Spaccaossa

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3. SPACCAOSSA

I can take the pitchfork, from the devil
Keep a super suit like I'm incredible
From the deep blue sea, to the dark blue sky
I'm the baddest man alive.”
(The Baddest Man Alive, The Black Keys)

Due settimane dopo
Amabel osservava le persone entrare e uscire dall’ospedale simili a minuscole formiche indaffarate. Scrollò la testa e tornò a concentrarsi sulla cartella di un paziente che aveva bisogno di un’immediata trasfusione di sangue. Un minuto dopo chiuse la cartella con uno sbuffo, la sua mente era altrove e non era in grado di focalizzarsi sul problema. Sobbalzò quando la porta dell’ufficio si aprì all’improvviso e sbucò il viso paffuto di un’infermiera.
“Perdonate il disturbo, dottoressa. In sala d’attesa c’è una visita per voi.”
“Chi è?” chiese Amabel, alzandosi e sistemandosi la cartella sotto il braccio.
“Si tratta di vostra zia Camille. Dice che ha urgenza di conferire con voi.”
Amabel rimase delusa, sperava invece che fosse Thomas Shelby a farle visita. Dopo la chiacchierata nel giardino del White Rose non si erano più visti. Quando lei si andava a Small Heath, lui non c’era mai, ma Amabel sapeva che qualcosa bolliva in pentola perché nel quartiere tutti i suoi tirapiedi erano indaffarati.
“Adesso arrivo.”
Non aveva nessuna voglia di affrontare sua zia, già immaginava la predica che le avrebbe rivolto e non era dell’umore per essere insultata. Si ritagliò qualche minuto per bere una tazza di thè, sebbene non le piacesse, pur di ritardare l’incontro. Quando raggiunse la sala d’attesa, riconobbe la silhouette alta e magra di Camille, i capelli grigi raccolti in uno chignon, e il completo elegante color blu scuro.
“Amabel!” esclamò la donna sollevando la mano per salutarla. Si diedero due baci sulle guance e si strinsero in un debole abbraccio, un saluto molto formale.
“Zia Camille, come mai sei qui? Lo sai che è l’orario di lavoro.”
“Quando mai hai lavorato tu?! – ridacchiò la donna riavviandosi una ciocca dietro l’orecchio – Fatto sta che sono qui per Evelyn. Mi ha detto che non vuoi acquistare le bomboniere di cristallo per il suo matrimonio. Sei per caso impazzita, Amabel?”
“Questo matrimonio ci costa una fortuna, ed è questa la vera pazzia. La dote che papà ha lasciato ad Evelyn non riesce a coprire le spese e i soldi di Diana non ci penso neanche a toccarli.”
Amabel affondò le mani nelle tasche nel camice e sospirò, quella donna era capace di farla sempre innervosire.
“E la tua dote che fine ha fatto? Deduco che tu abbia sperperato tutti i soldi.” La rimbeccò Amabel con alterigia, schioccandole un’occhiataccia.
“Sì, ho speso i soldi della dote per una buona ragione. Ho viaggiato molto nell’ultimo anno e ho appreso nuove scoperte mediche che mi sono di grande aiuto. Non ho sperperato, ho usato i soldi con estrema intelligenza.”
“Io la definirei piuttosto una stupidaggine. Non possiamo fare una pessima figura con i Cavendish! Sono la famiglia più ricca della città e hanno scelto tua sorella, perciò è tuo dovere provvedere al massimo delle tue possibilità per organizzarle un matrimonio stupefacente. Vuoi che ci vedano come gli zingari di Small Heath?”
Amabel intuì che Camille facesse riferimento al suo studio a Small Heath, il quartiere più degradato di tutta Birmingham, e si irrigidì.
“Noto che Evelyn ti ha parlato dello studio, non ci si può fidare di nessuno al giorno d’oggi. Il mio lavoro a Small Heath non ha a che vedere con il matrimonio. Se Jacob ama davvero Evelyn, ridimensionerà le spese pur di sposarla.”
“Jacob Cavendish ridimensionare le spese? Hai davvero perso il senno! Amabel, sii realista. La gente ricca sposa solo la gente ricca.”
“La gente ricca non si innamora?” scherzò Amabel, ma sua zia non rise affatto.
“Evelyn si sta piazzando bene nell’alta società, non rovinare tutto con le tue idee rivoluzionarie. Pensa anche alle tue sorelle, non essere sempre la solita egoista!”
“Io sono egoista? Forse non conosci il significato del termine. Sono io che pago la casa enorme dove vivono le mie sorelle, pago Bertha, pago la loro istruzione, i loro vestiti, e i loro vizi. Sarò anche una rivoluzionaria, e lo accetto, ma non sono di certo egoista. Sei tu che riempi le loro teste di stupidaggini!”
Una coppia di infermiere sussultarono per il tono di voce alto di Amabel, e Camille arrossì per l’imbarazzo.
“Sei una selvaggia, proprio come gli zingari che frequenti! Siamo donne, Amabel, e abbiamo dei doveri a cui adempiere. E’ questo che la società si aspetta da noi.”
“Siamo donne, non schiave della società! Non ti lascerò inghiottire le mie sorelle nella tua folle società. Sono tornata, zia Camille, e adesso sono io che comando.”
Amabel intravide Finn in fondo al corridoio, il ragazzo le stava facendo cenno di raggiungerlo in mensa.
“Hai perso la ragione.” Le disse Camille in tono perentorio. Amabel, però, le aveva già dato le spalle e si stava allontanando.
Non appena Amabel raggiunse la mensa, la mano di Finn la trascinò al riparo da occhi indiscreti.
“Che succede, Finn?”
Il ragazzo si guardò intorno prima di parlare, era così che gli avevano insegnato i suoi fratelli.
“Tommy ha bisogno di te stasera.”
“Ha bisogno di me per cosa?”
“Non posso dirti altro. Tommy sarà in ufficio questo pomeriggio, è meglio che tu vada a parlare con lui.”
Amabel sospirò, non poteva prendersi un attimo di pausa tra la sua famiglia e quella degli Shelby.
“D’accordo. Lo vedrò nel pomeriggio.”

Red right hand || Tommy Shelby Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora