Gocciolando e strisciando

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-Tu? Qui?- l'uomo dall'impermeabile color mirtillo parve per un attimo riscoprire cosa fosse la sorpresa.

-Ti ho cercato. Perché mi hai abbandonato là nel deserto?-

-Io... dovevo trovare risposte-

-Cosa cerchi nelle risposte che non puoi trovare con me?-

Rimase in silenzio lasciando che la sua mente vagasse. Era destino che la rincontrasse, sapeva che non avrebbe potuto fuggire da quella stanza d'albergo senza che almeno il suo ricordo lo perseguitasse.

-Qualcuno è morto, è mio dovere scoprire cosa è successo- sembrava una spiegazione plausibile. Mentre faceva uscire sillaba per sillaba le parole dalla sua bocca osservava con attenzione la ragazza. Seguiva le pieghe dei suoi occhi, ogni minimo movimento delle sue tenere labbra, nella speranza di capire cosa stesse passando nella sua mente. Era terrorizzato da ciò che lei poteva pensare di lui. Per questo motivo era scappato?

-Per questo motivo sei scappato?- chiese la donna facendo eco al suono dei suoi dubbi interiori.

Perché era scappato? Sperava che stando lontano dalle persone, il suono dei loro giudizi gli sarebbe giunto ovattato dalla distanza? In preda a queste riflessioni non notò la persona senza volto che si era avvicinata silenziosamente alla ragazza e ora stava immobile al suo fianco. Qualcuno aveva disegnato distrattamente una faccia contorta dalla paura sulla sua pelle lucida proprio dove ci sarebbero dovuti essere gli occhi e il naso. L'essere fece alcuni passi verso l'uomo. Entrambi stavano tremando quando incerta sollevò un braccio. Un istante, la contrazione di un paio di muscoli e un violento pugno gli colpì il volto. Poi una sberla, un altro pugno. Ben presto perse il conto dei colpi che gli martoriavano il viso. Il suono delle voci dal piano di sotto si affievolì. L'unica ancora alla realtà era un filo di sangue che pigramente gli scendeva dal naso e andava a formare un pozza scarlatta ai suoi piedi. Era in ginocchio e non fece alcun tentativo di respingere i colpi del corpo senza volto. Nonostante il dolore rimase incantato ad osservare la rossa superficie che pian piano si allargava. Che splendido lago, pensò. Quando sarò vecchio voglio costruire una casetta di legno sulla riva, proprio lì, vicino a quell'insenatura. Potrei anche avere una barca, di quelle piccole a remi. I pomeriggi d'estate, quando l'aria è immobile, la userei per solcare le acque calme e raggiungerei quell'isola bianca che deve essere stata un mio dente. Mi siederei lì tra le pieghe dello smalto con una canna da pesca in mano e ripenserei alla mia gioventù. Tutti questi pensieri e progetti per il futuro gli permettevano di non alzare lo sguardo verso la ragazza che stava ancora in piedi di fronte a lui. Le sue dita sottili si contorcevano preoccupate di fronte a quella sofferenza. I suoi splendidi occhi scuri sembravano velati appena dal luccichio delle lacrime. Avrebbe tanto voluto dirle che non era necessario che stesse lì a guardare. Poteva andarsene, avrebbe trovato di certo qualcuno migliore di lui nel locale o nel deserto o oltre il bordo del mondo. Ora l'essere senza volto stava in piedi tra i due impedendogli di godere della vista della giovane donna. Continuava a colpirlo, con i pugni e con i calci. Gli schizzi di sangue avevano parzialmente nascosto il disegno a pennarello, ma la bocca spalancata in un muto grido di terrore era ancora perfettamente visibile.

Non era sicuro di quanto tempo fosse trascorso dal suo arrivo nel locale. Ormai lo scorrere del tempo aveva perso ogni significato. Povero flusso del tempo, senza significato, senza identità. Un tempo aveva vissuto la sua vita da flusso del tempo. Ora se ne stava lì, vestito con una giacca e una cravatta e trascorreva più di otto ore ogni giorno in uno squallido ufficio, come se fosse un automa. Neppure la sera, quando tornava a casa dalla sua famiglia riusciva a rivivere la gioia di un tempo. Apriva silenziosamente la porta della camera dei bambini e rimaneva a guardarli, che bellissimi piccoli flussi del tempo. Avevano tutta la loro vita davanti. Poi raggiungeva sua moglie nel letto e di solito iniziava a piangere sperando che lei stesse già dormendo e non si accorgesse dello stato in cui si era ridotto.

L'uomo dall'impermeabile color mirtillo abbandonò anche le sue ultime forze e si accasciò completamente sul legno macchiato di sangue. Respirava a fatica mentre il dolore gli offuscava i sensi. Perché era arrivato a quel punto? Se era stato l'obbligo morale di risolvere il mistero dietro all'omicidio a spingerlo lontano dalla ragazza, perché non provava a ribellarsi al suo destino? Chiamò a sé la poca forza volontà che ancora non era fuggita zampillando insieme al sangue e analizzò la situazione. Il suo avversario non era temibile, non sarebbe stato difficile sconfiggerlo in una lotta alla pari, ma in fondo a quegli occhi disegnati brillava la disperazione, la paura. Erano quei sentimenti a muovere ogni suo colpo, ogni suo movimento. Fece alcuni respiri profondi, controllò di avere ancora entrambi gli occhi e si preparò a rispondere. Le nocche dell'avversario gli piombarono sul volto senza farsi attendere, ma questa volta l'uomo le scansò con uno scatto. Bastò un attimo di disorientamento, perché l'uomo potesse iniziare la controffensiva. Con un gesto abile afferrò il polso dell'aggressore e lo tirò con violenza verso il pavimento. La figura, colta di sorpresa, si sbilanciò in avanti e le mancò la lucidità per rispondere a quel gesto inaspettato. La vittima sfruttò l'avversario per darsi lo slancio verso l'alto e tornare in piedi. Schivò una ginocchiata diretta verso il volto e sferrò un micidiale pugno sul ventre indifeso dell'essere. Questo con un grido di dolore e uno strattone si liberò dalla presa e si lanciò verso l'altro tentando di afferrarlo alla gola, ma anche questa volta fu troppo lento. Nonostante la stanchezza e le ferite l'uomo si muoveva con disinvoltura tra gli attacchi dell'avversario. Con un rapido passo a destra evitò un calcio e dopo un balzo gli arrivò alle spalle. Non aveva intenzione di ucciderlo, ma sapeva che non avrebbe avuto senso interrogarlo, non era stato lui a uccidere il sorpreso. Quel tubo di gomma e quel cadavere senza ferite erano frutto di una mente fredda e calcolatrice, di certo non del folle che aveva di fronte. Senza esitare gli colpì la nuca con le dita affusolate. La stanza piombò nel silenzio. La figura senza volto vacillò per un istante e cadde a terra priva di coscienza come se qualcuno la avesse spenta.

L'uomo dall'impermeabile color mirtillo si pulì goffamente il sangue dal viso prima di rivolgersi alla giovane paralizzata dalla paura in un angolo della stanza.

-Non si risveglierà prima di qualche ora. Ormai non c'è più nulla di cui aver paura- tentò di rassicurarla, per quanto fosse in grado di farlo nello stato in cui si trovava. Lei continuò a fissarlo in silenzio, forse cercando di capire come tutta la violenza a cui aveva assistito potesse essere cessata in un battito di ciglia. Le voci del piano terra erano tornate udibili, ma tra i soliti rumori erano chiaramente distinguibili dei passi, sempre più vicini.

-Il proprietario! Dobbiamo scappare prima che veda tutto questo!- esclamò la ragazza rendendosi conto solo ora della situazione in cui si trovavano. All'uomo tornarono in mente le raccomandazioni del barista al suo ingresso. Chissà cosa aveva causato durante la sua prima visita al locale. Non era il momento di pensare al passato, afferrò la mano della donna e chiuse gli occhi. Doveva solo concentrarsi sull'odore di ginepro che lo aveva condotto lì. -Fai finta di essere coperta di muschio!- gridò alla ragazza mentre ormai la porta della stanza si stava aprendo. Ancora pochi secondi e sarebbero stati al sicuro, forse. Sull'uscio comparve la testa dell'oste. Non poteva vederlo, ma sapeva quale spettro di emozioni stava scorrendo sul suo volto. La sorpresa doveva aver già lasciato posto alla rabbia a giudicare dal ringhio minaccioso. Pensò alla rugiada che gli aveva bagnato le gambe, riuscì a percepire il muschio. Pian piano, dal profondo dei suoi polmoni sentiva i piccoli rametti risalire e crescere. Sotto quelle piccole radichette la pelle iniziava a piegarsi, sempre più fluida. Percepì attraverso la mano che anche la ragazza stava viaggiando insieme a lui. Le ossa ancora doloranti si piegarono sotto il peso del suo stesso corpo. Sentiva che il soffitto si allontanava sempre di più man mano che tutta la sua figura si afflosciava sul pavimento in un ribollire di liquidi. Sentiva il muschio ormai tutto attorno a sé, circondava la ragazza, gli avvinghiava il cervello. Le grida adirate del barista tremavano intorno a lui e parevano tentare di ancorarlo a quella realtà, ma questa volta sapeva cosa fare. Lasciò che tutto il suo corpo non avesse più confini, che si mischiasse al suo stesso sangue sul tappeto di parquet, che si mischiasse alle urla del proprietario, che si mischiasse al legno e al tempo. Come tirato da una gravità invisibile iniziò a gocciolare e quel fluido che era la ragazza con lui.

Un impermeabile impolveratoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora