Capitolo 20.

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Può nascere un fiore nel nostro giardino

Che neanche l'inverno potrà mai gelare

Può crescere un fiore da questo mio amore per te.

(A mano a mano - Rino Gaetano)

Quando Fabrizio aveva chiesto ad Ermal di scrivere un pezzo insieme sapeva che sarebbe finita così. E ne era consapevole anche Ermal. Nonostante tutte le buone intenzioni con cui erano partiti, ed i paletti personali che si erano prefissati, adesso Ermal si trovava sdraiato sul divano di ecopelle nera, tanto elegante, quanto scomodo in una situazione simile, con Fabrizio sdraiato di sopra che si avventava sulla sua bocca. Aveva del tutto disattivato il cervello, ed era pronto ad andare oltre e, da quello che riusciva a percepire, anche Fabrizio lo era. E probabilmente sarebbe successo. Se non avessero suonato al campanello.

Fabrizio si alzò di scatto, quasi come si fosse scottato o come e gli avessero gettato dell'acqua gelida mentre dormiva. «Cosa stavamo facendo?» mormorò passandosi un mano sulla bocca. Non era di certo la reazione che Ermal si sarebbe aspettato, capiva il motivo della reazione ma vedere quell'espressione confusa, quasi spaventata sul volto di Fabrizio fu una delle cose peggiori della sua vita.
«Ho bisogno del bagno» disse semplicemente con un filo di voce. Una volta entrato nel bagno si sciacquò la faccia con l'acqua gelida. Doveva riprendersi da quell'insieme di emozioni che lo avevano sovrastato fino a qualche minuto prima. Avevano fatto un errore, la reazione di Fabrizio era del tutto comprensibile. Ma aveva cominciato lui, perché poi pentirsene? O aveva iniziato prima Ermal? Nella sua testa le immagini erano sfocate. Sospirò cercando di prendere aria pulita. Qualcuno alla porta bussò. «Ermal, tutto bene?» era Fabrizio.
«Sì» si affrettò a rispondere. «Un attimo solo e ci sono».
Sospirò per l'ennesima volta e poi uscì.

Nel salotto Andrea era seduto su una poltrona mentre Fabrizio sul divano con una chitarra in mano. Non stavano facendo niente di particolare: Fabrizio sorseggiava una Peroni e strimpellava qualche nota, Andrea aveva il cellulare in una mano e la birra nell'altra. «Oh Ermal» disse Fabrizio ridestandosi e alzandosi dal divano. «Lui è Andrea Febo, mio collaboratore storico. Andrea, lui è Ermal Meta». Andrea gli porse la mano ed Ermal la strinse vigorosamente. Subito dopo si accomodò sul divano, a debita distanza da Fabrizio, e cominciarono a lavorare.

Il ritornello che gli presentarono non era niente male, né a livello di testo, né di musica. Gli piaceva. E soprattutto gli piaceva l'idea di creare un contrasto musicale ovvero creare una melodia che non fosse eccessivamente "pesante" come le parole del testo. «Mi piace» sentenziò Fabrizio dopo aver ascoltato la sua idea. Anche Andrea si trovò d'accordo.
«A me piacerebbe invece che non si parlasse solo degli attentati in Europa, ci sono moltissimi paesi, in Asia, in Africa, in cui avvengono attentati di cui non sappiamo niente» disse Fabrizio. Ermal intanto si appuntò una frase. «Che scrivi?» chiese.
«Una frase. "Al Cairo non lo sanno che ore sono adesso"» disse sovrappensiero. Andrea lo guardò con aria interrogativa. «Quando c'è un attentato, esplode una bomba, o dei pezzi di merda sparano con un fucile il tempo si ferma. Niente ha più senso se non sperare di sopravvivere abbastanza da salutare i tuoi cari un'ultima volta. Immagino che la gente si sia trovata in una sorta di limbo tra la vita e la morte, così improvvisamente. Qualche ora prima sono entrati entusiasti dentro un'arena, e qualche ora dopo a piangere qualcuno perché un pazzo ha deciso di farsi esplodere».
«Wow» commentò semplicemente Andrea.
«"Qualcuno canta forte, qualcuno grida a morte". Appunta questa frase» disse Fabrizio guardandolo negli occhi.

Non fu una scrittura "normale", nel senso che fu itinerante. «C'ho fame, andiamo in cucina?» chiedeva Fabrizio, e allora tutti si spostavano in cucina, poi avevano bisogno di una base al piano allora si erano trasferiti nello studio, poi di nuovo in salone perché lo studio non aveva un divano "abbastanza comodo" a detta di Fabrizio. «Ogni volta che mi sdraio, quanno me arzo poi c'ho mal di schiena» aveva detto sulla difensiva.
«Ti viene il mal di schiena perché sei vecchio, non perché il divano è troppo scomodo». A quel punto Fabrizio aveva messo su un finto broncio così adorabile che dovette resistere all'impulso di baciarlo per farglielo passare.

Amici mai || MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora