Ahhhh, finalmente estate! Non ne potevo più di continue piogge e nuvole. Finalmente l'aria si scalda e con essa anche l'oceano. Adoro ogni stagione, ma l'estate per me ha qualcosa di magico. E in più finalmente si può andare a surfare!
Sono alla spiaggia di Sandy Hook Island, è il mio posto preferito e anche un ritrovo di tanti surfisti della zona. Pratico surf fin da piccola dato che a Los Angeles abitavo a pochi passi dalla spiaggia. Mio padre, un imprenditore del settore falegname, ha trasmesso a me l'amore per l'oceano. Era lui che mi svegliava la mattina presto per andare a surfare insieme. Ma con l'espansione della azienda di famiglia passava sempre meno tempo con me. E io passavo sempre più tempo nell'oceano, nella speranza di colmare la sua mancanza. Sono nell'acqua da circa 20 minuti, a guardare l'orizzonte e a ripensare al mio passato, quanto all'improvviso un ragazzo per poco non mi passa sopra con la sua tavola. Non ci metto tanto a incavolarmi, così gli urlo dietro:
"Ma sei matto? Guarda che stavi per farmi male..."
Ma lui mi ignora, rivolgendomi solo un ghigno e poi va a prendere l'onda. Ma guarda te che maleducato! La rabbia sale sempre di più e così decido di sfogarmi sulla tavola, vado a catturare l'onda in arrivo. La sensazione che si prova a stare sulla tavola è indescrivibile: sei libero, solo tu e l'oceano, la brezza che rinfresca e ti da la sensazione di volare. Cosa c'è di meglio? Cavalco un'onda dopo l'altra, dimenticandomi del tempo, dei problemi e delle persone. Sono veramente felice nel mare! Ma la mia felicità ha una vita breve, perché il ragazzo di prima mi viene di nuovo addosso, e questa volta non solo riesce a buttarmi nell'acqua, ma le pinne della sua tavola mi tagliano il braccio. Il meno di due secondi l'acqua accanto a me diventa rossiccia e il dolore è lancinante. Riemergo velocemente afferrando la tavola e sputo l'acqua che mi è finita nella bocca. Mi servono alcuni istanti per riprendermi dallo shock, sbatto le palpebre per riuscire a orientarmi. È in quel momento che sento una voce roca dietro di me.
"Ehi, pivella. Stai attenta... per colpa tua sono finito nell'acqua. Se non sai surfare allora non entrare nell'acqua!" - mi dice, con tono incazzato.
(Respira Alison, respira...)
Salgo sulla tavola, con fatica e mi giro verso il ragazzo rispondendoli:
"Senti, sei tu che mi sei venuto contro. Perciò la prossima volta apri bene gli occhi o se no mettiti gli occhiali! Inoltre mi hai fatto anche male, idiota!"
Si gira di scatto e mi ritrovo scossa dalla intensità del suo sguardo, che all'inizio è parecchio arrabbiato ma non appena incontra i miei occhi cambia e diventa dolce, ma non per questo meno intenso. Rimaniamo paralizzati a guardarci negli occhi per alcuni istanti, ma il dolore al braccio mi fa tornare con i piedi per terra. L'acqua salata e l'impatto violento si fanno sentire e così con una smorfia distolgo lo sguardo. Mi concentro sulla ferita sanguinante, per fortuna il taglio non è profondo, ma so che resterà una bella cicatrice. E in più la mia nuova tuta è rovinata, grazie a questo incapace. Riesco ancora a sentire lo sguardo del ragazzo su di me. Così mi giro verso di lui, incavolata.
"Guarda che hai combinato, imbecile! Non solo mi hai fatto male, ma mi hai anche tagliato la tuta! Idiota."
Senza aspettare la sua risposta, mi sdraio sulla tavola e mi dirigo alla riva. Devo medicarmi il braccio il prima possibile, non voglio che si infetti.
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Arrivata al parcheggio, apro il baule della mia macchina e tiro fuori il kit del pronto soccorso. Tolgo la tuta e mi metto il vestito. Prima di medicarmi la ferita osservo la parte strappata della tuta, dovrò portarla in sartoria a riparare, anche se faccio prima a prendermene una nuova. Ma dato che questa l'ho comprata da poco e non mi piace buttare le cose inutilmente, preferisco ripararla.
Sospiro e la metto via. Tiro fuori dal kit del pronto soccorso l'acqua ossigenata, la pomata, delle bende e una fascia elastica. Mi pulisco bene la ferita, anche se fa un male cane, e poi metto la pomata, cerco di chiudere tutto con le bende, ma mi scivolano via. La cosa mi va incavolare sempre di più.
"Fanculo..." - dico esasperata e metto via le bende.
Faccio prima a prendere dei cerotti e farla finita. Ma una voce dietro di me, una voce che negli ultimi 20 minuti ho ricordato molto bene, mi richiama.
"Ti aiuto io..." - mi sussurra all'orecchio.
Mi giro di scatto e mi ritrovo due irridi scure a fissarmi intensamente meglio occhi per qualche istante per poi passare alla mia ferita. Con tutta la calma afferra le bende dal bagagliaio della macchina e me le avvolge intorno al braccio. Il suo tocco è molto delicato, nonostante sia un gigante. Non è che io sono piccola, sono alta 164 cm, ma lui è decisamente arriva a 190 cm secondo me, ciò lo rende un gigante al confronto con me. Dopo aver finito incrocia le braccia al petto e mi squadra dalla testa ai piedi, il che mi rende un po' nervosa. Mi dirigo alla tavola e comincio a pulirla per metterla in custodia.
"Non mi ringrazi?" - domanda quasi sorpreso.
"Ringraziarti per cosa? È il minimo che tu possa fare, dato che sei stato tu a farmi male!" - rispondo arrabbiata.
Vedo un ghigno formarsi sul suo viso, dopo di che si gira e mi fa vedere la sua tavola. Vedo che le una delle pinne si è rotta, inarco un sopracciglio non capendo cosa vuole dire con questo.
"Mi devi una nuova pinna!" - mi risponde arrabbiato.
"Starai scherzando?" - gli domando confusa.
"Niente affatto. Per colpa della tua tavola e della tua scarsa capacità di surfare mi tocca cambiare la pinna. E dato che tu sei la causa, tocca a te ricomprarmela."
"Sogna!" - sbotto arrabbiata.
Ma come si permette? È stato lui che ha causato l'impatto e ora pretende di essere risarcito?! Che gran figlio di ... Continuo a pulire la tavola senza prestargli troppa attenzione. E lui invece rimane tranquillo, con le mani incrociare sul petto a fissarmi. Quando finisco di pulire la tavola, la metto nella custodia e la carico sul tettuccio della macchina, chiudo il baule e mi siedo al volante. Ma lui mi afferra per il braccio e mi fa voltare verso di lui. Suo viso si trova a due centimetri dal mio e riesco a sentire suo respiro caldo sulle mie labbra. Lo osservo da vicino, ha un po' di barba e una cicatrice sullo zigomo sinistro. Il naso un po' storto, forse per via di una rottura, forse ha fatto a botte con qualcuno il che non mi sorprende dato il caratteraccio che ha. Mi guarda negli occhi e mi sussurra:
"Allora, per la pinna?"
"Ti ho detto: sogna. Non ho intenzione di ripagartela, dato che sei stato tu a venirmi addosso. Anzi, adesso che mi ci fai pensare, sei tu che dovresti comprarmi una tuta nuova!"
"Guarda ragazzina, non farmi arrabbiare e paga senza fare storie." - sbotta arrabbiato.
"Certo che sei lento di comprendonio. Devo farti lo spelling forse? Leggi le mie labbra: S O G N A!"
Suo sguardo si sposta sulle mie labbra e vedo le sue pupille dilatarsi, si passa la lingua sul labbro superiore e questo semplice gesto mi fa venire caldo in tutto il mio corpo. Immagino per un breve momento il sapore delle sue labbra sulle mie. Ma caccio via il pensiero e mi libero dalla sua presa. Lui non cerca di fermarmi così salgo in macchina e parto. Nello specchietto retrovisore vedo che segue la macchina con lo sguardo. Scuoto la testa e metto un po' di musica, devo distrarmi e smettere di pensare a lui.
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Spazio me: allora cosa ne pensate? È la mia prima fanfiction, non pensavo di scriverne una, ma oggi mi è venuta in mente da sola e non ho potuto ignorare la voglia di metterla per iscritto.
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Is It Love? Owen [Fanfiction]
RomanceAlison, una ragazza di 24 anni, lavora alla Carter Corp. Le piace il mare, surf e bella musica. Suo migliore amico è Matt, suo collega. Ha anche una migliore amica, Lisa, anche lei lavora alla Carter Corp. Insieme vanno alle feste, ai concerti del l...