Capitolo 6, l'inizio della fine.

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Lei si chiamava Martina.

La figura del mio sogno, stretta in un bacio appassionato con l'uomo dei miei sogni aveva un nome. E un viso. E due lunghissime gambe. Un corpo perfetto.

Aveva gli occhi marroni come i miei, leggermente più grandi.

I suoi capelli dovevano essere ricci, perché erano gonfi anche se piastrati.

Troppa somiglianza con me.

Mi chiedevo spesso se fosse un caso, o una scelta.

Ma lei era più bella, i suoi tratti più gentili, i suoi movimenti più femminei, la sua voce più civettuola, ed era magra. Perfetta dal punto di vista fisico.

Frequentava il mio stesso liceo pur essendo un anno più grande, era bocciata.

Svariate volte mi aveva riservato sguardi infuocati. Aveva riso di me con le sue amiche. Mi era passata accanto dandomi spallate. La sua gelosia era lampante. Ma non capivo, dopotutto non ero che la migliore amica dell'uomo che ci contendevano.

Solo che lei era la via semplice.

Lei non sapeva entrargli dentro come me. Non aveva capito dove guardare con lui.

Dopo il nostro bacio, Jem e io litigammo.

"Ho parlato con Martina. Volevo chiudere."

"E lei?" Cominciai a sudare freddo dopo aver visto quel messaggio.

"Si è messa a piangere e mi ha detto che mi ama."

"Io.. Cosa intendi fare?" Sapevo che era finita prima di cominciare.

"Mi dispiace.."

"Dispiace anche a me. Mi dispiace che tu sia uno stronzo. Mi dispiace di essermi innamorata di te. E ti odio pure, adesso."

"Alice ti prego."

Smisi di rispondere.

Mi chiusi in me stessa, e lento sentivo arrivare il declino. Senza di lui non ero niente, ma non potevo sopportare di saperlo con lei. Le sue labbra sulle sue. Le sue braccia attorno al suo corpo e non al mio. Non potevo farcela.

Passarono i mesi.

Gennaio, e mi guardavo allo specchio: non sei abbastanza.

Febbraio, e mi dicevo: sei brutta per questo non ti ha voluto.

Marzo, e mi dicevo: sei bassa. Non ti vorrà mai.

Aprile, e mi guardavo allo specchio: sei grassa. Non meriti di vivere.

Alla fine del mese di aprile avevo accumulato odio, paura, lacrime, solitudine, tristezza.

Non leggevo. Non cantavo. Non disegnavo. Non scrivevo. Non mangiavo. Studiavo e ascoltavo sempre le stesse canzoni tristi.

Morta, è il termine da usare.

Ero totalmente e irrimediabilmente morta nell'anima.

A maggio, al dopocresima, ero costretta a vederlo ogni giovedì.

Erano serate fatte di sguardi. Mi fissava incessantemente e io non riuscivo a distogliere gli occhi. Era arrabbiato, ferito, deluso. Gli avevo promesso che sarei rimasta con lui nonostante tutto, e non ce l'avevo fatta.

Ma anche io avevo le mie ragioni.

I nostri sguardi dovevano essere simili.

Provavo i suoi stessi sentimenti.

Alla fine dell'ora di catechesi lui scomparve. Senza salutare nessuno.

Lo rincorsi sotto la pioggia fin quasi sotto casa sua, e poi tornai indietro.

"Non salutare eh." Scrissi.

"Che vuoi?"

"Io.. Te ne sei andato senza salutare nessuno."

"Non ho nessuno da salutare."

"Mi dispiace.. Ti ho ferito e mi dispiace."

"Vattene."

"L'ho già fatto. E non serve andarmene. Ti voglio bene, con tutto il cuore. Sei parte di me e non ho intenzione di levarmi di qui."

"Non ti voglio."

"Ma io si. E so che mi vuoi bene."

".."

"Torna Jem, torna da me."

"Il silenzio mi ha ferito."

"Lo so.."

Con questa conversazione tornammo amici.

Ma lui non era più come prima.

Non diceva che ero bella. O che mi voleva bene. Non diceva più nulla. Era freddo. Distaccato. Doveva imparare a fidarsi di me ancora una volta, e io accettai qualsiasi cosa pur di averlo accanto di nuovo.

Dimagrivo nel frattempo.

Vomitavo il poco che mangiavo.

E nessuno se ne accorgeva.

Matilde fu l'unica che mi guardò negli occhi, e mi fece sputare tutto quello che tenevo dentro. Singhiozzando in lacrime, china contro il suo petto, le raccontai di ciò che ero diventata.

Con Jem parlavamo solo del più e del meno. Finché una volta decisi di affrontare l'argomento "Martina."

"Lo so che non sono cazzi miei. Ma con Martina come va?"

"Mi ha lasciato."

"C..cosa?"

"Non sono cazzi tuoi. Comunque sì, dopo tre giorni mi ha lasciato perché si tagliava."

"Pazza. E come stai?"

"I primi due giorni sono stato male. Ora non me ne frega un cazzo."

Era stato male e io non ero con lui..

Non ero al suo fianco nel momento della sua sofferenza.

"Mi dispiace così tanto di non esserci stata.."

"Non è colpa tua. Eri arrabbiata."

Eccome se lo ero. E dopo aver sentito che Martina lo aveva lasciato dopo soli tre giorni con una scusa così merdosa mi faceva incazzare ancora di più.

Stupida. Lo aveva tutto per sè e non ha saputo tenerselo. Che idiota. Se la vedo la appiccico ad un muro. Bastarda. Ha distrutto la mia vita. Con che coraggio..

"La uccido."

"Lascia fare. Era una bambina, mi sono tolto un peso. È stato uno sbaglio."

"Che idiota. Non ha capito un cazzo di te se ti ha lasciato."

"Cambiamo argomento."

Saggia cosa da dire.

Tutt'ora sono arrabbiata con lei. Un giorno la affronterò e basterà il mio sguardo ad impaurirla.

Una rosa d'inverno.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora