27 luglio 2017
Erano ormai venti minuti che spulciavo il menù di Netflix in cerca di una nuova serie tv da guardare. Andava sempre a finire così: cercavo e ricercavo, leggendo tutte le trame e guardando i trailer per poi concludere che non c'era nulla che mi ispirasse particolarmente e spegnere.
Non avendo più esami fino a settembre, avevo deciso che fino a ferragosto non avrei più pensato all'università e mi sarei goduta qualche settimana di completo relax.
Ero circa a metà della lista delle serie "I più visti su Netflix" quando il mio telefono squillò.
Mamma
Trassi un lungo respiro e risposi
"Ciao mamma"
"Allora sei viva"
"Si mamma, sono viva. Sono stata impegnata in questi giorni"
"Stando a sentire te, sei sempre impegnata. Mi fa felice che trovi il tempo per tutto e tutti tranne che per tua madre" disse sarcastica "sono almeno due settimane che non mi mandi nemmeno un messaggio"
La conversazione era iniziata da nemmeno quindici secondi e già avrei voluto riattaccare. Chiusi gli occhi e inspirai di nuovo:
"Come stai?" chiesi ignorando il suo commento
"Starei molto meglio se mia figlia si facesse vedere ogni tanto. Non so mai cosa fai, non mi racconti mai niente..."
"Ho passato l'esame di neuroscienze. Ventitré" dissi prima che potesse aggiungere altro
"Davvero? Brava!" il tono della sua voce si era alzato di parecchi decibel e fui costretta ad allontanare il telefono dall'orecchio con una smorfia.
"Si dai, non è male considerato che..."
"Bisogna festeggiare!" mi interruppe quasi urlando "Stasera vieni a cena, ti preparo la pasta al ragù! Quello buono fatto da me ovviamente, non quelle porcherie già pronte che ti rifila tuo padre"
"Non lo so, stasera pensavo di..." cercai di inventarmi una scusa su due piedi
"Ti aspetto per le otto. Ci vediamo dopo"
Feci per rispondere ma mi accorsi che aveva già riattaccato.
La conversazione con mia madre durò meno di cinque minuti ed ero comunque esausta; era questo il principale motivo per cui non la chiamavo spesso, quella donna aveva la capacità di appesantire tutto, di rendere complicate anche le cose più semplici. E il mio rapporto con lei era già di per sé tutto tranne che semplice.
Fin da quando ero piccola io e lei avevamo discussioni e battibecchi praticamente su tutto; una volta, quando avevo circa tredici anni, si arrabbiò perché mi rifiutavo di seguire l'assurda beauty routine contro l'acne che mi aveva propinato e il giorno dopo scoprii con disappunto che per farmela pagare si era portata al lavoro il router, così che io non potessi andare su internet per tutto il giorno.
La situazione peggiorò notevolmente quando cominciai le superiori, lei e mio padre litigavano spesso e io tendevo a schierarmi sempre dalla parte di mio padre, cosa che la mandava fuori di testa. Penso sia sempre stata gelosa del rapporto speciale che ho sempre avuto con lui e a volte non riusciva proprio a fare a meno di rinfacciarlo ad entrambi.
In quel periodo cominciò a bere e alcune sere, quando esagerava, cominciava ad urlarci addosso. A volte, se la litigata avveniva durante la cena, si alzava prendendo i nostri piatti spesso ancora pieni e li rovesciava nella spazzatura. Una volta addirittura prese un pennarello indelebile e imbrattò parte del muro della cucina gridando che "tanto in questa casa a nessuno frega un cazzo di me".
In quelle occasioni mio padre non rispondeva alle grida con altre grida, si limitava ad alzarsi e a chiudersi in bagno o in camera. Io invece mettevo scarpe e giubbotto il più velocemente possibile e uscivo di casa sbattendo la porta; passavo ore intere a camminare su e giù per il paese piangendo e sperando che prima o poi tutto ciò raggiungesse una fine.
La risposta alle mie speranze arrivo nell'aprile del 2014 quando finalmente si decisero a separarsi; in quel periodo tutti mi prestavano molta attenzione e si preoccupavano per me, immaginando che stessi soffrendo molto per questa situazione delicata. La verità però era che mi sentivo incredibilmente sollevata e quasi felice che si fossero separati: niente più litigi, niente più urla, niente più rabbia; ero sicura che qualsiasi nuovo inizio sarebbe stato meglio che vivere ancora quell'incubo.
Per mia fortuna, avendo già compiuto i diciotto anni, ebbi modo di scegliere con chi dei miei genitori rimanere a vivere. Scelsi mio padre, ovviamente.
Ricordo che quando glielo comunicai, il suo cuore si riempì di gioia; mia madre invece mi disse solo che le dispiaceva che non avessi deciso di rimanere con lei. Apprezzai molto il fatto che non mi avesse fatto scenate che mi avrebbero causato un grande senso di colpa, ma capii comunque che qualcosa dentro di lei si spezzò in quel momento.
Scoprii successivamente che la cosa che li spinse a separarsi fu la scoperta, da parte di mia mamma, della relazione che mio padre aveva con un'altra donna da quasi due anni; io ne ero completamente all'oscuro. Non provai odio o delusione verso mio padre: lui con me era sempre stato il papà migliore del mondo e, pur sapendo che quello che aveva fatto a mia madre era sbagliato, non riuscii a biasimarlo. Stare con lei doveva essere diventato veramente impossibile e capii perché aveva cercato affetto altrove.
Nel corso dei tre anni successivi mia madre attraversò un periodo di depressione dove alcool e farmaci erano all'ordine del giorno e per un po' avevo anche rinunciato ad andare a trovarla poiché stare con lei significava guardarla scolarsi intere bottiglie di vino mentre sbiascicava di continuo insulti e cattiverie contro "quel gran bugiardo pezzo di merda".
Nell'ultimo periodo le cose migliorarono: con l'aiuto di uno psichiatra, mia madre si iscrisse ad un corso di teatro e ad un club del libro, ricominciò ad andare al cinema con qualche amica e si occupò della ristrutturazione della casa appartenuta a mio nonno, nella quale andò a vivere. Non smise di bere e questo rimase il motivo principale dei nostri litigi e la causa che mi portava ad evitarla e non volerla vedere.
Quando beveva infatti, la sua personalità già di per sé eccentrica e stravagante, veniva elevata all'ennesima potenza, portandola a rendersi antipatica e insopportabilmente polemica, spesso fino a sfociare nel ridicolo.
La maggior parte delle volte in cui accettavo di andare a cena da lei finiva con lei che mi urlava dietro che ero una stronza e io che uscivo da casa sua sbattendo la porta e chiedendomi chi me lo avesse fatto fare. Per non parlare di quando eravamo in giro. A volte si metteva a fare scenate in mezzo alla gente, alzando la voce e facendomi sperare che l'asfalto sotto di me si aprisse e mi inghiottisse piuttosto che stare lì un minuto di più.
Per tutti questi motivi, quando organizzavamo di vederci trascorrevo le ore precedenti al nostro incontro in uno stato costante di ansia e agitazione; un senso di angoscia mi prendeva lo stomaco e solo l'idea che probabilmente sarebbe finita nel peggiore dei modi mi rendeva tesa e nervosa.
Alle 19.55 uscii di casa; mia madre abitava in un palazzo di cinque piani di fronte al Trabocchetto, arrivai in meno di cinque minuti a piedi.
Appena entrai in casa sentii l'odore di vernice che si mescolava con quello del ragù; la radio era accesa e un mazzo di fiori freschi era stato posizionato come centrotavola.
Vidi mia madre venirmi incontro sorridente: era molto magra ma molto meno scavata rispetto a qualche mese fa; indossava una maglietta bianca di almeno tre taglie più grande e un paio di pantaloni arancioni larghi. I suoi capelli ricci erano tenuti fermi sulla testa da un mollettone.
"Il ritorno della figliola prodiga!" disse abbracciandomi
Era solita uscirsene con commenti del genere ogni volta che mi facevo vedere dopo molto tempo, il più gettonato era questo insieme a "chi non muore si rivede". Ricambiai l'abbraccio un po' rigidamente, appoggiai la borsa sul divano e tornai verso il tavolo; mentre mi bombardava di domande sull'università, notai sulla tavola una bottiglia di rosé aperta. Era piena per metà e il tappo originale di sughero era appoggiato poco distante: era stata aperta quella sera.
Mi irrigidii. Aveva bevuto mezza bottiglia di vino prima che arrivassi. Non era un buon inizio, proprio per niente.
Durante la cena mi rilassai leggermente; continuava a parlare dei suoi progressi al corso di teatro e il suo tono era piuttosto tranquillo, anche se il volume della sua voce era comunque più alto di quello che si è soliti tenere a cena. Io ascoltavo, annuivo e facevo qualche domanda ogni tanto; tutto sommato non stava andando male.
"Cosa hai fatto di bello il weekend scorso?" mi chiese alzandosi per prendere il cesto della frutta
"Sono andata ad un concerto"
"Che figo!!" rispose gridando
Provavo sempre un moto di disagio quando usava espressioni gergali come questa.
"Si, è stato divertente"
"Sei andata con Roby?"
Cazzo
Mia madre era all'oscuro di tutte le ultime novità della mia vita.
"No... Noi... Ecco, ci siamo lasciati"
"COSA??? E QUANDO PENSAVI DI DIRMELO?"
"Le cose andavano mala da tempo, lo sapevi che..."
"NO IO NON SAPEVO PROPRIO NIENTE! TU NON MI DICI MAI NIENTE!"
"D'accordo, calmati adesso"
Mi sentii avvampare; diedi una fugace occhiata alla bottiglia di vino e vidi che ormai era praticamente vuota e io avevo bevuto solo acqua.
Mia madre si risedette al tavolo, chiuse gli occhi e inspirò, il tutto con eccessiva teatralità.
"Sole, tesoro mio, amore della mia vita, non ti passa mai per la testa di avvertire la tua mamma quando succede qualcosa di importante? Conto davvero così poco per te?"
"Ma mamma dai, lo sai che non è questo il punto..." cercai di giustificarmi, non sapendo nemmeno io cosa dire
"E' proprio questo il punto invece. Tu non mi cerchi mai, non mi consideri... Avrei potuto aiutarti"
"Ma non ho bisogno di aiuto, sto bene" risposi decisa
"E' stato quel ragazzo vero?" chiese seria
"Cosa? Quale ragazzo?" non capivo a cosa si riferisse
"Non fare la finta tonta con me. Ti ho visto fuori dal bar qui davanti che facevi la scema con uno"
Sbiancai. Pur essendo il Trabocchetto davanti a casa sua, non avevo mai pensato che potesse vedermi quando ero lì; il suo balcone in effetti dava proprio sull'entrata del bar.
"Io non..." cercai di dire, ma non mi uscivano le parole. Cominciai a sudare, il battito del mio cuore accelerò e sentii le lacrime pungere dietro ai miei occhi.
Non adesso. Non devo piangere
Mia madre si alzò di nuovo, andò verso il frigorifero e prese un'altra bottiglia di vino; la aprì con un gesto veloce e tornò a sedersi.
"Te lo sei scopato?" chiese guardandomi dritta negli occhi e portandosi il bicchiere alle labbra
"Mamma smettila" allungai il braccio per toglierle il bicchiere dalle mani ma lei si divincolò e un po' di vino cadde sulla tovaglia macchiandola di rosso scuro.
"NON PROVARCI!" gridò lei
"Mamma basta! Non diresti queste cose se non avessi bevuto tutta la sera!" cercai gridare ma la mia voce era rotta e tremante
"Allora è così, eh? Ti sei stufata del tuo ragazzo e sei andata in giro a fare la puttanella"
La sua voce era bassa adesso, scandiva ogni parola come se le servisse una grande concentrazione per mettere insieme la frase.
Mi alzai di scatto rovesciando la sedia per terra e andai a passo spedito verso il divano per prendere la mia borsa. Una lacrima scese sulla mia guancia ma la asciugai all'istante.
Non ancora
Mi avviai alla porta quasi correndo, ma lei si alzò di scatto rovesciando sul pavimento di piastrelle bianche altro vino; mi afferrò il polso stringendolo.
"LASCIAMI!" urlai
Mi guardò negli occhi e io ricambiai il suo sguardo; una mano stretta intorno al mio polso e l'altra a mezz'aria reggendo il bicchiere.
"Sei una stronza, proprio come tuo padre" disse avvicinando la sua faccia alla mia, ormai sbiascicando le parole
Il suo alito puzzava di vino e provai un senso di nausea.
Strattonai il braccio e mi liberai dalla sua presa, la superai e uscii dalla porta. Mentre scendevo di corsa le scale la sentii gridarmi dietro:
"E quando si sarà stufato di te dopo averti usato ti abbandonerà! E' l'unica cosa che sanno fare gli uomini!" e sbatté la porta.
Mentre uscivo dal cancelletto finalmente permisi alle lacrime di scendere; attraversai la strada con passo spedito. Avevo i sensi così annebbiati dalla rabbia, dalla tristezza e dalla delusione che quando sentii chiamare il mio nome non capii nemmeno da dove provenisse la voce e a chi appartenesse.
"Sole, ma che succede?"
Vidi Andrea correre verso di me preoccupato. Senza che me ne fossi resa conto ero passata davanti al Trabocchetto, doveva avermi visto in quello stato.
"Niente, lasciami in pace!" gridai
Le lacrime ormai scendevano senza tregua e avevo tutta la faccia bagnata e appiccicosa di mascara. Mi voltai e feci per andarmene ma lui mi afferrò il polso già dolorante.
"Ehi ma che è successo? Parlami ti prego"
Il suo sguardo era serio, preoccupato e triste.
"No!" gridai liberando il polso con un moto di dolore "Non sei il mio ragazzo, non ti devo proprio niente!"
Prima che potesse aggiungere altro mi misi a correre verso casa senza voltarmi indietro.
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Closer
RomanceChi poteva immaginare che una serata di inizio luglio come tante altre si sarebbe trasformata in nuovo inizio? Sole, ventidue anni e capelli azzurri, piena di vita e intrappolata in una relazione che ormai non la rende più felice. Fino a dove si spi...