C'era sempre stato qualcosa di diverso, in lei, qualcosa che non riusciva a spiegarsi nemmeno se ci provava intensamente. La guardava danzare con le ninfe e cantare della primavera mentre si esercitava con la sua magia ridendo di gioia se l'incantesimo le riusciva, e la osservava silenziosa quando, di tanto in tanto, si allontanava dal gruppo e, lieta e pensosa, coglieva i fiori della serra, accarezzandone i petali con le sue lunghe dita soffici, eppure ancora qualcosa non la convinceva. Sì, era sua figlia, e l'amava più di qualsiasi altra cosa al mondo, e sapeva benissimo di aver rischiato di perderla più volte durante la sua breve vita, ma forse era proprio questo a darle i brividi.
La prepotenza con cui era entrata nel mondo dei vivi la sconvolgeva ancora, e, a volte, guardando nei suoi profondi occhi violacei, si chiedeva se quella creatura celasse una parte maligna pronta a colpire da un momento all'altro una volta istigata — e se così fosse stato, perché non la usasse contro di lei. Certo, non aveva alcuna motivazione per farlo, lei la proteggeva e basta, impedendo agli altri di darle addosso o, cosa che la innervosiva ancora di più, che la guardassero con lussuria e timore al tempo stesso. Tutto l'Olimpo sapeva di lei, e tutti avevano dimostrato una certa inquietudine nei suoi confronti — persino Hestia, la piú anziana di tutti loro, non riusciva a reggere lo sguardo della piccola dea, facendo fatica a pronunciarne persino il nome. Sia quello che lei stessa le aveva dato, sia quello che le era stato donato, o meglio, imposto da Quell'Altro. Le dava fastidio solamente pensare a lui, quell'idiota che nemmeno si sforzava ad essere cortese con tutti gli altri, una sorta di spettro nero che, di tanto in tanto, si aggirava per l'Olimpo, presuntuoso e con quella sua noiosa attitudine, così arrogante nella sua tunica blu, e con quegli occhi impenetrabili che nessuno riusciva a decifrare. Solo Hestia ed Atena sembravano riuscire a superare quella barriera gelida che si era costruito attorno. Ma non era un mistero che Hestia fosse la sua preferita tra le sue tre sorelle.
Lo aveva ben messo in chiaro, tempo addietro.
Scosse il capo, innervosita da quel pensiero, si cinse con le braccia, dondolando silenziosa sulla sua sedia. Era stata molto contrariata quando Zeus lo aveva invitato alla cerimonia della nascita di sua figlia, ed era andata su tutte le furie quando era stata costretta a mettergliela tra le braccia. Non aveva però potuto opporsi, non davanti a tutti gli altri dèi, perlomeno, non poteva permettersi di offendere uno dei tre fratelli che, dopotutto, non miravano ad altro che alla serenità dell'intero cosmo.
Tutti gli altri dèi avevano donato alla sua piccina fantastiche qualità: la bellezza, l'intelligenza, la forza, il canto, la furbizia, la curiosità — e poi, poi era arrivato Lui. L'aveva presa tra le sue tremule braccia pallide, facendole sussultare il cuore nel petto con quei suoi gesti inesperti, così stupido nel tentare di sostenere la sua bimba da darle il voltastomaco; l'aveva osservata per un po', gliel'aveva insozzata tutta con quei suoi occhi, e quando lei gli aveva afferrato il dito che stava usando per scostare le fasce dal suo visetto paffuto, lui aveva sussurrato una singola parola che, da quel momento, non le aveva più lasciate.«Persefone.»
Aveva condannato la sua bambina con una maledettissima parola di nove lettere. Portatrice di distruzione, di morte. Demetra era convinta che fosse stato quel nome a cambiare sua figlia sin dall'infanzia, ed era altrettanto certa che fosse proprio a causa di Quell'Altro se ora quasi faceva fatica a guardarla negli occhi quando le sorrideva. Aveva paura di lei, e non aveva la forza di ammetterlo, né a se stessa, né tanto meno ad altri — nemmeno a Dafne, una delle sue ninfe ed amiche più fidate. Accoccolata sulla sua sedia a dondolo di fili d'erba intrecciati, osservava sua figlia crescere in quella serra protetta ad ogni angolo dalla sua magia con occhi preoccupati, sempre pronta a dover calare il pugno di ferro; non c'era un solo attimo di confusione in cui lei non afferrasse la sua asta, decisa a reprimere qualsiasi fosse la causa del disagio. Ricordava ancora molto bene le parole di Hestia, anni ed anni prima, quando aveva scoperto di aspettare un figlio e, con le lacrime agli occhi, era corsa a cercare consolazione tra le braccia della sorella. Ella l'aveva accolta con cordialità nel suo tempio illuminato vivamente da un largo focolare, e l'aveva fatta accomodare sul più comodo dei triclini, per poi osservarla attentamente con i suoi grandi occhi giallognoli, forse più pensosa di quanto non avesse realmente voluto.
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Melograno
Fantasy«Io credo solamente che tu abbia un grande potere, e che nessuno ti abbia ancora messa alla prova. Scoprirai, con il tempo, che ciò che appari non è necessariamente ciò che sei.» ~^~ Hanno sempre raccontato la nostra versione, ma cosa è successo in...