Capitolo 1

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Era sola. Come sempre. E quando si è soli, ci si ritrova faccia a faccia con i nostri pensieri. Un brusio di parole e ricordi riempiva le sue orecchie stanche di ascoltare quel dannato rumore.

Il ricordo più ricorrente era quello di un bacio, il bacio più sbagliato e improvviso e stupido e pieno di rabbia e rimorso che lei avesse mai dato.

Ma era stato il più bello. E nonostante avesse provato ripetutamente a cancellarlo dalla sua memoria, non aveva mai avuto successo. Le lotte contro noi stessi sono le più complicate da vincere.

E lei di lotte interiori se ne intendeva, eccome. La sua vita era sempre stata un via vai di persone, gente che viene, gente che va, alcuni tornarno, altri no.

Pochi rimangono. E non sempre chi rimane è la giusta compagnia.

Lei viveva in compagnia di sè stessa, della sua migliore amica e dell'uomo che amava ormai da due anni, in silenzio.

La sua famiglia erano più loro, che i suoi effettivi genitori, troppo violenti e occupati con i loro drammi esistenziali per degnare lei e suo fratello anche solo di un'attenzione positiva, un commento di incoraggiamento, una parola d'affetto. Ma lei era abituata. C'era cresciuta nel freddo. Aveva mosso i primi passi sul gelo dei silenzi fra sua madre e suo padre. Aveva detto le prime parole incrinando l'equilibrio familiare che si era creato prima della sua nascita. Già, quel maledetto giorno in cui sua madre l'aveva concepita. Odiava quel giorno. E odiava sua madre. Una donna rigida, strana, troppo lunatica e incline agli sbalzi d'umore, tanto da avere crisi isteriche, e accusare la figlia di ogni disgrazia che capitava.

Così era cresciuta Alice.

L'unica cosa che apprezzava di sè stessa era, per l'appunto, il suo nome. Qualche volta quando la chiamavano scordava di voltarsi, come se non fosse rivolta davvero a lei quella voce. Le sembrava un nome troppo bello, per una persona che non si amava.

Alice era la ragazza che tutti definiscono carina. Non bella, ma nemmeno totalmente brutta. Aveva un viso particolare: due occhi marroni intensi e scuri erano messi un poco in risalto dalle sue folte ciglia nere. Il suo naso era piccolo e leggermente appuntito in cima. La sua bocca era grande, le labbra piene. Lunghi capelli castani ricadevano ricci e folti sulle sue spalle. Come la criniera di un leone.

Da poco aveva deciso di eliminare le sfumature bionde fatte di tintura e sostituirle con riflessi ramati.

Niente di speciale, alla fine.

Alice odiava i suoi occhi castani. Così come odiava il suo viso con la mascella squadrata, il mento appuntito, l'attaccatura dei capelli che sembrava fare del suo viso, un cuore.

Alice odiava la sua voce. Parlava veloce, e pronunciava la 't' all'inglese. Per questo quando a scuola veniva interrogata, tutti si meravigliavano della sua pronuncia. Ma secondo lei, non era niente di speciale.

Ad Alice non piaceva guardarsi allo specchio. Poiché quest'ultimo confermava le parole che sua madre le rivolgeva troppo spesso: "sei ingrassata. Hai le cosce grosse, dovresti fare più movimento. Mettiamo su pancia eh." Allora Alice si era impegnata, e aveva deciso di smettere di mangiare.

Alice pesava 50 kg, il giorno della visita dal dottore per tenere sotto controllo la sua tiroide. E lui disse che sarebbero andati bene anche 4 kg in più. Ma a lei quel numero non piaceva. E non le piacevano gli sguardi d'odio e d'invidia che sua madre riservava al suo corpo nudo nell'ambulatorio, mentre entrambe fingevano di ascoltare il dottore.

Alice è cambiata. Tutto l'odio che sua madre nutre per lei, lo riversa su sè stessa. E non è certo una novità, la sua autodistruzione.

Era una mattina di settembre.. Mi correggo, era LA mattina di settembre. L'8, per essere precisi. Quella mattina sarebbe arrivata alla stazione, avrebbe incontrato i suoi amici della parrocchia, e insieme sarebbero partiti per due giorni, in ritiro.

Anche quel giorno, si vestì in fretta, si guardò allo specchio e vide un sorriso, nonostante la notte insonne e le occhiaie profonde. Il non dormire era stato causato dal fatto che si sarebbe seduta accanto al suo migliore amico, il giorno seguente, sull'autobus. E purtroppo la sua parte romantica si era caricata di aspettative, quella realista e pessimista l'aveva avvertita: "non puoi sopravvivere ad un'altra delusione."

Così si era convinta che non sarebbe accaduto niente. Almeno, avrebbe fatto meno male la ferita.

Una rosa d'inverno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora