Capitolo 7: Nightmares

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Il suo cuore era in costante e turbolenta rivolta. Le più grottesche e fantastiche ambizioni lo braccavano la notte nel letto. Il suo cervello tesseva un universo di ineffabile lusso mentre l'orologio ticchettava sul lavabo e la luna bagnava di luce i suoi vestiti ammucchiati sul pavimento. Ogni notte accresceva quest'intreccio di fantasie finché la sonnolenza non si chiudeva con un abbraccio incurante su qualche vivida scena. Per qualche tempo questi sogni ad occhi aperti gli procurarono uno sfogo per la sua immaginazione; erano un soddisfacente indizio dell'irrealtà della realtà, una promessa che la saldezza del mondo era di sicuro fondata sulle ali di una fata.

Socchiudo il libro del Grande Gatsby, per poi appoggiarlo sul petto. Lascio che le parole appena lette, scelte così poeticamente dall'autore, inizino a scorrere nella mia mente, sfiorandola e stuzzicandone la fantasia.
Quindi chiudo gli occhi e, involontariamente, mi ritrovo ad immaginare una camera da letto familiare, ordinata nel suo disordine, piena di libri che sembrano sorreggersi l'uno all'altro sulla mensola di legno chiaro. Il letto è disfatto, le coperte sono ammucchiate disordinatamente in un angolo.
Una figura dalla vita stretta e le spalle larghe è seduta sul materasso. La schiena muscolosa è ricurva su sè stessa, come a voler nascondere qualcosa, mentre la poca luce riflette il sudore che ricopre la sua pelle, facendola brillare e accentuando le curve dei bicipiti.
Il capo di Devin è girato verso destra quel tanto che basta per farmi intravedere la linea dura della sua mascella; il suo sguardo è rivolto al pavimento.
C'è qualcosa, nel respiro pesante e la posa del busto, che lo rendono estremamente virile e attraente ai miei occhi.
Involontariamente, avanzo di un passo nella sua direzione, ma vengo subito bloccata dalla sua voce, profonda e al tempo stesso instabile.
"Stai lontana da me."

Trattengo il respiro, immobilizzandomi.
"Perché?" Chiedo sorpresa, dopo qualche secondo di silenzio. La mia voce suona come quella di una bambina, troppo curiosa per stare a guardare il mondo senza comprenderne il significato.
Devin non risponde, ma appoggia una mano sul materasso, e con fatica si alza in piedi, girandosi verso di me.
Porto una mano davanti alla bocca, mentre gli occhi mi si spalancano per la sorpresa. Il suo braccio sinistro è percorso da lividi, non preoccupanti quanto il lungo taglio che attraversa quella stessa spalla; una macchia violacea copre lo zigomo destro, mentre il labbro superiore è spaccato e sanguinante. Sto spostando l'attenzione verso le sue mani, piene di piccoli tagli, botte e sbucciature, quando il mio sguardo cade su qualcosa che giace abbandonato sul pavimento dietro di lui.
Aggrotto le sopracciglia, accorgendomi che si tratta di un corpo, ma decido comunque di avvicinarmi.

Cammino fino a lasciarmi il ragazzo alle spalle, ma, raggiunta una buona visuale sulla figura accasciata a terra, mi blocco. Apro la bocca, annaspando in cerca d'aria; sono incapace perfino di urlare.
Inizio a indietreggiare, incapace di restare calma, ma vado presto a sbattere con la schiena contro il petto duro di Devin. Le sue mani mi afferrano le spalle senza alcuna delicatezza.
Seppur inorridita, non riesco a distogliere lo sguardo da quella ragazza bionda riversa a terra, coperta di lividi e ferite su tutto il corpo, malamente coperta da dei pantaloncini e una canottiera. All'altezza del cuore c'è una grossa macchia di sangue, estremamente scuro in contrasto con il tessuto bianco dell'indumento indossato.
Mentre guardo quegli occhi gonfi, violacei, e socchiusi dalla morte, un singhiozzo sfugge dalle mie labbra.
Quella ragazza sono io.

"Ti avevo avvisata di starmi lontana." Sento il respiro di Devin a poca distanza dal mio orecchio. La sua presenza mi confonde e mi spaventa, ma la sua voce non è perentoria o crudele. Al contrario, sembra enormemente sofferente.
Tutto inizia a farsi confuso. Cerco di muovermi, scuotendo la testa, finché non riesco a riaprire finalmente gli occhi sul soffitto della mia camera da letto.

Schiaccio il telefono tra l'orecchio e la spalla, cercando di infilare la chiave nella serratura senza dover appoggiare a terra i sacchetti della spesa.
"Le hai già chiesto di uscire?" Chiedo curiosa, spingendo la porta di casa con il piede.
"Non proprio." Risponde Ethan, dall'altra parte della linea. "Ma la vedo ogni venerdì al lavoro. Conta qualcosa, vero?"
"Non essere ridicolo!" Esclamo, chiudendomi la porta alle spalle. "Scambiare due parole al lavoro, una volta a settimana, non significa niente!"
Appoggio la borsa e i sacchetti sul tappeto in entrata, lasciando che Hero ci infili il suo adorabile musetto per scoprire cosa si cela al loro interno. Verdure, assorbenti, due bagnoschiuma e dieci paia di calzini.
Niente di tuo interesse, direi, a parte i calzini.
So già che fine faranno. Li troverò in pezzi, uno alla volta, seminati in giro per la casa.

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