Parte 9 Il marchio

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Cristian si chiuse alle spalle la porta dell'appartamento di sua madre. Quella mattina aveva chiesto a un collega di Samir l'indirizzo della palestra di suo padre. Se si affrettava avrebbe potuto raggiungerla, sarebbe riuscito a trovarla aperta e magari a trovarci dentro il ragazzo che desiderava con tutte le sue forze.

Doveva essere quella, si disse, individuando, dopo aver preso la metro e camminato a lungo, una porta a vetri illuminata nella zona ovest di Londra, in una piccola stradina. Un cartonato a grandezza naturale di un atleta di body building non lasciava dubbi. Entrò con il cuore in gola. Se avesse trovato il padre di Samir cosa gli avrebbe raccontato?

L'ingresso era piccolo, illuminato da luci a neon, si avvertiva l'odore di gomma e di acciaio degli attrezzi ginnici e un leggero acre odore del sudore delle persone. Tirò un sospiro di sollievo quando vide Samir dietro il bancone della reception, ma subito si arrestò. Lo sguardo che Samir gli aveva rivolto non era dei più incoraggianti, e accanto a lui c'erano due uomini più grandi, dall'aspetto losco. Cristian si fece coraggio. Si avvicinò al bancone dal piano in vetro temperato.

«Samir», chiamò.

I due uomini gli rivolsero un'occhiata rapace, che gli mise i brividi.

«È un tuo amico?», uno di essi domandò.

«No», Samir ringhiò, poi aggirò il bancone e lo prese per un braccio. «Sono affari, devo andare», disse ai suoi amici, laconico, ma a lui non sfuggì la furia nella sua voce.

Samir lo trascinò per un braccio fino a portarlo fuori. Il vicolo era umido, appena illuminato da una luce giallognola e da quella emanata dall'insegna della palestra, a cui mancava pure una lettera.

«Che cazzo ci fai qui?»

Cristian sentì gli occhi bruciare. «Smettila di trattarmi come se fossi un idiota», si divincolò. «Cosa cazzo ci fai tu con quei tizi, puzzano di guai lontano un miglio».

Samir sembrò sorpreso dalla sua reazione decisa. «Forse non ti sei accorto che anche io ho lo stesso odore».

«Lo sai che non è vero».

I loro nasi si erano avvicinati. Calò il silenzio, e Cristian sentì il fiato caldo dell'altro sulle sue labbra. Ma il bacio che aspettava non arrivò. Samir aprì lo sportello di un'auto sgangherata che doveva aver fatto troppi chilometri, e aspettò che Cristian vi salisse.

«Ti riporto a casa adesso.Devi stare lontano da questo posto», disse.

«A casa no, se avessi voluto stare a casa, ci sarei rimasto, non credi?»

Samir gli rivolse uno sguardo accigliato, ma Cristian poteva vedere nei suoi occhi l'ombra di un sorriso. Samir mise in moto. «Come mai? Non può essere peggio del buco che sono costretto a condividere con mio padre».

«Certe volte mi sento soffocare a casa, persino al college».

«Ti credo con gli amici che ti ritrovi... andiamo a bere qualcosa, ti va?»

«È un appuntamento?»

«Se ti piace chiamarlo così...» Samir si sporse verso di lui e Cristian fu contento di offrirgli le sue labbra. Tra loro era tutto così naturale, senza forzature, nonostante si conoscessero da poco. Persino il traffico era per Cristian un piacevole alleato, che permetteva loro di passare più tempo insieme, chiusi nello spazio ristretto dell'abitacolo.

Samir guidò fino a un pub nella zona nord. Presero posto a un tavolo in fondo, lontano dalle finestre e dagli altri clienti.

«Cosa prendi?», Samir domandò.

«Una birra», Cristian rispose, felice che l'altro glielo avesse chiesto, che non si fosse comportato come il solito alfa, convinto di conoscere i gusti dell'omega che gli stava davanti.

Alone no more - WATTYS WINNER - Omegaverse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora