Capitolo 6.

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Fabrizio era in macchina che rifletteva sulle parole di Ermal. Gli avevano fatto più male del previsto, si sentiva l'anima spaccata in due. Era consapevole del fatto che Ermal non aveva preso bene la rottura, come d'altronde era successo a lui, ma sentirselo dire, sentirsi quelle parole scaraventate addosso fu come ricevere delle pugnalate sparse in tutto il corpo, fino a giungere ai punti cruciali.

Fabrizio non se ne voleva andare.

Fabrizio aveva atteso con ansia che arrivasse settembre.

Fabrizio poi era stato costretto.

Fabrizio poi era stato cacciato di casa.

Fabrizio poi si rese conto che quando gli fu detto che avrebbe portato solo guai ad Ermal, avevano ragione.

Lui uccideva la gente attorno a lui, non fisicamente, ma nell'anima. Tutti prima o poi smettevano di andare dietro ad un "drogato che si sta rovinando la vita con le sue stesse mani". Nessuno gli aveva mai chiesto perché avesse ceduto al fascino dello sballo facile. Nessuno sapeva delle sue carenze d'amore a casa, di come cercasse un continuo contatto con i suoi genitori che non arrivava mai. Di come cercasse di prendersi cura dei fratelli ma senza successo, perché questi lo trovavano troppo ossessivo e facevano l'opposto di quello che diceva lui. Nessuno sapeva quanto si sforzasse a studiare, per poi arrendersi e capire lo studio non faceva proprio per lui.

Nessuno aveva mai capito quanto la droga – per quanto sbagliato fosse – era il suo unico rifugio. Nessuno aveva mai capito quanto fosse arrabbiato con sé stesso e con suo padre. Nessuno aveva mai provato ad avvicinarlo, perché quando hai l'aspetto quasi da sfigatello nessuno ti si avvicina. Nessuno sa cosa si è disposti a fare per disperazione, per ottenere quel minimo di accettazione, per sentirsi come gli altri, per non passare giorno e notte da soli.
Così era entrato nel giro, si era fatto un bel po' di amici che a causa della roba, però, iniziarono a morire, lasciandolo nuovamente da solo.

In due lo portarono verso la libertà: Ermal e la musica.

Ermal l'aveva conosciuto una sera in un pub, ai tempi girava con qualche amico suonando in qualche club, principalmente a Bari, erano a Roma solo perché conoscevano il proprietario, anche se Ermal si trovava lì per l'università che avrebbe iniziato a settembre. Il riccio non ci mise molto a capire la situazione difficile in cui si trovava Fabrizio. E Fabrizio non ci mise molto a capire che quel ragazzo aveva una storia pesante alle spalle, forse anche troppo per quello che poteva reggere. Così si erano incontrati e salvati a vicenda, diventando l'uno il Superman dell'altro.

E poi la musica. L'aveva scoperta per la prima volta a 13 anni, quando suo zio lo aveva spedito a pulire la cantina. Aveva trovato quella chitarra e aveva sentito l'impulso irrefrenabile di toccare quelle corde e di cominciare a suonarla. Nei primi tempi iniziò a fare solo gli accordi base, a scrivere qualche testo abbastanza scontato, ma solo dopo aver abbandonato la scuola decise di dedicarvisi anima e corpo. Iniziò ad approfondire lo studio da autodidatta, i suoi testi cominciarono ad essere leggermente più profondi, più maturi e più orecchiabili e fu proprio lei che sostituì la droga. Quando tutto andava male e aveva bisogno di staccare la spina dai problemi, nell'adolescenza si sarebbe rivolto all'anfetamina, agli albori dei suoi 27/28 anni si rifugiava nella musica.

I pensieri di Fabrizio vennero interrotti dal rumore di uno sportello e dal vento freddo che entrò nell'abitacolo. Maurizio salì in macchina e si sedette dal lato guidatore. «Fabrì mi spieghi perché te ne sei andato senza dire nulla?» chiese irritato. «Dovevo fuma'. Silvia è stata una stronza colossale».
«Sì, è vero poteva pure non insistere su certe cose sapendo che non ti piace parlarne, però adesso metti da parte il risentimento perché siamo a cena da lei».

Amici mai || MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora