-29.
Mia madre era una donna molto religiosa. Quand'ero bambino, la domenica mattina era un rituale da seguire alla lettera. Il tè bollente bevuto in silenzio al piccolo tavolo rotondo della cucina, il tessuto rigido della camicia stirata che mi grattava le braccia, la messa delle otto e mezza, poi a casa a studiare. Almeno finché non iniziai a essere troppo ubriaco dalla notte precedente per sentire la sveglia. Ma mia madre non smise mai di andarci.
Padre Brown era un uomo bianco: capelli bianchi, veste bianca, rughe bianche di carne molliccia, pupille acquose che spuntavano nel bianco dei suoi occhi. Parlava del peccato, sempre. Il diavolo si traveste da qualunque cosa, diceva. E io mi guardavo intorno, chiedendomi dove potesse essere in quel momento: tra le pieghe della tenda color sangue rappreso del confessionale, o nel corridoio buio che portava alle stanze posteriori. Tenetelo a mente e interrogatevi sempre su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, diceva. Anche Lucifero era un angelo.
L'arredamento di casa Toro faceva schifo.
Ray sembrava non aver fatto alcun cambiamento da quando ci avevano vissuto i suoi genitori. C'erano mobili di legno scuro, carte da parati discutibili, tappeti persiani dall'aria consumata. Sembrava il set di un film horror degli anni novanta e non l'abitazione di un uomo che non aveva ancora toccato i quaranta.
Frank teneva lo sguardo passivamente incollato agli uccellini intagliati nel legno di una piccola dispensa da un tempo indefinito. Nelle sue orecchie, musica punk vecchio stampo a un volume alto abbastanza da fargli dimenticare l'odore stucchevole di fiori e talco che impregnava il divano del soggiorno su cui era disteso, con la testa incassata contro le spalle e i piedi alzati sul poggiolo. Aveva speso così la maggior parte della giornata. Le uniche eccezioni che ricordava erano: due pause pipì, tre pause sigaretta risolte velocemente affacciato alla finestra del salone nonostante il divieto esplicito e ripetuto di Ray di fumare in casa, e pochi minuti per ingoiare un piatto di spaghetti a pranzo. Triste, forse. Ma il suo ultimo datore di lavoro, il proprietario di una tavola calda che indossava solo magliette con slogan repubblicani e si toccava sempre i pochi capelli che aveva in testa con le dita unte di pancetta, l'aveva licenziato quattro mesi prima per essersi presentato completamente ubriaco al suo turno delle sette del mattino; perciò, mentre gli altri andavano a scuola o al lavoro, non aveva poi tanto di meglio da fare. Frank era sicuro che il motivo in fondo non fosse tanto la sbronza, quanto il fatto che si fosse piegato in due a vomitare proprio sopra la schiera di bandiere americane dei volantini elettorali che teneva sul bancone. Due settimane dopo, Frank aveva fatto il suo ingresso nel gruppetto di casi umani di Ray. Fortunatamente, sua madre continuava silenziosa a mandargli qualcosa per vivere ogni mese. Poco importava che i suoi soldi fossero macchiati di silenzi e sensi di colpa. Facevano il loro dovere e Frank ne aveva bisogno.
Un movimento alla sua destra lo costrinse ad alzare gli occhi, e si scoprì con le palpebre intorpidite. Davanti a sé trovò le cosce di Ray, avvolte in un paio di pantaloni di velluto a coste. Più in alto, la sua bocca muta parlava e le guance erano piegate in un sorriso paziente. Frank sospirò e si tolse la cuffietta destra dall'orecchio.
<<Eh?>>.
Lo spazio intorno a lui si riempì improvvisamente del brusio leggero della pioggia, di chiacchiere basse e della voce pacata di Ray, intrecciata all'assolo di chitarra che gli martellava nel timpano sinistro.
<<Che ne diresti di lasciare un po' di spazio anche agli altri, Frank?>>.
Solo allora si accorse che in salotto era già tutto pronto per la terapia di gruppo delle quattro. Lo sguardo annoiato di Noah fece capolino oltre i ricci di Ray.
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The disadvantages of being cyborg | Frerard
FanfictionStare in una casa per svitati non era poi tanto divertente come avrebbe creduto. O forse sì. Di certo lo era di più, da quando era arrivato Gerard.