ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ ꜱᴇᴄᴏɴᴅᴏ

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Helios risalì sul suo carro. Ora sì che aveva un bel po' di pettegolezzi da portare alle costellazioni! Sorpassò l'Olimpo al galoppo e, fischiettando, zompettò attorno al mondo mortale; il cielo era sereno, ma alcune nuvole s'erano affollate attorno all'Arcadia, proprio sopra un'area così vasta da sfiorare persino le terre della Libia. Arricciò le labbra, innervosito. Se c'era una cosa che Helios non poteva sopportare, be', era proprio l'essere oscurato dalle nubi. Così, seccato, spronò i suoi stalloni dorati e, con un rapido gesto, li indirizzò verso il regno dei mortali al galoppo.

Era ben risaputo, tra gli dèi quanto tra gli esseri umani, che le nuvole fossero collegate ai fulmini, ai temporali, alla pioggia e alle saette e, di conseguenza, esse erano chiara produzione dell'unico e solo in grado di governare questi elementi: Zeus. Il re degli dèi non era un marito fedele, né un padre da manuale, né tantomeno il migliore dei fratelli, anzi, era esattamente il contrario, ma se c'era qualcosa in cui era bravo, quella era proprio farsi rispettare in quanto re. Ed indispettire i suoi sudditi, ma quella era un'altra storia. E se oscurava una zona della Terra, doveva esserci un motivo piuttosto interessante — dunque erano sia la curiosità che l'indignazione a spingere Helios a confrontarsi con lui — l'ultima volta che gli aveva impedito di vedere un'area terrestre, dopotutto, era stato proprio perché la sua voglia di carne lo aveva portato ad invischiarsi nel fango della faccenda di Io. Ma oggi, oggi Zeus non era sceso tra i mortali per fare conquiste.
Anzi.

«Cara sorella!» esclamò il re degli dèi, spalancando le braccia, «Quanto tempo é passato dall'ultima volta che ci siamo visti? Un millennio? Due?»
Non era una novità che Zeus si palesasse in case altrui quando meno ce lo si aspettava, ma, nonostante ciò, la sua voce tonante fece sobbalzare la dea del raccolto per lo spavento, che, abile, si affrettò subito a celare.

«Che cosa vuoi, Zeus?» domandò freddamente Demetra, i suoi occhi verdi squadrarono il dio con fare prudente. Lui rise sommessamente, imbarazzato.

«Ah, sempre dritta al sodo, vedo,» commentò, tossendo bruscamente, «Be', vedi, sorella cara, volevo solo assicurarmi che nostra figlia stesse bene.»

«E da quando in qua ti importa di mia figlia?» ringhiò Demetra, «Sta bene. Puoi andartene.»

«No, non così in fretta.»

Un gelo insopportabile calò sulla stanza, i due si scambiarono sguardi che, se gli occhi potessero uccidere, li avrebbero fatti precipitare a terra senza vita. Demetra indicò con un gesto della mano un triclinio poco distante, il mento alzato con orgoglio e nervosismo al tempo stesso. Zeus si accomodò, sistemandosi la tunica.

«Sapevo che non ti saresti rivelata insolente nei confronti di un ospite.» commentò poi con un sorrisetto sulle labbra. La dea fece roteare gli occhi, incrociandosi le braccia sul petto.

«Che cosa ti porta di queste parti, caro fratello?» chiese, e il suo tono era così mieloso da mettere i brividi, ma Zeus non si faceva intimorire facilmente.

«Oh, cara sorella, come cominciare?» fece retoricamente, grattandosi la leggera fossetta che aveva sul mento, «Hm, sì. Mi è stato comunicato, da un po', in verità, che la giovane Persefone abbia raggiunto la maggiore età, in quanto completamente donna, ed alcuni dèi si sono fatti avanti per-»

«No.»

«Ma non mi hai nemmeno fatto finire la-»

«Mia figlia non sposerà nessuno di loro.» ribadì gelidamente la signora della terra mortale, «Chi sono i pretendenti? Apollo? Hermes?»
Zeus arrossì a quel punto, annuendo.

«Ci sarebbero anche -»

«Ares? Eros? Chi rimane, ancora?»

«In verità-»

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