nulla solo guardandoli. Le mani gli tremavano e a quella vista la piccola granduchessa iniziò a piangere. "Josh.." sussurrò, avvicinandosi a lui e prendendo una di quelle, grande il doppio della sua.
"Che cosa ho fatto Anya.." mormorò Josh, incapace di qualsiasi espressione, muovendo la bocca come un automa. "E' colpa mia, ci hanno visti baciarci."
Anastasija Nikolaevna Romanova per la prima volta, mise da parte la gelosia e decise di fare qualcosa per Josh, la sua adorata guardia.
Gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi. Un grande freddo la invase quando si specchiò in quegli occhi spenti. La consapevolezza di avere gli occhi marroni sbagliati, di avere gli occhi marroni che Josh non desiderava, la fece soffrire un po', provocandole una leggera morsa al cuore, ma cercò di non farci troppo caso, mentre poggiava le labbra sulla fronte del soldato.
"Vai a cercarlo." disse solamente, lasciandolo solo nella stanza e andando a piangere per l'ennesima volta sul cuscino della sua camera.
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sinfobie | joshler
Teen Fiction"Vedi Haz, questa storia parte da molto lontano. Però devi sapere una cosa. La melodia che hai sentito non è stata scritta a caso, né per scopi economici. Tyler scrisse quello spartito per una e una sola persona a questo mondo: il suo amato Josh." s...