Parte 6 Troppo diversi

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Samir poteva sentire il cuore di Cristian battere contro le sue mani, poteva sentire il calore e l'odore che si sprigionava dalla pelle del collo e che lo invitava ad affondare i denti, a perdere il controllo. Ma non poteva. Accostò la bocca all'orecchio di Cristian, gli tirò leggero il lobo tenero con i denti. Lo sentì gemere, e pensò a quanto fosse disdicevole che un ragazzo di buona famiglia si trovasse lì con lui nel vicolo di notte in quella posizione. Cristian meritava di meglio.

«È ora di andare...», mormorò.

Cristian si voltò con lo sguardo pieno di aspettativa, proprio come la prima volta nel suo piccolo appartamento sotto il livello della strada. Samir non ce lo avrebbe mai portato di nuovo, non avrebbe mai voluto vedere negli occhi di Cristian il momento in cui realizzava in quale topaia lui viveva.

«È ora di andare per me», Samir specificò. In un momento gli occhi dai riflessi di miele che gli stavano di fronte si oscurarono.

«Ma se vuoi, posso accompagnarti al dormitorio con la mia auto appena rubata», Samir disse sforzandosi di assumere un tono sarcastico.

«Sei proprio un bastardo», Cristian sibilò, ma sembrava più una protesta di un bambino deluso che un'accusa.

Samir si allontanò. «Non sei nelle condizioni dell'altra volta, quindi direi che posso lasciarti qui senza rischio. Non infilarti in altri vicoli, però».

Samir gli voltò le spalle, temeva che se ne avesse visto ancora le iridi non si sarebbe più potuto allontanare e lui non se lo poteva permettere. Si infilò in auto. Come sempre quando faceva questi lavoretti il cuore gli batteva più forte del normale, la gola gli diventava secca, e ogni metro superato senza che lo fermassero era una vittoria. Se l'avessero arrestato sarebbe stato nella merda per sempre, ma non aveva altra scelta. Riuscì a portare l'auto su una strada secondaria dove un suo amico lo aspettava.

«Bel lavoro, da questa ricaviamo pezzi da rivendere», quello gli disse, soddisfatto. «Qualcuno ti ha visto?»

Samir scosse la testa. Ora gli toccava la parte più sfiancante della serata. Doveva camminare a piedi fino alla prossima fermata della metro e infine tornarsene a casa. Pensò a Cristian e a dove fosse in quel momento, poi provò un senso di vergogna come raramente gli succedeva. Che avrebbe pensato Cristian di lui adesso? Che viveva in un buco, che faceva il cameriere e che per hobby rubava ciò che gli capitava a tiro. Si guardò con gli occhi di Cristian e si sentì bruciare. Non si era mai sentito in quel modo prima. Neanche quando immaginava che sua madre potesse scoprire lo stato in cui viveva. Poi si riscosse, a lui non doveva interessare dell'opinione di quelli come Cristian e Marc. Non aveva dubbi che quei due sarebbero finiti insieme: Marc desiderava Cristian e Cristian alla fine avrebbe ceduto. Non avrebbe mai lottato per qualcuno come Samir, un poveraccio.

Quando scese le scale sotto il livello della strada per entrare nell'appartamento, era ormai notte fonda. La luce accesa segnalava una presenza sgradita. Suo padre, la barba folta, i capelli neri, lo sguardo duro e le mani di chi aveva combattuto troppo a lungo, lo attendeva seduto al tavolo del cucinino.

«Dove sei stato?»

«In giro», Samir rispose. Sapeva che a quell'uomo non interessava davvero ciò che faceva, ma il fatto che potesse sfuggire al suo controllo, che non si recasse nella palestra che lui gestiva, che non lo aiutasse con i suo affari. Questo era sempre stato per lui: un impiegato da sfruttare senza che dovesse pagarlo.

«In giro dove?», l'uomo si alzò, il pugno della mano chiuso.

«Non sono cazzi tuoi».

Samir aveva già indurito la mascella quando il palmo aperto della mano di suo padre colpì il suo viso. Ci era abituato, ma non era mai riuscito a moderare il modo in cui gli rispondeva. Era troppo arrabbiato e aveva troppa sete di giustizia per farlo. Sentì il sangue caldo scorrere sulle sue labbra. Si erano spaccate.

«Domani mattina vieni in palestra con me, ho bisogno di qualcuno alla reception, e non voglio sentire storie».

Samir rimase da solo. Si accasciò su una sedia. Fremeva ancora di rabbia. Quanti soldi avrebbe potuto fare dalla ricettazione dei pezzi dell'auto rubata quella sera? Quante auto avrebbe dovuto rubare, quanti caffè avrebbe dovuto servire, quante scale avrebbe dovuto pulire prima di mettere da parte i soldi sufficienti per andarsene? Per trovare un tetto sulla testa e mandare suo padre a quel paese? Troppi. Sempre troppi rispetto a quelli che aveva. Ma forse una soluzione c'era. Una soluzione più rapida, più indolore, che avrebbe spezzato il cuore a qualcuno. E allora?, si disse mettendo a tacere i sensi di colpa. Quel cuore si sarebbe consolato presto, il suo, invece, rischiava di cedere.

Passarono alcuni giorni, quando Samir si decise a mettere in atto il suo piano. Non stai facendo niente di male, continuava a dirsi, anche se la sua coscienza maledetta non sembrava essere d'accordo. In caffetteria non aveva visto Cristian, in compenso Marc era venuto e l'aveva fissato con aria tronfia come se avesse vinto chissà quale competizione. Chissà se Cristian gli aveva raccontato del furto dell'auto, se lo sguardo di Marc voleva dire che sapeva tutto, che poteva metterlo nei guai se gliene fosse venuta voglia. No, Cristian non era il tipo. Cristian era una persona pulita, a differenza di Marc, e sua.

Samir passò uno straccio umido sul bancone. Uno studente distratto aveva fatto cadere il caffè e il suo compito era di pulire dove gli altri sporcavano. Una gomitata di Maha lo riscosse.

«Smettila di fissare quello studente di economia come se volessi incenerirlo», lei gli disse, mettendo due tazzine sporche nel lavello.

«E tu come fai a sapere cosa studia?»

Maha si passò una mano sulla fronte per scostare una ciocca ribelle dei suoi capelli castani. «Non sta granché simpatico neanche a me, ma è amico di Arturo. Tu, piuttosto, ho visto l'altra volta come guardavi Cristian».

Samir afferrò il vassoio. «Non sono affari tuoi». Fece per andarsene, ma Maha lo afferrò per un braccio. «Non coinvolgerlo nei tuoi casini, non se lo merita. E non pensare neanche di usarlo per divertirti».

Samir si divincolò. Gli occhi verdi di lei lo fissarono con aria di rimprovero. Qualche volta pensava fossero la sua coscienza. «Neanche due settimane che esci con quello che già prendi le difese dei suoi amici». La vide alzare gli occhi al cielo.

«Che sciocchezza. Difendo anche te, sempre».

«Io mi difendo da solo», Samir sibilò, e il taglio sul labbro ricominciò a bruciare.

Maha sembrò sul punto di replicare, ma poi cambiò argomento. «Il tavolo otto ha bisogno di fare le ordinazioni».

Samir fu lieto di eseguire il suo ordine, per sottrarsi alle sue domande. Come diavolo faceva a sapere quello che aveva in testa prima ancora che lui stesso lo capisse? Aspettò che la caffetteria chiudesse, poi disse a Maha di godersi la serata con Arturo, mentre lui finiva di pulire. In realtà non voleva che lei provasse a distoglierlo dai suoi propositi. Aveva deciso, ormai, e sarebbe andato fino in fondo.

Quando finì il suo turno, si liberò del grembiule, si sistemò velocemente i capelli, molto corti a dire il vero, e si diresse verso il dormitorio. Si immaginò per un momento come sarebbe stato calpestare il parquet, il marmo e la moquette dei corridoi da studente. Come sarebbe stato conoscere Cristian a lezione, condividere con lui le ansie degli esami, i commenti sui professori. Come sarebbe stato avere una vita normale, essere accettato a casa di Cristian. Scacciò via quei pensieri. Recriminare non serviva a nulla. Ciò che gli serviva erano i soldi, e Cristian ne aveva.

Alone no more - WATTYS WINNER - Omegaverse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora