Capitolo 22.

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Ermal era rimasto seduto su quel divano per un tempo indecifrabile. Aveva ignorato tutto. Chiamate, messaggi, notifiche. Non sapeva esattamente come reagire. Credeva a Fabrizio, lo conosceva abbastanza da sapere che non si sarebbe mai inventato una cosa simile, ma perché Rinald gli aveva fatto una cosa così? Perché aveva permesso che colui che era stato l'amore più grande della sua vita andasse via? E perché Fabrizio non aveva insistito per stare con lui? Perché Fabrizio non era tornato da lui? Perché l'aveva lasciato da solo? Perché non gliel'aveva detto subito? Perché, perché, perché...
La sua testa era un turbinio di pensieri a cui non riusciva a dare un senso. Era tutto così confuso e senza alcuna logica.
Dopo essersi alzato dal divano iniziò a vagare per la casa senza una meta, passava dalla cucina al salotto, dal salotto alla camera da letto, dalla camera da letto allo studio, dallo studio alla cucina e poi riprendeva il giro.

Buttò un'occhiata al cellulare aveva tantissimi messaggi da parte di Fabrizio, due chiamate da parte sua e un messaggio in segreteria, probabilmente sempre da parte di Fabrizio. Sbloccò lo schermo del cellulare, ma anziché chiamare Fabrizio, come aveva pensato di fare per chiarirsi le idee, stava invece cercando il numero di suo fratello. E forse era la cosa più logica da fare, no? Chiedere spiegazioni direttamente a lui. «Ehi Ermal!» esordì il fratello «Tutto bene? È un po' tardi» chiese Rinald preoccupato.
Effettivamente erano circa le 22:30 ma Ermal aveva ormai perso la cognizione del tempo da quando Fabrizio aveva iniziato il suo racconto. «Sì, tutto bene. Senti avrei bisogno di parlarti, potresti venire da me?»
«Adesso?» il fratello sembrava sbigottito e preoccupato allo stesso tempo.
«Sì, è piuttosto urgente». Il fratello dall'altro lato del telefono acconsentì, così Ermal chiuse la chiamata e si buttò nuovamente sul divano, che ormai aveva preso la forma del suo sedere.

Rinald abitava dall'altro lato di Milano rispetto ad Ermal, quindi il maggiore dei fratelli Meta si ritrovò ad aspettarlo per circa un'ora senza smettere di rimuginare e torturarsi capelli, labbra, mani, tutto quello che poteva essere torturato. Paradossalmente, quando sentì suonare il citofono, provò un senso di strana tranquillità. «Allora, che mi dovevi dire?» chiese Rinald dopo essersi accomodato su una sedia in cucina sorseggiando una birra.
«Lo sai che sto iniziando una nuova collaborazione?» il più piccolo lo guardò accigliato.
«Bene, sono contento. E con chi?» Ermal non sapeva se tenerlo sulle spine o andare dritto al punto.
«Prova ad indovinare» rispose Ermal con un ghigno divertito sul volto.
«Non mi hai chiamato alle dieci e mezza di sera per parlare del tuo prossimo duetto, vero?» chiese retorico il fratello.
«No, ma tu prova ad indovinare lo stesso, è più divertente così» rispose semplicemente.
«Elisa?»
«Ma no! Ho appena duettato con lei ti pare che faccio un'altra canzone? Per quanto mi piacerebbe, ma sarebbe ripetitivo!»
«J-Ax?» Ermal scosse la testa. «Un po' di fantasia, Rinald!»
Il minore ci rimuginò su cercando di trovare una persona che fosse il più artisticamente lontana dal fratello. «Luis Fonsi!» esclamò battendo le mani e facendo scoppiare a ridere il fratello. Se il discorso che avrebbero dovuto affrontare non fosse stato così serio, probabilmente Ermal avrebbe continuato a ridere per tutto il resto della serata.
«È Fabrizio Moro». La bottiglia che Rinald si stava portando alla bocca rimase a mezz'aria. «Oh» rispose semplicemente. «E come ti senti?»
«Bene» rispose facendo spallucce. «Sono passati diciassette anni da quando ci siamo lasciati e poi sono stato io ad accettare la collaborazione».
Nella stanza cadde il silenzio. Ermal aveva sperato che il fratello svuotasse il sacco senza chissà quale giro di parole ma ciò non avvenne.
«E quindi adesso cosa siete?» chiese bevendo un sorso di birra.
«Amici» rispose semplicemente. «E colleghi» aggiunse subito dopo. Rinald annuì mentre grattava via l'etichetta della birra.
«Sai, ci siamo chiariti riguardo quello che è successo» cominciò attirando lo sguardo di Rinald su di sé. «Mi ha raccontato che dopo che sono partito è stato chiamato in un villaggio turistico ad Ostia. Ci sei andato anche tu quell'anno ad Ostia, no?» il fratello annuì mentre il suo volto assumeva un'espressione colpevole. «Mi ha anche detto che ha ricevuto un avvertimento da qualcuno che lo avvisava di starmi lontano, perché mi avrebbe portato solo guai». Ermal faceva una pausa ad ogni frase per cercare una reazione nel volto del fratello. Adesso si era buttato sullo schienale della sedia con il braccio a penzoloni. «
Sì, ero io se è questo che mi vuoi chiedere» buttò tutto d'un fiato.
«Perché?» chiese Ermal in un sussurro.
«Perché eri incasinato Ermal. Ci eravamo appena ripresi dalla batosta del trasferimento, dal trauma di nostro padre, dall'Albania. Stare con un tossicodipendente era rischioso per te e poi era sbagliato». Le parole di Rinald lo colpirono come uno schiaffo.
«Sbagliato perché era un ragazzo?» chiese temendo la risposta del fratello. Rinald però spalancò gli occhi e si affrettò a ripetere "no" più e più volte.
«Era sbagliato per te perché era un drogato, perché tu eri appena riuscito a trovare la tua tranquillità e io ero convinto che lui non ti avrebbe potuto dare quella serenità di cui avevi bisogno e che meritavi». Ermal si sentì sollevato da quella spiegazione.
«Cosa c'è allora, pensavi che avrei iniziato a farmi anche io?»
«In parte. Ero terrorizzato all'idea che Fabrizio diventasse violento sotto gli effetti della droga. Non riuscivo a sopportare l'idea che tu avresti potuto rivivere di nuovo quell'incubo» disse a testa bassa. Ermal si irrigidì sul posto. Aveva pensato a tutte le motivazioni del mondo per cui Rinald avesse scelto di allontanare Fabrizio da lui, ma non aveva mai pensato ad una cosa simile. 

Amici mai || MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora