Capitolo 6

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Novembre 1908
Residenza di Vincent e Jodie Blackwood

Dopo che Petroviĉ se n'era andato da casa sua ed essersi scolato mezza bottiglia di vino rosso, Vin si chiuse nella propria camera da letto a fissare con distrazione il soffitto biancastro, sul quale venivano proiettate le ombre delle decorazioni ricamate sulle tende. Voleva solo scivolare in un sonno tranquillo, senza che l'agitazione prendesse il sopravvento. 

Da quanto tempo non si faceva una bella dormita? Probabilmente da qualche mese... forse anche di più. 

Si passò una mano sul volto stanco, girandosi su un fianco ad osservare il lato vuoto del letto: in quel momento la camera gli sembrava così vuota e silenziosa, soprattutto senza il cigolare del materasso e del respiro caldo della moglie contro il suo collo. 

Era grato di avere Jodie nella sua vita: l'aveva amata sin dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati a quella festa a casa di Sam Brown, diversi anni prima, ma solo dopo il matrimonio si era reso davvero conto di quanto fegato avesse avuto per mettersi a corteggiare la nipote di uno dei gangster più pericolosi di Chicago. 

«Jodie è la mia unica nipote, cerca di rigare dritto o di te ritroveranno solo degli abiti sporchi di sangue» Gli aveva sussurrato Sam prendendolo da parte quando gli avevano detto di volersi sposare. Ma a Vin non importavano le minacce, avrebbe dato mille volte la sua vita pur di proteggerla.

E, ora che era solo con le proprie preoccupazioni, avrebbe davvero dato qualsiasi cosa pur di sentire il suo calore accanto a sé.

Nei giorni a seguire lo spiacevole incontro con Petroviĉ, tra i due uomini non c'erano più stati contatti, nemmeno i soliti resoconti o le rapide telefonate che solevano scambiarsi di tanto in tanto. Un gelido silenzio che aveva messo in allerta Vincent come un cervo quando sente l'odore del cacciatore.

Era un mercoledì mattina presto quando il telefono iniziò a squillare e Vin si alzò di corsa fino a raggiungerlo, svegliando la moglie distesa accanto che cercò di convincerlo a rimanere con lei a letto.

Il ragazzo afferrò la cornetta in ebanite, trattenendo a stento uno sbadiglio e si sedette di peso sulla poltroncina accanto al mobile. «Sì?» Chiese semplicemente, ancora assonnato.

«Abbiamo un problema» Disse una voce maschile dall'altro capo della linea.

Vin si abbandonò contro lo schienale in velluto, cercando di calmare il debole tremore alla mano causato dall'eccessivo consumo di alcol. La parola "problema" era bastata a fargli passare completamente il sonno. «Spiegati» Disse a bassa voce, mentre il timore di qualcosa di grosso si faceva strada nella sua mente.

«Stanotte dovevo incontrare Mike per un carico in arrivo dal Michigan ma lui non si è fatto vedere, così sono andato a cercarlo e l'ho trovato svenuto vicino all'ingresso sul retro del cantiere... è conciato piuttosto male ma se la caverà. Ha la pellaccia dura»

"Cristo" Pensò il giovane, massaggiandosi la fronte. «Ti ha detto qualcosa?»

La voce dall'altra parte della cornetta rimase un attimo in silenzio prima di dire: «È stato un avvertimento»

A quella frase seguì un altro lungo silenzio: quello che era solo un timore si trasformò presto in una paura fondata che fece rabbrividire Vincent.

«Vin, sei ancora lì?»

L'uomo sospirò profondamente. «Ti raggiungo subito, devo parlargli»

L'interlocutore fece un mugugno di assenso e chiuse la telefonata qualche secondo dopo.

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