III

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Apre gli occhi, battendo le palpebre. Le mani le tremano mentre cercano di tirare via le coperte. Ha sudato freddo, di nuovo. Un brivido la scuote, strappandole dai timpani i suoni di quel sogno oscuro che continua a ripetersi. Scosta le coperte di lato, sbuffando e avvicinandosi alla finestra. Non è ancora l'alba, il mondo è silenzioso, ancora addormentato. Sta attenta a non far rumore, muovendosi in punta di piedi, le ossa scricchiolano come pezzi di vetro calpestati contro il terreno.

Scuote le spalle, cercando di sollevarsi dal torpore del sonno. Un gesto abituale, meccanico per quanto inutile.

S'infila nell'angusto bagno del piccolo appartamento, entrando nella doccia senza accendere la luce, nonostante fuori il sole non sia ancora sorto e nello spazio ristretto non si riesca a individuare le forme degli oggetti.

Quando l'acqua gelida la colpisce, Lucia sussulta, non si sposta, rimane ferma a fissare le gocce che iniziano a scorrere lungo il suo corpo.

È davvero il suo?

Alza una mano, osservandola come se fosse un corpo estraneo, un organismo separato dal resto, mentre afferra il rubinetto ora bollente. Vede la pelle arrossarsi, tuttavia non avverte dolore. Il bagnoschiuma alla vaniglia, il suo preferito, le provoca un senso di nausea tutto nuovo. Batte le palpebre e si risciacqua velocemente. Quando mette i piedi a terra, sul tappeto che ha steso con cura, la testa le gira. Traballa, aggrappandosi alla maniglia della porta alla sua destra, e arranca fino alla cucina. Si guarda intorno e non si trova a casa sua. La stanza che si apre davanti ai suoi occhi è ampia, dipinta di bianco splendente, arredata con cura e attenzione. È un salone, una stanza che le è totalmente estranea.

Prende un respiro, tendendo le orecchie, da qualche parte sente rumore di stoviglie. Sussulta e sente il respiro mozzarsi. Boccheggia in cerca di ossigeno prima che l'altra persona entri nel suo campo visivo. I capelli scuri non sono raccolti, in una familiarità e intimità che le restituisce un po' di tranquillità, non abbastanza da ripristinare una respirazione normale, non faticosa. Gli occhi verdi dell'altra ragazza si sgranano, come fosse sorpresa. Lucia vorrebbe solo dirle che è a casa sua, non dovrebbe essere così sorpresa.

È davvero casa sua?

Eleonora apre la bocca, come per dire qualcosa, ma Lucia sente i rumori farsi lontani. Le parole vuote che la investono svaniscono nel buio che l'avvolge lentamente.

– Cosa fai a terra?– Lucia si sveglia di soprassalto, muove la testa a scatti, scandagliando il circondario alla ricerca della voce. Rimane distesa, però, individuando la fonte del suono. Eleonora è seduta sulla ringhiera del ponte e la guarda incuriosita. La luce debole del mattino filtra dalla coltre di nubi lasciandole la possibilità di capire dove si trova. È al Ponte Vecchio, ha dormito lì e l'erba è più alta di quanto ricordasse. Le solletica il volto e le gambe lasciate scoperte dal vestito bianco, ora colorato di verde e terriccio nei punti dove il suo corpo è stato a contatto con il terreno. Scosta un filo più sottile degli altri, mettendo a fuoco i papaveri che sbucano qua e là tra il verde. Sente i polmoni riempirsi di nuovo, senza sforzo, con naturalezza. Riesce a respirare e deve aver sognato. Non ricorda cosa, ricorda solo il viso dell'altra ragazza. Le rivolge uno sguardo interrogativo, poi cerca di alzarsi. Eleonora salta giù dalla ringhiera e le porge una mano quando lei è già in piedi. Poi rimane a fissarsi l'arto, pensierosa, prima di lasciarlo cadere lungo il fianco. Lucia nota subito la differenza. I capelli sono sciolti, come nel suo sogno, e ha dei brutti cerchi neri sotto gli occhi grandi e stanchi. Inclina la testa e le porge la mano. Eleonora sussulta e la osserva, prima di intrecciare lentamente le loro dita.

–Non hai dormito bene? – chiede Lucia e lei sorride mesta.

– Io non dormo mai – confessa, facendo dondolare le loro mani. Poi, senza preavviso la lascia andare e inizia a incamminarsi. Lucia sussulta e la segue con lo sguardo.

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