Capitolo 28

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«Gli animali non uccidono
mai per piacere, l'uomo è
l'unico per il quale la
tortura e l'uccisione dei
suoi simili sono fonte di divertimento»

James Anthony Froud

Un espressione sollevata apparve sul volto di Joe DeNardo, intento a varcare la porta del piccolo vialetto che lo separava dal portoncino di casa. La luce della camera da letto era ancora accesa e l'idea di potersi sdraiare accanto alla propria moglie servizievole lo fece sorridere di malizia.

Emilia non amava particolarmente ciò che facevano a letto, glielo leggeva negli occhi marroni e sofferenti, ma non gli importava. Sua moglie doveva ubbidirgli senza fiatare.

A lei sarebbe piaciuto un marito amorevole, uno di quelli che le portava a casa dei fiori, che le riempiva la testa di dolci parole... Joe un tempo era così. Prima del matrimonio e della gravidanza, quando lei non aveva voluto assecondare le sue voglie e si era rifiutata di donargli il suo corpo per paura di fare del male ai due bambini che portava in grembo.

Aprì la porta con decisione ed entrò tronfio nel piccolo ingresso lastricato in mattonelle lucide, bianche e marrone chiaro, che formavano un particolare ricamo geometrico, e camminò fino ad arrivare al salotto.

La stanza a pianta quadrata era arredata con mobili dal sentore eccessivamente sfarzoso, tema tanto caro al padrone di casa: alle pareti, dipinte di una tonalità blu verdastra, erano state inserite alcune modanature in legno pregiato che davano un aspetto regale a quella che in realtà era una comune sala. Un cassettone verniciato di scuro faceva da padrone al salotto, ai cui due lati erano state sistemate due lampade in stile barocco. Un grosso divano in pelle occupava il centro della saletta.

L'unico grammofono di casa, sistemato nell'angolo accanto alla finestra sulla parete ovest, girava  ininterrottamente in solitaria con la puntina alzata, senza emettere alcun suono. Probabilmente aveva finito la sua corsa già da tempo. Si avvicinò per spegnerlo, leggendo con disappunto "I love you truly" sulla carta verdognola del vinile.

Un rumore dalla camera al piano di sopra però attirò la sua attenzione. Il vinile ormai era solo un ricordo nella sua mente mentre altre immagini prendevano il sopravvento...

Il corpo nudo e pieno di Emilia che si strusciava nelle lenzuola color avorio
Il pizzicorio di un buon vino rosso
Il fruscìo delle tende che svolazzavano alla finestra sospinte dal vento settembrino...
Il sapore salino delle lacrime e i gemiti lamentosi che lo imploravano di fermarsi.

Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare da quelle sensazioni che avevano contribuito a fargli affluire più rapidamente il sangue verso il basso.

Poteva sentire il proprio respiro farsi più pesante, in attesa di compiere il suo dovere di uomo. Senza accorgersene, le sue gambe si erano mosse da sole in direzione della scala che lo avrebbe condotto in camera da letto.

«Sto arrivando, tesoro mio» Disse in un sussurro salendo a falcate i gradini, quasi come se non potesse indugiare oltre.

«Sono tornato» Aggiunse aprendo la porta. La luce del corridoio si allungò sinistra sul parquet del pavimento, illuminando un rettangolo del letto su cui si poteva distinguere la sagoma di una donna rannicchiata sotto una coperta marrone. I corti capelli biondi riccioli sembravano fili dorati.

Un ghigno famelico si dipinse sul volto dell'uomo che si prodigò ad entrare, ma, subito dopo aver messo piede nella stanza buia, qualcuno lo prese alle spalle, immobilizzandolo e buttandolo a terra. Una moltitudine di calci, che sembrava non finire più, lo colpì ripetutamente all'addome e al fianco, costringendolo a raggomitolarsi su sé stesso per prevenirne la maggior parte.

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