3 agosto 1967

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Ieri sera, sono andato a bere una birra con papà. Voleva stare un po' con me «senza alcuna presenza femminile», come disse lui ridendo per provocare la mamma, che lo fulminò appena.
Ho un buon rapporto con lui: non litighiamo spesso, c'è rispetto da entrambe le parti e quando riscontriamo un problema, cerchiamo sempre di risolverlo senza alzare la voce o altro. Per questo sono molto simile a lui, o almeno così mi dicono, ma gli somiglio molto anche fisicamente.
È un uomo affascinante, ma non ha quel fascino da trascinare tutte le donne dietro: è rispettabile, con la sua altezza e la sua magrezza. Ha uno sguardo che suggerisce una spiccata intelligenza e una voce e un sorriso che trasmette serenità e sicurezza.
È l'uomo più intelligente, più rispettabile, più forte, più simpatico che abbia mai conosciuto. Mi ama come nessun altro al mondo, e anche io lo amo, forse ancor di più di quanto io stesso creda. È il mio punto di riferimento più importante: mi aiuta sempre in qualsiasi cosa, mi ha aiutato a costruire la mia chitarra, mi ha aiutato ad entrare nel college, e non riesco a fare a meno dei suoi consigli.
A proposito di ciò, mi ha rimproverato di non aver ancora parlato con la ragazza. Mi ha dato rimproverato della mia assurda timidezza, ma poi mi ha dato consigli su come superarla.
Alla fine io mi sono lasciato andare, mi sono messo a piangere. Gli ho raccontato che ogni volta che provo ad avvicinarmi io mi allontano sempre di più e che, ultimamente, la vedo sempre con Jackson, lo 'stronzo' che tutte le ragazze credono 'il più bello del college'. Non voglio avere assolutamente a che fare con lui, ne ho passate tante brutte e papà lo sa perfettamente. Sa che alle medie e ai primi anni lui mi trattava male, mi prendeva per il culo, mi menava addirittura, quindi mi ha consigliato vivamente di lasciar stare finché non noto che le cose sono cambiate.
Mi sono sentito un verme quando mi ha detto questo, e quando papà l'ha notato, mi ha fatto alzare e mi ha portato al planetario per tirarmi su il morale. Lì mi sono scordato come mi fossi sentito prima, e guardando tutte le stelle sul soffitto le indicavo una ad una e le descrivevo nei minimi particolari.
Alla fine, si erano fatte le 4 del mattino circa. Papà era rimasto sveglio per ascoltarmi, e al planetario eravamo rimasti solo noi due, nonostante sia aperto 24 ore su 24.
L'ho scrutato appieno, e dopo un paio di minuti l'ho abbracciato e l'ho ringraziato per tutto. Per avermi ascoltato, supportato e sopportato anche. È il mio migliore amico, e lo sarà per sempre.

Sail away, sweet sisterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora