Seven.

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POV. LUKE

Ricordo che da piccolo l'unica cosa a cui pensavo era ridere. Correvo per casa facendo impazzire i miei fratelli. I miei genitori non c'erano mai. Le gambe cicciottelle si sollevavano e sbattevano a terra percorrendo la strada che mi avrebbe portato fino a qui. Volevo tornare a quei momenti quando la mente non creava problemi ma solo voglia di crescere. Improvvisamente sembrava mi fossi reincarnato in un albero a ottobre. Perdevo le foglie migliori come fossero ricordi ormai e le osservavo volare via mentre rimanevo immobile, incapace di inseguirle. Ai miei piedi le foglie si accumulavano spogliandomi. Io non avevo mai amato mostrare la mia più profonda intimità ma quell'albero mi faceva sentire come se ormai nulla era in grado di nascondermi. 

Chiusi il libro e lo appoggiai sul comodino. La televisione non la guardavo più. Il letto era diventato il mio migliore amico e io mi stavo trasformando in un pezzo di tapezzeria della casa. Qualcosa mi spinse ad appoggiare i piedi nudi sul pavimento gelido e il freddo sembrava sostituire il sangue nelle mie vene. Ma io non mi stavo trasformando in tapezzeria, nè in un cubetto di ghiaccio. Ero sempre me.

Marzo era arrivato subito e iniziava a fare caldo. Era bello in qualche modo non avere più le mani fredde o le labbra secche. Mi sarebbero mancate soltanto le calde coperte e la cioccolata calda.

Il libro giaceva ancora dove lo avevo lasciato. Sulla copertina illuminata dalla luce frebile della lampada, spiccava la scritta CHILLS. Era un libro che mi piaceva particolarmente. Raccontava la storia di una ragazza che un giorno capì di essere diversa. La ragazza riusciva a guardare nel futuro ma questo la rendeva sempre più pazza. Le pagine erano scritte rispetto a ciò che pensava e rispetto ai primi capitoli si notava bene la differenza sulla sua mentalità. Non riconosceva più il presente dalle immagini del futuro ma lei restava comunque per gli altri la solita ragazza. 

Lo avevo letto così tante volte che non capivo più chi era il pazzo tra me e la protagonista.

Decisi di chiamare Michael. Come avevo il suo numero? Calum era davvero un bravo compagno di banco durante biologia.

-Mmh.-

Sentii dall'altra parte della cornetta.

Scoppiai a ridere.

-Michael?-

-Luke?- 

-Ehi.- 

Dissi sospirando.

-Come hai il mio numero?-

-Calum.-

-Ah ecco. Ma non è presto? Sono le 5.12 di mattina.-  Disse concludendo con un sbadiglio.

-Scusa. Mi sentivo solo.-

Ci fù una pausa.

-Mikey?-

-Si?-

-Vieni qua?-

-Da te?- 

-Si.-

-Non so neanche dove abiti!-

Gli dissi l'indirizzo e lo aspettai seduto sul letto fissando la porta. Non ero in grado di trovare un motivo di quel gesto, infondo non avevo altri se non lui. La mia stanza sembrava più grande con la luce gialla della lampada, con gli angoli al buio. Era spoglia, forse troppo. In quel momento mi sentii piccolo, una briciola di pane, e feci di tutto per non sentirmi tale.

Aprii la porta principale di casa. Ero uscito all'aperto per aspettarlo in pantofole, con i pantaloni del pigiama verdi e una canotta con scritto 'la matematica non è un opinione. (almeno fino al terzo drink)'. Lo vidi avvicinarsi a passo veloce stretto nella sua felpa nera. Era bello rivederlo.

-Tu sei paz....-

Non gli feci finire la frase che lo abbracciai. Stringevo le braccia intorno al suo collo assaporando il calore che emanava la sua felpa. I capelli arancioni profumavano di balsamo al cocco e mi solleticavano la guancia. 

Non mi sentivo più così piccolo, combaciavo perfettamente con il suo corpo.

Non ricambiò l'abbraccio per questo feci fatica a sorridere. Teneva la testa abbassata e osservava il pavimento.

-Tutto okay?- 

Gli dissi appoggiando una mano sulla sua spalla.

-Perchè sono qui?-

-Non c'è un perchè.-

-Balle.- 

Mi rispose arrogante.

-Non è vero.-

-Dimmi la verità Luke.-

Aveva alzato la testa e mi scrutava con quegli occhi grigi profondi. Non sapevo il perchè nemmeno io. Volevo saperla la verità. Il perchè non pensavo a nessuno se non a lui, il perchè l'avevo abbracciato, il perchè avevo pensato mi fossi innamorato.

-Sei l'unico amico che ho.-  

Gli dissi infine, il più sincero possibile.

Il suo viso si addolcì ma non tanto quanto bastava a rendere la sua figura meno minacciosa. Poi però cominciò a piovere e ci riparammo dentro casa, sotto le imprecazioni di Michael verso il tempo e il tizio del meteo. 

-Sei solo in casa?-

-No, mia nonna sta dormendo.-

-Che facciamo?-

-Vieni su.-

La mia mano si mosse volendo stringere la sua ma trattenni l'impulso. Feci da guida lungo la casa fino alla mia porta e lo feci entrare.

-Hai una casa enorme!-  

Mi disse infine sorridendo.

Almeno non aveva perso il sorriso.

-Si. Siediti.-

Si accomodò sul letto per poi osservare il comodino dove c'era appoggiato il libro. Mi sedetti vicino a lui ma mi sentii subito scomodo, così mi sdraiai dietro, dove avanzava un pezzo di letto abbastanza grande per contenermi.

-Che libro è?-

-Uno vecchio e complicato.-

Gli dissi stirandomi.

Mikey sbadigliò ancora e vedendo che la pioggia non sembrava voler terminare subito, si sdraiò accanto a me. Il cuore mi finì in gola mentre continuava a battere senza tregua. Si girò a guardarmi, appoggiato su un fianco e io feci lo stesso. Restammo lì immobili per un periodo che mi sembrò lunghissimo. 

Allungò una mano e iniziò ad accarezzarmi i capelli. Sembrava tranquillizarlo molto quanto con me.

-Che stiamo facendo?- 

Mi chiese fermando il movimento delle dita tra i miei capelli.

-Non lo so. - 

Michael era riuscito a farmi sentire come se tutte le mie foglie fossero cadute.

****spazio autrice****

Ehi. Grazie per i voti e per aver letto. Scusate se a volte sbaglio a scrivere ma sono sempre di fretta, la scuolanon mi da tregua. 

Nemmeno il mio stomaco, quindi vado a mangiare. 

-PoisonPrincess_

Chills (muke)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora