Parte 28 I need you

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La porta era aperta, spalancata. Chi la lasciava cosi? Cristian entrò. In cucina, sul pavimento, Samir era rannicchiato su se stesso. Fu il sangue a terrorizzarlo e il fatto che Samir, con ancora il telefono in mano, non si muovesse. Gli si inginocchiò accanto. «Samir», chiamò, sentendo la disperazione montare dentro di lui, «Samir».

L'altro sollevò il capo, aprì finalmente gli occhi. «Sei venuto».

Cristian lo prese tra le braccia. «Lo sai che sarei venuto, ora chiamo qualcuno», disse, tirando fuori il telefono. Con una manica della sua camicia pulì via il sangue dalle labbra di Samir, ma ce ne era altro sulla fronte. Ce ne era troppo. Dappertutto. «Chi è stato?»

«Mio padre, diceva che non potevo andare via, avevo trovato un posto e ti sarebbe piaciuto», l'altro rispose affannato.

«Non parlare», Cristian mormorò. Se Samir lo avesse abbandonato in quel modo non glielo avrebbe mai perdonato. Voleva ringraziarlo per aver denunciato Rick, rimproverarlo perché si era esposto a un pericolo, ma non poté. Qualsiasi parola avesse detto in quel momento Samir non avrebbe potuto ascoltarla.

Dietro il vetro della stanza di Samir, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, il suo alfa pareva a Cristian fragile. Samir aveva bisogno di lui, e lui non lo aveva capito. Lo aveva condannato senza appello.

Arturo gli posò una mano sulla spalla. «Si riprenderà, è forte».

Cristian lo aveva chiamato in modo che Maha potesse essere avvisata, perché Maha, da quello che aveva capito, era l'unica persona che Samir potesse davvero chiamare famiglia.

Ora lei se ne stava in piedi, a osservare il suo amico al di là del vetro. I medici avevano detto che aveva riportato un'emorragia interna, ma che l'arrivo di Cristian era stato provvidenziale. Ora bisognava soltanto attendere che si riprendesse, ma Cristian sapeva che a fargli più male era l'idea che fosse stato suo padre a ridurlo in quel modo.

«Era stanco in questi giorni», Maha lo riscosse, «aveva due lavori e tentava di mettere da parte più soldi possibili per andare via, per avere una vita migliore. È stato grazie a te». Non suonava come un'accusa né come un complimento, solo come un dato di fatto. Da quando si erano conosciuti, lui e Samir avevano tentato di rendere migliore l'uno la vita dell'altro e la propria.

«Dovresti tornare a casa», Arturo disse, «rimaniamo noi con lui».

Cristian lo odiò, perché aveva parlato come se lui non facesse più parte della sua vita, come se non fosse ancora il suo omega, che Samir aveva marchiato.

«Rimango», disse deciso.

Samir non riprese conoscenza che dopo qualche ora, e anche in quel momento aveva riaperto gli occhi solo per qualche momento, ancora intontito dall'anestesia. L'infermiera, alla fine, fu costretta a buttali fuori. «Tornate domattina», aveva detto.

Cristian tornò a casa, anche se sapeva che non avrebbe chiuso occhio. Marc lo attendeva davanti all'ingresso. Per un momento la sua sagoma nel buio lo spaventò.

«Ti ho messo paura?», Marc domandò, «deve essere l'effetto di ciò che è capitato la notte della rapina».

Cristian lo odiò. Come poteva usare quell'episodio per colpirlo? «Voglio salire su, spostati».

Marc allungò le braccia e lo prese per i fianchi. Mai come in quel momento Cristian si sentì nauseato dal suo odore.

«Sei stato da lui, vero? Le tue emrgenze hanno sempre un solo nome».

«Lasciami andare, mi dispiace».

Lo sguardo di Marc si accese di rabbia. «Lo consideri ancora il tuo alfa, dopo quello che è successo? Non me l'hai mai voluto dire, ma sono sicuro che c'entri con la rapina. Non sarà mai in grado di proteggerti, è uno sbandato».

Alone no more - WATTYS WINNER - Omegaverse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora