Capitolo 11.

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Ci siamo fatti promesse e cosa ci è restato
La paura di averci e non aver tentato
Come un fiume che scorre e poi non trova il mare
Ho gridato un po' dentro e ti ho lasciato andare.
(Nell'aria – Hale)

Fabrizio la mattina dopo si alzò con fatica dal letto, principalmente a causa delle poche ore di sonno. Claudio gli era stato di grande aiuto la sera prima per evitare che cadesse in una sorta di autocommiserazione che l'avrebbero distrutto. Se n'era andato quando aveva iniziato ad albeggiare visibilmente distrutto da quella notte insonne.

L'amico aveva ragione. Era stato un coglione, prima di lasciarlo avrebbe dovuto lottare almeno un po' per tenerlo. Non si era manco mai preoccupato di scoprire chi fosse il suo "aggressore". In un primo tempo aveva pensato che fosse un compagno di corso di Ermal, ma facendo mente locale, in un secondo momento, aveva stabilito che era troppo giovane per andare all'università.

Quante volte era stato arrabbiato dopo ciò che era accaduto? Quante volte aveva odiato quel riflesso magro nello specchio? Quante volte, a settembre e nei mesi seguenti, aveva desiderato andare all'Università a vedere se Ermal stesse bene, a verificare con i suoi occhi che fosse ancora ancora capace di ridere? Non gli importava se lui si sentisse lacerato, per lui era importante che quel piccoletto non perdesse mai il sorriso, che non fosse mai solo, meritava di sorridere, era il minimo dopo l'inferno che era stato costretto a subire.

Fabrizio stava da Matteo ormai da qualche mese, era quasi Natale, sarebbe stato il primo che avrebbe passato lontano dalla sua famiglia, sentì una fitta all'altezza del petto che quasi lo costrinse a piegarsi. Matteo stava piano piano uscendo dal giro e aveva un lavoro quasi stabile al baretto che aveva acquistato a pochi isolati da casa sua. Gli aveva permesso di stare con lui senza pagare l'affitto, dividevano solo le spese di bollette e del vitto e di questo Fabrizio gliene sarebbe stato sempre grato. Avevano messo un piccolo albero di Natale nel salottino per dare una parvenza di gioia, anche se Fabrizio non si sentiva gioioso per niente, nelle giornate che precedevano quei quindici giorni di festa avrebbe voluto rifugiarsi nella sua stanza, nella musica e nella droga. «Fabrì, sei sicuro di non voler passare il Natale da me?», gli aveva chiesto un giorno Matteo. «Sì. Grande idea. Buongiorno signora mamma de Matteo, io so' l'amico co' cui suo figlio se 'mpasticca. Buon Natale, eh, mi stia bene» aveva risposto ironico.

«Dobbiamo smetterla con quella roba».

«Ce riusciremo Matte'» gli aveva detto dandogli una pacca sulla spalla. «Sei andato a controlla' quella cosa?» Matteo aveva alzato gli occhi al cielo. «Sì, ce so' stato all'Università. Ma giuro che è l'ultima volta! Se voi sape' come sta vacce tu!»

«Ride?»

«Sì Fabrì. Apparentemente sta bene. Ma me dici cos'è successo tra voi? Eravate tanto amici prima...» Fabrizio aveva abbassato la testa colpevole sentendo il peso della sua colpa e delle sue scelte. «So' 'n cojone, ho rovinato tutto come al solito mio» aveva risposto.

«Io nun ce vado più. Se domani voi sape' come sta muovi quei cazzo de piedi e ce vai tu. Così almeno ve chiarite!»

Quel domani non arrivò mai e Fabrizio smise di avere informazioni su Ermal.

Fabrizio caricò la valigia sulla macchina, poi salì sui sedili posteriori e partirono. Aveva notato gli sguardi preoccupati di Max e Maurizio ma aveva indossato i suoi occhiali da sole ignorandoli e sfruttando quelle ore di macchina per recuperare le ore di sonno perse durante la notte.

Quando si risvegliò era a Roma. Se Dio l'avesse assistito, non avrebbe più sentito parlare di Ermal per un po'.

Nell'aria, il tuo profumo ritorna nell'aria
Lo sento addosso e non è primavera.
[...] E me lo porto in giro, 
ritorna quasi sempre all'improvviso tanto che ormai 
non metto neanche più il mio
se ho addosso il tuo anche se tu non ci sei più.
(Nell'aria - Hale)

Dall'altro lato di Milano, anche Ermal aveva fatto fatica a svegliarsi. Era tornato piuttosto tardi, Silvia già dormiva, e aveva deciso di puntare la sveglia presto così da evitare di dare spiegazioni. Nonostante avesse voglia di rimanere tra le calde lenzuola che lo avevano accolto per la notte. Non appena vide la sagoma della sua compagna che dormiva beatamente provò l'irrefrenabile impulso di alzarsi, non perché provasse repulsione, bensì un forte senso di colpa. E proprio perché le voleva un bene così profondo doveva tenerla lontana da quella storia.

Prese i vestiti che la sera prima aveva adagiato distrattamente sulla sedia per metterli tra le cose da lavare ed un forte odore di profumo maschile invase le sue narici. Era il suo odore. Non era l'odore di quando era più giovane, era l'odore dell'uomo che era diventato, odore di uomo vissuto e – in parte – realizzato.

Si portò quei vestiti sotto il naso per inspirarne meglio l'odore che presto sarebbe svanito. «Ammazza quanto sei profumato, Fabrì» sussurrò prima di recarsi in bagno e farsi una doccia. Doveva sgomberare la mente prima del concerto di quella sera.

Quando si recò in cucina per fare colazione vi trovò Silvia intenta a preparare un caffè. Rimase un attimo interdetto chiedendosi cosa non avesse funzionato nel suo piano. «Buongiorno. Come mai già in piedi?» le chiese baciandole dolcemente una guancia.
«Ho sentito la tua sveglia. E poi l'unico modo per comunicare con te è stare svegli ad orari improponibili» ci fu un attimo di silenzio. «Mi manchi, Ermal» lo disse con un tono così triste che il riccio sentì il proprio cuore spezzarsi per il troppo dolore che stava causando a quella che era diventata una donna meravigliosa.

La abbracciò. Forte. Forse come non l'aveva mai abbracciata. «Mi dispiace» ed era veramente dispiaciuto. L'aveva tradita baciando un altro uomo per di più. Era diventato un traditore. Quell'idea iniziò a fare capolino dentro di sé chiudendogli di scatto lo stomaco.

Deglutì rumorosamente cercando di mandare via l'immagine di lui e Fabrizio sul divano. Per la prima volta, dopo tanto tempo, si ritrovò a ringraziarlo per avergli impedito di andare oltre. «Mi devi dire cosa succede, Ermal» Silvia si era staccata dall'abbraccio, il suo sguardo era serio e pretendeva spiegazioni.

Ma Ermal non poteva. Non poteva ancora dirle quello che gli era successo diciassette anni prima principalmente perché ancora ne stava male. Era una ferita che si era riaperta, che forse non si era cicatrizzata come sperava. Improvvisamente le due parti della ferita erano state tirate ed i punti erano saltati e questa aveva ripreso a sanguinare. In medicina sarebbe stato abbastanza semplice, sarebbe bastato ricucire la ferita e coprirla con un cerotto. Ma i sentimenti non sono scienza. I sentimenti sono un mondo a parte, di cui si ha quasi paura a parlarne, tanto è complicato.
Con Fabrizio, ai tempi, si erano giurati che ne avrebbero parlato quando sarebbero stati certi e sicuri di ciò che erano. Ed Ermal, dopo così tanti anni, non era certo di ciò che erano stati.

Ermal poggio una mano sulla sua guancia, carezzandola. «Non posso. È ancora troppo presto». Il viso della donna si rabbuiò. «Puoi venire con me stasera!» esclamò Ermal per farla riprendere. «Devo andare in radio», rispose la donna mogia. Ermal abbassò la testa colpevole. «Recuperiamo quando torni» aggiunse Silvia notando la reazione esagerata del fidanzato.

Fecero colazione insieme, parlarono del più e del meno, sorvolando sulla sera precedente, perché ci sarebbe stato effettivamente poco tempo per litigare o dare spiegazioni esaustive. Poi giunse il momento dei saluti. Ermal, per la prima volta dopo tanto tempo, la salutò con un bacio dolce, quasi stucchevole per i suoi standard. Ma l'aveva tradita e doveva farsi perdonare.

Adesso doveva pensare solo a Silvia. Fabrizio non c'era più.

Quei due si erano amati così tanto da arrivare ad odiarsi.

Amici mai || MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora