Salvami di nuovo

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9. SALVAMI DI NUOVO

“We can hold hands till the sun goes down
‘cause I know that you and I can be together .”
(Babe I’m on fire, Nick Cave)

Una settimana dopo
Tommy stentava a credere a quello che stava leggendo. Michael gli aveva consegnato un documento: lo studio medico Hamilton era ufficialmente proprietà della Shelby Company Limited. Amabel gli aveva ceduto lo studio.
“Perché mai ci avrebbe ceduto lo studio di suo padre?”
“Non lo so.” Disse Michael accendendosi una sigaretta. Stranamente si fissava con troppa insistenza le scarpe e Tommy capì che stava mentendo.
“Ah, no, no. Tu lo sai eccome. Sicuramente ne avrete parlato quando ti ha portato le carte firmate. Perché cazzo ci ha lasciato lo studio?”
Tommy proprio non riusciva a comprendere quel cambio di rotta. Solo sette giorni prima si erano consolati a vicenda tra teneri baci e ricordi di guerra, davanti al camino, stretti in un abbraccio. Poi lei era diventata distaccata, non avevano fatto parola di quella notte, e ognuno aveva continuato per la propria strada. L’uno aveva odiato mostrarsi vulnerabile all’altra.
“Le sorelle di Amabel si trasferiscono a Londra e lei andrà con loro.”
Michael vide l’espressione di Tommy tramutarsi in una maschera di rabbia. Era evidente ormai che si fosse affezionato alla dottoressa in modo particolare.
“Puoi andare, Michael. Me la sbrigo da solo.”

Amabel sigillò l’ultimo scatolone e si sciacquò le mani per togliere la polvere. Aveva passato l’intera mattinata a smantellare lo studio e a imballare i libri e gli strumenti medici. Sarebbe dovuta anche andare in ospedale per rassegnare le dimissioni. Era tutto pronto per la partenza: Bertha era partita prima per rimettere a lucido la casa londinese, Diana aveva consegnato l’iscrizione nel nuovo liceo, e Evelyn si era iscritta ai corsi di letteratura inglese ad Oxford. Amabel probabilmente avrebbe aperto un proprio studio medico, ma l’idea era ancora campata in aria. Si ridestò dalle sue riflessioni quando si accorse di colpi ripetuti alla porta. Affacciandosi alla finestra, scorse il profilo di Tommy.
“Bel, apri la porta. Avanti, ho bisogno di parlarti!”
Amabel aprì la porta il giusto per guardarlo in faccia.
“Sì?”
Tommy inarcò il sopracciglio e irrigidì la mascella.
“Che cazzo fai, Bel? Te ne vai e nemmeno me lo dici.” Disse lui, la voce nervosa.
“Thomas, ho le mie ragioni. Devo pensare alla mia famiglia e questa città non è più sicura per loro. Ho commesso un errore e devo rimediare.”
Amabel fu sbalzata all’indietro quando Tommy spinse la porta per entrare. Lo studio era spoglio, era tutto finito negli scatoloni, e lui aggrottò la fronte.
“L’errore sarei io?”
“L’errore sono i Peaky Blinders. Non mi sarei mai dovuta immischiare nei vostri affari.” Disse Amabel, le braccia conserte, le labbra tra i denti. Tommy rise senza divertimento.
“Quindi sei stata dalla nostra parte fino a quando ti ha fatto comodo? Poi eliminiamo i tuoi problemi e finalmente pensi di esserti liberata di noi.”
“Thomas …”
Tommy alzò la mano per farla stare zitta camminando verso di lei che indietreggiava.
“Non funziona così, dottoressa. Non puoi andartene senza il mio permesso.”
“Non farmi questo. Non a me.” ribatté Amabel con tono perentorio.
“E perché? Tu chi sei?”
“A che gioco stai giocando, Thomas? Non sarò il topo del tuo gatto. Non mi divertono certi giochi.”
Tommy scavò nella tasca della giacca e si accese una sigaretta gettando il fumo in faccia alla ragazza. Amabel tossì senza distogliere lo sguardo.
“Dato che il gatto e il topo non ti piacciono, che ne dici se io sono il lupo e tu l’agnellino indifeso che supplica di non essere sbranato?”
Amabel nei suoi occhi azzurri riconobbe quel baluginio meschino che aveva mostrato con Meyer. Il Thomas che si era cullato fra le sue braccia per colpa degli incubi non c’era più.
“Sei tu quello che supplica. Da sempre mi supplichi di aiutarti. Le tue minacce con me non funzionano, Thomas.”
“Mi rinfacci il tuo aiuto adesso, eh? Non credevo fossi quel tipo di persona.”
“Divento quel tipo di persona quando minacci di sbranarmi.”
Erano così vicini che Amabel sentiva il familiare odore di alcol e tabacco. Tommy si attorcigliò intorno all’indice una ciocca castana della ragazza con fare annoiato.
“Divento uno stronzo quando le cose sfuggono al mio controllo.”
“Io non sottomessa al tuo controllo.” Disse lei puntando gli occhi nei suoi. Tommy sorrise, adorava quella sua capacità di tenergli testa.
“Volente o nolente, sei sotto il mio controllo da quando hai rimesso piede a Small Heath . Nessuno se ne va mai per davvero da questo fottuto quartiere.”
“Non voglio che il nostro ultimo momento sia così, Thomas. Voglio salutarti come fossi un amico fidato.”
“Devo dedurre che baci tutti i tuoi amici fidati? Non immaginavo che ti facessi scivolare sotto il vestito le mani dei tuoi amici.”
Amabel gli tirò uno schiaffo, ma questa volta non si scusò come aveva fatto in precedenza. L’espressione severa di Tommy non cambiò.
“Non ti permetto di offendermi! Ho una dignità che va rispettata!”
Tommy, mosso dalla furia, le afferrò i polsi e la fece sedere sulla scrivania vuota.
“Nessun rispetto per chi mi pianta in asso.”
“Io devo andarmene, Thomas! Lo vuoi capire? Devo allontanarmi da te, da noi, da questo quartiere. E’ tutto talmente tossico che sento di starci affogando dentro!” disse lei dimenandosi invano, lui non la lasciava andare. Tommy sapeva che Amabel aveva ragione, fuggire da Birmingham era l’unica occasione di salvezza per loro che dalla Francia non erano mai davvero tornati. Per quanto ferito, dovette accettare quella condizione. Le cinse il collo con la mano e fece scontrare le loro labbra in un bacio impetuoso, fatto di morsi e ansimi. Amabel lo prese per il bavero della giacca e se lo premette contro per quello che era il loro ultimo saluto.
“Thomas.”
“Vattene, Bel. Vattene.” Sussurrò Tommy sulle sue labbra, poi la baciò sulla fronte e uscì dallo studio. Amabel si toccò le labbra bollenti per il bacio e avvertì il cuore più pensate di prima.

Red right hand || Tommy Shelby Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora