Capitolo 13.

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Fabrizio rimase imbambolato davanti al cartello pubblicitario vicino la scuola di suo figlio. Doveva ammettere che la foto utilizzata era abbastanza inquietante ma era impossibile non notare le scritte mastodontiche che recitavano "ERMAL META MARTEDI' 16 MAGGIO 2017 AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA – ROMA".

Era una persecuzione? Dio gliela stava facendo pagare per qualche sbaglio che aveva commesso? Perché se lo ritrovava dappertutto? Perché per ANNI era riuscito a vivere senza avere sue notizie e adesso se lo ritrovava sempre in mezzo ai piedi?

Percorse la strada verso la macchina a testa bassa, cercando di dare un ordine ai suoi pensieri e cercando di essere il meno riconoscibile possibile. Se fino a qualche anno prima poteva tranquillamente uscire di casa e andare a compare le sigarette anche in pigiama, adesso era un po' più complicato. Doveva imparare a scendere a patti con la popolarità.

Non sapeva cosa fare. Andare al concerto? Evitarlo? Fare come se non fosse accaduto niente? Oppure affrontarlo e dirgli tutta la verità? Opzione che era da escludere perché lui era cosciente di non potergli dire tutta la verità che c'era dietro al suo allontanamento. A Fabrizio era rimasta solo una cosa da fare.

«Fabrì perché m'hai fatto veni' a casa tua de corsa?» chiese Claudio sulla porta di casa leggermente trafelato.
«Tutto a posto. Avevo bisogno di un parere».
«Questa casa è bella non c'è bisogno che ti trasferisci. E no, se Libero o Anita hanno starnutito non significa che hanno preso la malaria o qualche strana malattia che non si sa come abbiano potuto contrarre».
«Ma che stai a di'?» chiese Fabrizio perplesso mentre il suo amico si accomodava in casa. Ormai, dopo tanti anni era come se fosse anche casa sua.
«Di solito sono questi i consigli che chiedi, se la casa in cui abiti è diventata troppo brutta o se i bambini hanno qualche malattia che conosci solo tu». Il moro rise divertito dalle risposte semplici che aveva dato Claudio.
«No, stavolta è diverso» ammise. «Il ragazzo, quello di cui ti avevo parlato a Milano, è qui, o sarà qui a Roma tra qualche giorno».
«Ah» rispose il maestro. «Che hai intenzione di fare?»
«Non lo so» rispose Fabrizio accomodandosi accanto a lui. «Vuoi un caffè?». Claudio rifiutò e tornò con lo sguardo pensieroso.
«Perché viene a Roma, come lo sai?». È vero, Fabrizio aveva raccontato a Claudio tutti i particolari della vicenda, ma aveva omesso un dettaglio importante che forse non era disposto, ancora, a rivelare, ovvero chi fosse il soggetto del suo interesse.
«Amici in comune» disse semplicemente. «E non so perché viene a Roma» aggiunse poco dopo. «Secondo te cosa dovrei fare?»
«Non lo so» rispose Claudio. «Certo se è un viaggio romantico forse non è molto carino che piombi all'improvviso». Fabrizio rise mestamente. «Però lui è venuto al tuo concerto, magari potresti ricambiare il favore invitandolo a bere un bicchiere di vino».
«Dici?» chiese. «Ma sì perché non provarci? Non vi siete più visti dopo Milano, giusto?» non era esattamente così, si erano visti il primo maggio e l'aveva anche aiutato. Ma Claudio questo non poteva saperlo. «No no, non ci siamo visti».
«Bene, allora potrebbe essere una scusa per chiarirvi. Insomma lui ti ha baciato, ricordi? Non è che puoi lasciare la situazione appesa così».
Fabrizio sospirò accasciandosi sul divano. Si sentiva ritornato ragazzino, solo che adesso era peggio perché aveva il quintuplo delle responsabilità che aveva quando era veramente ragazzino. «Vedrai che saprai cosa fare» gli disse Claudio dandogli delle piccole pacche sul ginocchio.

Poco più tardi si trovarono a parlare del più e del meno, del tour, del gatto di Claudio e dei progetti futuri. «Sai chi ho incontrato il primo maggio?», Fabrizio invitò il collega a continuare. «Ermal Meta. È molto simpatico, sai?» il moro ebbe un sussulto al cuore mentre pronunciava quel nome. Nella sua testa, invece, diventava vivida la consapevolezza che quell'uomo continuava ad essere sempre presente nella sua vita.

Ermal stava girando nel backstage dell'auditorium, scambiando qualche chiacchiera ora con il fonico ora con uno dei tecnici. Doveva distrarsi in qualche modo. Già il fatto di essere a Roma lo rendeva particolarmente instabile se poi si aggiungeva l'ansia per il concerto era finita. Uno dei tecnici lo avvisò che mancavano circa due minuti all'inizio del concerto, perciò si sistemò immediatamente dietro il palco, pronto a salirci quando il tecnico gli avrebbe dato il via.

Fu un concerto stupendo, speciale e lo fece sentire leggero, almeno per quelle due ore in cui si era completamente dedicato alla musica e ai suoi fan. Scese dal palco con più energia di quando era salito due ore prima, fosse stato per lui avrebbe fatto un bis del concerto. «Ti vedo bello carico» disse Marco quando furono in macchina per recarsi in hotel. «È stato bellissimo!» esclamò felice come un bambino.
«Sì, è stato veramente bello. Non lo avrei detto visto il muso lungo degli ultimi giorni».
«Il muso lungo passa» disse alzando le spalle. La ragione del muso lungo no, pensò. E la ragione di quel muso lungo la trovò proprio sotto l'hotel in cui alloggiava. «Che ci fai qua?» chiese lapidario dopo aver verificato che il suo staff fosse salito.
«Volevo parlare» rispose Fabrizio. «Come fai a sapere che stavo qui?»
«Giri di amici» rispose il moro facendo spallucce e spegnendo una sigaretta col piede.
«Be' io non ho molta voglia di parlare» rispose Ermal dirigendosi verso l'entrata ma venne placcato da un braccio di Fabrizio.
«Ermal c'è un motivo per cui sono sparito. Non ero buono per te e non lo sono tutt'ora. Sono incasinato, testardo e ho dei figli. Non è più così semplice».
«Fabrizio» disse Ermal con un filo di voce per trattenere la rabbia che stava salendo. «Io mi sono rotto il cazzo delle tue stronzate. Le hai sempre dette, quando avevi 25 anni e ora che ne hai 42. Basta, non ne posso più ti prego».
Nell'ultima parte gli si incrinò la voce. Ma era così, non voleva più avere a che fare con lui, nei pochi periodi che aveva passato con lui gli aveva causato solo sofferenza e a 36 anni era stanco di soffrire.
«Mi dispiace» disse l'uomo più grande di lui. Ermal si divincolò e salì nella sua stanza.

«Fabrì ma cosa ne sarà di noi?» gli chiese Ermal appoggiato sul petto del più grande dopo aver fatto l'amore.

«Ma che ne so piccole'» rispose aspirando il fumo della sigaretta. «Manco so se c'arivo a domani».

«Però se la smettessi con quella roba forse a domani ci arrivi». Fabrizio sospirò.

«Non ricominciare, te prego». L'aveva baciato dolcemente e avevano accantonato il discorso. «A me piacerebbe avere una figlia femmina» gli disse ad un certo punto Fabrizio osservando un punto indefinito nel tetto.
«Io non so se vorrei avere figli», disse sinceramente Ermal.

«Com'è? Te ce vedo bene circondato da marmocchi che girano per casa» aveva scherzato il romano conoscendo bene il passato di Ermal. «Saresti un ottimo padre» l'aveva baciato di nuovo, come se avesse letto i suoi pensieri e colto al volo quali fossero le sue insicurezze.

«Anche tu non saresti male, sai?» rispose Ermal.

«Nun di' stronzate. Nun so' bono manco a guarda' i fratelli miei figurate se posso stare a guarda' un figlio».

«Secondo te staremo insieme per sempre?», Fabrizio aveva sospirato chiedendosi il perché il riccioletto fosse così in vena di domande.

«Ma ho fatto così schifo che fai tutte ste domande? Non sei sfinito?». L'albanese rise dandogli un pizzicotto sul fianco.

«E smettila di fare lo scemo!». Anche Fabrizio rise di gusto. Era contento e sapeva che finché sarebbe stato con Ermal avrebbe goduto di quello stato di serenità.

«Se potremo anche tutta 'a vita», aveva risposto Fabrizio baciandogli dolcemente le labbra.

Ci siamo detti "sempre" e il "sempre" è stato solo un po'
(Tutto si muove - Ermal Meta)

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