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CHE SUCCEDE? (cit. Morgan) (scusate ci vediamo alla fine, enjoy)


-27.

A volte avevo l'impressione di perdermi. Coi piedi ben fissati al terreno, in un punto definito e conosciuto del pianeta, la mia vita ben chiara intorno a me. E perdermi lo stesso, la mia coscienza sommersa nel mio corpo, che perso non lo era per niente. Non come quando mi distraevo durante le ore di matematica perché erano una rottura e tanto non ci avrei capito mai niente; era più come lasciarsi scivolare di mano qualcosa in mezzo al mare; una conchiglia, un elastico per capelli. Cade, gli basta un attimo per scomparire. E sai che se non ti sbrighi, se non ti tuffi nell'acqua torbida e ti metti a cercarlo alla cieca prima che vada a fondo, con le braccia che si muovono senza una direzione e il sale che ti brucia gli occhi, non lo troverai mai più.

Era una giornata di quelle fredde, che entrano fin nelle ossa. Fredda persino per il New Jersey.

Il cielo era un'unica pennellata di grigio da un orizzonte all'altro, la brezza notturna non accennava ad attenuarsi. Gli alberi che la sfidavano a bordo strada erano scheletrici, nodosi; le gemme nate col primo timido assaggio di primavera dei giorni precedenti sembravano stare in equilibrio sui rami per miracolo. Qualche uccellino nascosto aveva il coraggio di annunciare il mattino, sovrastato dal rumore degli autobus stipati di studenti che iniziavano a popolare la via. Fino a un'ora prima, la città era ancora meravigliosamente deserta. Ma ormai si erano fatte quasi le otto e la pace era finita.

Frank fissò un gruppo di ragazzini che ridevano lungo il marciapiedi, con le cravatte dell'uniforme scolastica ordinatamente stese lungo il petto. Ancora non sapeva grazie a quale miracolo fosse riuscito a diplomarsi. Gli anni del liceo erano una massa informe nei suoi ricordi, eppure erano passati a malapena mesi. Non ne rimaneva nulla che valesse la pena conservare.

Abbassò lo sguardo e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans. Erano le sette e trentuno minuti. A casa di Ray tutti stavano facendo colazione, come ogni mattina. Tornò a guardare davanti a sé. Era seduto su quella panchina da almeno un'ora. Doveva rientrare e smettere di sfidare la fortuna, con la sua salute fragile. Iniziava a sentire la fronte pesante, come ogni volta che un'altra influenza era alle porte.

Il pensiero sembrò affondare tra le pieghe della sua mente. Non accennò a muovere un muscolo.

Seguì con lo sguardo un cane che si adeguava pigramente al passo del padrone anziano. Cercò di non soffermarcisi. Cascò di nuovo sulla dipendente di un bar che spazzava l'ingresso.

Si odiava quando faceva così.

Le sue gambe agirono di loro istinto e lo portarono in piedi. Con la mano alzò il volume della musica nelle cuffiette, il cuore accelerò al ritmo della batteria. Abbassò lo skateboard che aveva appoggiato alla panchina con un colpo del tallone e si diede lo slancio per partire.

Si lasciò scivolare lungo le strade, con l'aria frizzante che gli bruciava nei polmoni e gli spingeva indietro i capelli. La città gli correva intorno senza che lui la vedesse, mentre sfrecciava veloce tra le macchine. Quando raggiunse il quartiere residenziale di Ray, sui marciapiedi c'era solo qualche bambino che aspettava il pullman. Virò verso il centro della strada e si abbandonò alla discesa morbida della collina, coi piedi dritti sulla tavola e gli occhi fissi sull'orizzonte informe oltre i palazzi. Sentì l'odore dei prati bagnati, il profumo della colazione che usciva da qualche finestra, il fumo che gli impregnava i vestiti. Chiuse le palpebre per qualche istante.

Il suono di un clacson lo fece sobbalzare e si accantonò sulla destra.

Quando si fermò, aveva il collo gelato di sudore freddo. Raccolse lo skateboard con una mano e varcò la soglia di casa senza tante cerimonie. Filò al piano di sopra, mollò lo skateboard e la giacca nella sua stanza; tolse le cuffie ma le tenne sciolte intorno al collo, pronte all'uso. Quando si trascinò lungo le scale verso la sala da pranzo, con le suole umide che squittivano e la felpa pesante che gli si appiccicava alla schiena, sentì il vociare degli altri che finivano di mangiare.

The disadvantages of being cyborg | FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora