Epilogo

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27 agosto 2010, il giorno più triste di quell'estate.
Eravamo alla stazione del treno, il padre di Nora era venuto per riportarla a casa.
Stavano lì, vicino ai binari, ad aspettare un treno che mi avrebbe portato via la cosa a cui tenevo di più in quel momento.
Nella sua mano, che era stretta alla mia, stava tenendo un pezzo della mia anima, come io della sua. L'avrei conservata per sempre nel mio cuore. Era come se le avessi donato una rosa bianca, che quando ci saremmo riviste, sarebbe tornata a respirare.
In quelle ultime settimane passate insieme, avevamo condiviso momenti stupendi, ero stata felice come mai prima. Mi maledicevo per non essermi accorta prima di quello che provavo per lei, per aver sprecato del tempo prezioso che nessuno ci avrebbe ridato...

Eravamo tutti lì, la mia famiglia e suo padre ad aspettare quel maledetto treno, loro erano dietro di noi a chiacchierare e a chiedere come avessero trascorso le vacanze, come stava la madre di Nora, mentre io e lei eravamo in silenzio, guardando di fronte a noi con le mani intrecciate. Sentimmo il fischio in lontananza, ci guardammo ed un sentimento di profonda tristezza si poté emergere dai nostri occhi che diventarono lucidi.

«È il momento, tesoro», disse mia madre venendo verso di noi per salutarla, la abbracciò, facendoci allontanare, ed anche se di poco, riuscivo già a percepire il profondo vuoto che avrei provato nei mesi successivi, «stammi bene, mi raccomando. E puoi venire a trovarci quando vuoi, noi siamo qui», le diede un bacio sulla guancia e le sorrise.
«Si! Vieni a trovarci!», la voce di mio fratello squillo nelle mie orecchie, le saltò praticamente in braccio facendola barcollare e ridere insieme a lui.
«Verrò di certo», disse guardandolo e poi guardò me, sorridendo.
«È stato un piacere ospitarti a casa nostra, spero ti sia divertita con Stephanie», disse mio padre prima di abbracciarla.
«Si. Molto», lei mi guardò e si avvicinò a me mentre i nostri erano a quale passo di distanza da noi.

«Voglio che tu tenga questo», mi disse, si tolse uno dei suoi braccialetti, quello che le dissi una volta piacermi molto, me lo legò intorno al polso mentre il treno ci passò di fianco facendoci agitare i capelli con il vento per poi arrestare la sua corsa, «così non ti scordi di me», aggiunse sorridendomi, una lacrima scese dal suo viso ed io la fermai mettendole una mano su di esso.
«E come potrei?», chiesi retoricamente, interruppi i nostri scambi di sguardi, abbracciandola e stringendola a me.
«Nora, dobbiamo andare», la informò suo padre mentre scese dal treno dopo aver messo i bagagli all'interno.
«Arrivo», gli rispose, poi tornò a guardarmi. Avrei voluto darle più di un abbraccio, ma i nostri genitori non sapeva nulla di noi.
«Allora...», iniziai ma non riuscii più a dire nulla, stavo per dirle "addio" ma la voce mi si fermò in gola. Separarmi da lei mi faceva paura, era devastante.
«Ci sentiamo», tagliò corto lei alzando gli angoli della bocca, sorridendomi, forse aveva notato quanto fossi agitata.
Si incamminò verso l'entrata del vagone, la vedevo andarsene ed una sensazione di pura angoscia prevalse su di me, non potevo lasciarla andare via così, non potevo non darle un ricordo più vivido da incidere nei nostri cuori.

La vidi salire quei due scalini ed iniziai a correre verso di lei, la chiamai e lei si fermò girandosi verso di me, non le diedi il tempo di capire il mio gesto che la tirai delicatamente a me per un braccio e poggiai le mie labbra sulle sue. La baciai senza rimpianti, senza vergogna, mi persi fra le sue labbra, una, due, tre volte, le rubai questo bacio, il bacio d'addio che non avrei mai voluto dare ma di cui avevo un disperato bisogno..
Mi allontanai guardandole il volto con le lacrime agli occhi, le sorrisi, tra la felicità e la tristezza, gesto che lei ricambiò.
«Ti ho amata», le confessai a bassa voce, lei chiuse gli occhi come se non volesse mostrarmi il suo dolore nel sentire quelle parole, anche lei nel profondo sapeva che quello era un addio.
Li riaprì, delle lacrime li circondavano, le sorrisi nuovamente per farle capire che era tutto a posto e lei mi abbracciò.
«Ti ho amata anche io», disse fra i miei capelli.

Sentimmo il fischio del capotreno, dovevo lasciarla andare ma era troppo doloroso... lei salì sul treno ed io rimasi di fronte all'entrata, come lei, ci fissammo in silenzio, quel silenzio che era riempito da tutte le nostre parole non dette. Si chiusero e lei si sistemò vicino a suo padre, dalla parte del finestrino che dava proprio sui binari, ci guardammo per un'ultima volta prima che il treno ripartì, molto lentamente, come percepisse il filo delle nostre anime che non voleva spezzarsi.
Iniziò la sua monotona corsa nei campi quadrati, tra le strade di campagna, superando fiumi, tra i fitti boschi, fino ad arrivare all'aeroporto. Da lì, la mia anima si sarebbe persa nei cieli, vagando senza meta.

Non la rividi più, poche settimane più tardi si trasferì in America, lasciandomi in Inghilterra a scrivere messaggi che non ricevettero alcuna risposta..
Ma, nonostante tutto, quella ragazza mi aveva cambiato la vita, completamente, avevo finalmente scoperto chi ero e dovevo ringraziare lei per questo.

Tutti avrebbero potuto raccontarvi dei baci romantici sotto la pioggia, io invece, vi ho raccontato dei baci veri, quelli con la pioggia negli occhi.



Stephanie Wilson e il suo
"Amore di un'estate"
~Fine🥀~

Amore di un'estate (completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora