Capitolo 16, caro lettore.

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Dalla parte di James.

Questa lettera non è mai esistita, erano due quelle contenute nelle tasche della piccola Alice. La terza, ho voluto aggiungerla io, nella speranza di riuscire a spiegare il mio rammarico e la mia paura nei confronti della morte.

Ma soprattutto, quello che questa lettera contiene, è la ragione vera per cui questo racconto è nato.

Conoscevo Alice. Dalla punta dei capelli castani, al colore delle sue inseparabili Nike consumate.

La conoscevo nelle sue gioie e nei suoi dolori. È di quei dolori che adesso voglio parlare: vedete, quando per la prima volta ho saputo quello che le stava succedendo, persi la testa. Mi arrabbiai così tanto.. Così tanto che le feci persino paura, e me lo disse. Mi sentii spaventato e deluso da me stesso. Avrei dovuto controllarmi invece di esplodere in quel modo. Ma non potevo rischiare di perderla, e così facendo pensavo di poter riuscire a smuovere le acque che ormai erano diventate stagnanti..

Inizialmente pensavo di aver raggiunto quell'obbiettivo. Poi lei smise di parlarmi, e io vidi tutto quello che si poteva vedere: il suo viso sempre più bianco, le sue occhiaie sempre più profonde, intuii i suoi lividi sulla schiena, le sue ferite.

Ma mai, mai mi soffermai sul dolore nei suoi occhi. A pensarci oggi, mi considero uno stupido, perché era così chiaro e lampante.. Non riusciva più a nascondere il malessere che provava al suo interno, il suo cuore cedeva giorno per giorno. L'ho vista spegnersi davanti ai miei occhi. Occhi ciechi, che non hanno saputo vedere quanto i suoi urlavano aiuto. O forse non erano ciechi, solo che non avevano compreso dove sarebbe andata a rifarsi la faccenda. Di certo, all'inizio dei fatti non avrei mai pensato che lei avrebbe potuto fare un gesto simile. Alice? Suicidarsi? No. Non faceva per lei, nella mia testa. E invece avevo sbagliato tutto. Al suicidio pensava ancora prima che smettesse di parlarmi. Con Gabriele era stata tutta una copertura per riempire il vuoto che io le avevo irrimediabilmente lasciato.

La cosa più triste è rendersi conto di capire solo dopo che i fatti mi sono stati spiaccicati in faccia.

Non si finisce mai di conoscere una persona. E io non avevo ancora finito di conoscere Alice, quando da adolescente troppo matura e sensibile si tolse la vita. Se la tolse proprio, la frantumò, la distrusse per quanto le era stato concesso, per quanto in suo potere era possibile fare un atto simile.

Morì davanti a me. Morì salutandomi con un sorriso. E io voglio ricordarmela prima dell'impatto del veicolo contro il suo corpo fragile. Non voglio far tornare alla mente il rumore delle sue ossa sgretolate come sassi. È un rumore che mi lacera l'anima.

Alice mi ha lasciato tanto, più di quello che avrebbe dovuto e potuto darmi. Ma lei era così, le piaceva dare tutto, e non riceveva mai in cambio niente, ma non le importava. Diceva: "non è niente, andrà meglio. Sopravvivo no?" E qualcuno arrivava a chiederle aiuto e lei subito tornava nel suo ruolo di confidente e amica. Aveva il classico volto che urla da tutti i pori, da tutti gli angoli, da ogni curva e linea: "fidati di me. Con me puoi parlare. Io non giudico. Io sono qui per te, con te. Le mie parole ti faranno del bene. Lasciati curare." Non lo ammetteva mai. A parole, almeno. Troppo modesta e convinta di non essere all'altezza del mondo, quando invece era il mondo a dover correre per starle dietro. Questa è una cosa che mi è sempre piaciuta di lei. E maledico me stesso per non averglielo mai detto.

A volte mi fermo a pensare che avrei effettivamente potuto salvarla, e la nausea, il senso di colpa, mi pervadono. Non respiro. Ho crisi frequenti, attacchi di panico. Lo merito tutto questo. Avrei potuto evitare tutto il suo male, e invece non ho fatto che trascinarla giù, come ha sempre sostenuto Gabriele.

In conclusione, vorrei dire che non serve ripetere quanto mi dispiace. Alice già lo sa. Alice sa tutto, Alice vede tutto, Alice può tutto. Da lassù adesso, so che mi guarda con quei suoi occhi furbi e attenti, so che desidererebbe stringermi e dirmi che andrà tutto bene, e che non è arrabbiata con me. Perché lei è così. Perché lei era così.

Era la più viva di tutte.

Eppure la vita stessa l'aveva così segnata, così fatta a pezzi che anche la persona più piena, si vuota.

Era forte, Alice. Era una tipa tosta. Tanto tosta che adesso fa piangere anche me, che le ho sempre detto che io non piango mai.

Ho cominciato a fare cose che avrebbe fatto lei, da un po'. Cammino sotto la pioggia, urlo che non è finita. Ballo per strada, la sera. Mi stendo in mezzo alle vie, con un sorriso smorzato da una lacrima, a guardare le stelle. Sono stato al concerto dei nostri cantanti e gruppi preferiti, mi sono fatto fare l'autografo di Eminem per lei, dedicato a lei. E quando le persone mi dicono che ultimamente sembro lei, io rispondo che lo sono sempre stato.

Buon viaggio a vederci, Alice.

Spero che il racconto vi sia piaciuto, con la mia scarsa autostima ho pensato più volte di cancellare tutto e finirla con questa cavolata che nessuno avrebbe mai letto. E invece ho continuato, nonostante questo. Fatemi sapere cosa ne pensate, grazie per aver dedicato un po' di tempo alle mie parole. Grazie di cuore.

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